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Nonna Angela

Scritto da Massimo Palazzo il 1 ottobre 2011
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Si chiamava Belli Angela mia nonna, una donna di carattere quieto, una figura che trasmetteva immediatamente simpatia e tenerezza,di corporatura esile, pelle bianchissima, capelli lunghi sale e pepe  raccolti, parlava  con un tono di voce basso, sempre in gonna, pulita e profumata, solo le mani  tradivano una vita di duro lavoro. La sua esistenza prese una brutta piega già alla registrazione all’anagrafe  quando,storpiarono il nome Angela con Angiola, fu l’avvertimento di un proseguimento duro per una  figlia femmina  con tre fratelli minori che, accompagnò con dedizione e dolcezza verso una crescita  ben diversa dalla sua, privandosi di tanti benefici che loro  usufruirono a partire dagli studi per arrivare in ben altra dimensione sociale. Non posso esimermi dal riconoscerla come una delle donne più buone da me conosciute, superava ogni immaginazione, la sua disponibilità e dedizione era totale per tutti, l’amore per il prossimo faceva parte di un suo credo spontaneo, non era capace di odiare. Dopo una dura infanzia si sposò  e il matrimonio la portò verso un’esistenza di  ulteriori sacrifici poiché i genitori del nonno erano proprietari di un bar ristorante con annesso gioco delle bocce, sali e tabacchi che richiedeva tanto impegno. Oltre all’enorme mole di lavoro che si era trovata fece e allevò tre figli, badò ad un uomo che non era il massimo della sopportabilità e della fedeltà. Le difficoltà aumentarono con le  guerre  e l’allontanamento dei due figli maschi, la mamma ancora piccola  subì con lei  le paure del brutto periodo, la fame e  parte della  gioventù sprecata.  Dai suoi racconti capivo quanto aveva sofferto, mi raccontava delle fughe al rifugio per i continui bombardamenti, le preoccupazioni per la lontananza dei figli, la paura  provata quando i tedeschi irruppero  nel ristorante e minacciarono di fucilarla se non avesse cucinato per tutti i soldati. Le puntarono il mitra alla gola non sapendo che si sarebbe tolta fino all’ultimo grammo di cibo per dar da mangiare a quei ragazzi giovani che a lei facevano pena.  Quando la guerra terminò lo zio Augusto e lo zio Carlo ritornarono a casa e  a lavorare al ristorante  con  mamma  che, era   bella e corteggiata dai ragazzi  benestanti della città. Purtroppo si innamorò di uno che benestante non lo era , nonostante i pareri contrari di tutti lo   sposò e, iniziò una storia che meriterà un racconto a parte. Malgrado i sacrifici nonna ricordava molto volentieri gli anni passati al ristorante, si era resa  conto che aveva  fatto tanto e usufruito poco, stupidamente non ne aveva preteso, aveva lavorato e  basta. Il nonno aveva condotto una vita ben diversa, non aveva faticato quanto lei, non si era fatto mancare nulla, nemmeno  le scappatelle e, il destino volle che  lasciò una presenza inequivocabile fuori casa di questa sua passione. Come avevo raccontato in un precedente racconto la favola del ristorante finì, scelte assurde dei bisnonni e del nonno portarono alla vendita di tutta l’attività e terreni per una cifra ridicola già per quei tempi, la cattiva gestione degli introiti e la bontà  della famiglia li aveva portati in quella situazione, la vendita non risolse i loro problemi. Nonna aveva visto lungo molto tempo prima che l’epilogo prendesse il suo avvio ma nessuno la volle ascoltare,non servirono le suppliche  al marito riguardo la fortuna  di avere un’attività ben avviata per i figli, ai terreni che sarebbero diventati un giorno edificabili,di fronte a questa ottusa scelta non le rimase altro da fare che tirare fuori al posto del nonno gli attributi e  costringerlo a mantenere almeno una  casa. Ripartirono da zero con molte difficoltà e dispiaceri,la  fede e il  coraggio la aiutarono a superare anche questo brutto periodo. Prese un piccolo locale in affitto e aprì un negozio di drogheria. Furono anni molto duri per lei e tutta la famiglia, penso quanto avrà sofferto nel contrastare tutte queste difficoltà che il marito nel frattempo deceduto le aveva lasciato in eredità. Non si scoraggiò, sosteneva che dopo la notte sarebbe tornato il giorno e tutto sarebbe ricominciato, cosi ha sempre trovato la forza per ripartire nonostante le delusioni familiari, dei finti amici che aveva tanto aiutato e che le avevano girato le spalle, dei clienti del bar ristorante che mai  pagarono  i conti in sospeso, quelli  diventati benestanti che non si sono mai vergognati di ritornarle  i  prestiti  ricevuti in denaro, in pezzi di terra,che io conosco per nome e cognome come conosco i loro figli, le loro attività, la loro arroganza e, tante di quelle cose da poter scrivere un romanzo con le prove che ancora conservo. Il negozio lavorava poco e gli anni di duro lavoro cominciavano a farsi sentire,i figli decisero che era venuto il momento di farla rimanere tranquilla. Diventò un’ infaticabile casalinga, non uscì più di casa, non che in precedenza fosse una sua priorità, cucinava, si occupava di noi nipoti  e dello zio Augusto che ha sempre vissuto con lei. Io adoravo restare in sua compagnia, quando mi fermavo anche a dormire ero  felicissimo, mi  insegnava molte cose e raccontava tante storie di fatti accaduti,  soddisfaceva ogni mia esigenza, aveva preso  canarini, pesci rossi, la tartaruga, galline, conigli, oltre alla presenza del cane e dei gatti, avevamo creato uno spazio per dar da mangiare a passeri e  merli, c’era  un angolo del giardino tutto mio per seminare fiori, ero in un mondo fiabesco contento sereno e felice. La sua passione per la cucina rendeva  piacevole pranzare e cenare da lei, provava grande soddisfazione averci tutti riuniti a gustare  quello che ci preparava, purtroppo non perse mai il vizio di non sedersi a tavola finchè non aveva servito tutti. Angela morì nel 1983 con la dignità che l’ha sempre contraddistinta, ci vollero due ictus per domarla, lo zio e la mamma la curarono e coccolarono per la durata della malattia e quando se ne andò sicuramente non raggiunse il nonno che aveva perdonato ma che  non andò mai a trovare al cimitero e mai  più  nominò  nei suoi discorsi.