
Si chiamava Belli Angela mia nonna, una donna di carattere quieto, una figura che trasmetteva immediatamente simpatia e tenerezza,di corporatura esile, pelle bianchissima, capelli lunghi sale e pepe raccolti, parlava con un tono di voce basso, sempre in gonna, pulita e profumata, solo le mani tradivano una vita di duro lavoro. La sua esistenza prese una brutta piega già alla registrazione all’anagrafe quando,storpiarono il nome Angela con Angiola, fu l’avvertimento di un proseguimento duro per una figlia femmina con tre fratelli minori che, accompagnò con dedizione e dolcezza verso una crescita ben diversa dalla sua, privandosi di tanti benefici che loro usufruirono a partire dagli studi per arrivare in ben altra dimensione sociale. Non posso esimermi dal riconoscerla come una delle donne più buone da me conosciute, superava ogni immaginazione, la sua disponibilità e dedizione era totale per tutti, l’amore per il prossimo faceva parte di un suo credo spontaneo, non era capace di odiare. Dopo una dura infanzia si sposò e il matrimonio la portò verso un’esistenza di ulteriori sacrifici poiché i genitori del nonno erano proprietari di un bar ristorante con annesso gioco delle bocce, sali e tabacchi che richiedeva tanto impegno. Oltre all’enorme mole di lavoro che si era trovata fece e allevò tre figli, badò ad un uomo che non era il massimo della sopportabilità e della fedeltà. Le difficoltà aumentarono con le guerre e l’allontanamento dei due figli maschi, la mamma ancora piccola subì con lei le paure del brutto periodo, la fame e parte della gioventù sprecata. Dai suoi racconti capivo quanto aveva sofferto, mi raccontava delle fughe al rifugio per i continui bombardamenti, le preoccupazioni per la lontananza dei figli, la paura provata quando i tedeschi irruppero nel ristorante e minacciarono di fucilarla se non avesse cucinato per tutti i soldati. Le puntarono il mitra alla gola non sapendo che si sarebbe tolta fino all’ultimo grammo di cibo per dar da mangiare a quei ragazzi giovani che a lei facevano pena. Quando la guerra terminò lo zio Augusto e lo zio Carlo ritornarono a casa e a lavorare al ristorante con mamma che, era bella e corteggiata dai ragazzi benestanti della città. Purtroppo si innamorò di uno che benestante non lo era , nonostante i pareri contrari di tutti lo sposò e, iniziò una storia che meriterà un racconto a parte. Malgrado i sacrifici nonna ricordava molto volentieri gli anni passati al ristorante, si era resa conto che aveva fatto tanto e usufruito poco, stupidamente non ne aveva preteso, aveva lavorato e basta. Il nonno aveva condotto una vita ben diversa, non aveva faticato quanto lei, non si era fatto mancare nulla, nemmeno le scappatelle e, il destino volle che lasciò una presenza inequivocabile fuori casa di questa sua passione. Come avevo raccontato in un precedente racconto la favola del ristorante finì, scelte assurde dei bisnonni e del nonno portarono alla vendita di tutta l’attività e terreni per una cifra ridicola già per quei tempi, la cattiva gestione degli introiti e la bontà della famiglia li aveva portati in quella situazione, la vendita non risolse i loro problemi. Nonna aveva visto lungo molto tempo prima che l’epilogo prendesse il suo avvio ma nessuno la volle ascoltare,non servirono le suppliche al marito riguardo la fortuna di avere un’attività ben avviata per i figli, ai terreni che sarebbero diventati un giorno edificabili,di fronte a questa ottusa scelta non le rimase altro da fare che tirare fuori al posto del nonno gli attributi e costringerlo a mantenere almeno una casa. Ripartirono da zero con molte difficoltà e dispiaceri,la fede e il coraggio la aiutarono a superare anche questo brutto periodo. Prese un piccolo locale in affitto e aprì un negozio di drogheria. Furono anni molto duri per lei e tutta la famiglia, penso quanto avrà sofferto nel contrastare tutte queste difficoltà che il marito nel frattempo deceduto le aveva lasciato in eredità. Non si scoraggiò, sosteneva che dopo la notte sarebbe tornato il giorno e tutto sarebbe ricominciato, cosi ha sempre trovato la forza per ripartire nonostante le delusioni familiari, dei finti amici che aveva tanto aiutato e che le avevano girato le spalle, dei clienti del bar ristorante che mai pagarono i conti in sospeso, quelli diventati benestanti che non si sono mai vergognati di ritornarle i prestiti ricevuti in denaro, in pezzi di terra,che io conosco per nome e cognome come conosco i loro figli, le loro attività, la loro arroganza e, tante di quelle cose da poter scrivere un romanzo con le prove che ancora conservo. Il negozio lavorava poco e gli anni di duro lavoro cominciavano a farsi sentire,i figli decisero che era venuto il momento di farla rimanere tranquilla. Diventò un’ infaticabile casalinga, non uscì più di casa, non che in precedenza fosse una sua priorità, cucinava, si occupava di noi nipoti e dello zio Augusto che ha sempre vissuto con lei. Io adoravo restare in sua compagnia, quando mi fermavo anche a dormire ero felicissimo, mi insegnava molte cose e raccontava tante storie di fatti accaduti, soddisfaceva ogni mia esigenza, aveva preso canarini, pesci rossi, la tartaruga, galline, conigli, oltre alla presenza del cane e dei gatti, avevamo creato uno spazio per dar da mangiare a passeri e merli, c’era un angolo del giardino tutto mio per seminare fiori, ero in un mondo fiabesco contento sereno e felice. La sua passione per la cucina rendeva piacevole pranzare e cenare da lei, provava grande soddisfazione averci tutti riuniti a gustare quello che ci preparava, purtroppo non perse mai il vizio di non sedersi a tavola finchè non aveva servito tutti. Angela morì nel 1983 con la dignità che l’ha sempre contraddistinta, ci vollero due ictus per domarla, lo zio e la mamma la curarono e coccolarono per la durata della malattia e quando se ne andò sicuramente non raggiunse il nonno che aveva perdonato ma che non andò mai a trovare al cimitero e mai più nominò nei suoi discorsi.