Disse il sole alla nuvola:
«Ti posso chiedere una cortesia?»
«Certo» rispose la nuvola.
«Lo so che devi fare il tuo lavoro, ma ti chiederei cortesemente se puoi darmi un po’ di spazio. Ho un lavoro urgente che dovrei fare.»
«Non ci sono problemi» rispose il nuvolone, che da più giorni seminava pioggia in quella zona.
E così la nuvola si spostò e un raggio di sole illuminò e riscaldò quell’angolo di terra. Piccole margherite, che timide se ne stavano al riparo di una foglia ancora grondante acqua, cominciarono lentamente a venire fuori e, qualche ora dopo, esposero i petali allo sguardo del passante. Un albero di mimosa, con qualche accenno di giallo tra il fogliame argenteo, gustò il biondo dei raggi e ne prese tanto che di lì a poco quell’albero divenne un’esplosione di giallo, un piccolo sole tra ramoscelli danzanti.
Nessuno se ne accorse, ma il sole fece un inchino al nuvolone, come a dire che poteva bastare. Lo sprazzo di luce scomparve.
«Ti ringrazio», disse il sole.
«Troppo poco» rispose il nuvolone, «se non collaboriamo tra di noi, non possiamo di certo aspettarci miracoli per chi se ne sta laggiù.»
«Hai proprio ragione, ma sono sincero: a volte vorrei accendermi e incendiarli tutti con il mio calore, perché penso che non meritino i miei servizi.»
«Sincerità per sincerità, anch’io avverto, a volte, gli stessi sentimenti. Non sopportano il sole, non sopportano la pioggia, hanno paura del vento. Ma non è colpa nostra se non sanno stare sulla terra. Basta un po’ di pioggia e si annegano in tanti …»
«Hai ragione, continuò il sole, ci stanno rendendo la vita difficile. È vero che ogni tanto anche noi perdiamo la pazienza ed esageriamo, ma sopportare gli uomini non è cosa facile.»
«E se un giorno decidessimo di dire basta a tutte le negligenze e alle angherie dell’uomo?» Era la voce del vento, che aveva ascoltato in silenzio, cosa che gli capita molto raramente.
«Già, commentò il nuvolone, sarebbe la loro fine ma, in fondo, è quello che si meritano. Ma guarda cosa hanno fatto della terra!»
«Avete proprio ragione. Ma cosa faremmo noi senza di loro? Io non riscalderei nessun bambino; tu, mia cara nuvola, bagneresti una terra disabitata da uomini e donne; e tu, mio caro vento, chi solleticheresti? contro chi abbatteresti la tua rabbia, tu che sei così collerico?» disse il sole.
Si guardarono senza aggiungere una parola. In lontananza una spenta luna taceva. «Tu non dici niente? Lo sappiamo che stai ascoltando, anche se ti vediamo appena», balbettò il sole con un sorrisino beffardo.
E la luna:
«Cosa vuoi che dica. Ne ho viste tante che non ho più parole. So che siamo tutti sotto questo cielo. Ma non lo abbiamo capito. Ognuno pensa che sia un cielo a sé stante e può fare quello che vuole. Non è così. Fino a quando laggiù una margherita sorride e una mimosa canta, vuol dire che ognuno di noi avrà fatto il proprio dovere. Per gli uomini non so proprio cosa dire. È da tempo che si stanno suicidando, lo sanno, lo capiscono ma continuano imperterriti verso il nulla. Hanno sempre incolpato, per i loro insuccessi, astri, maghi, dèi; si sono inventate storie infinite a giustificazione delle loro miserie. Il grave è che sono convinti che abbiano ragione e buonsenso e si potrebbero perdonare queste infantili presunzioni, ma il fatto serio, e ciò è davvero inquietante, è che ognuno di loro si considera … un cielo …».
E qui la discussione ebbe fine con una sonora risata: il vento ululò, il sole scomparve, la luna si fece più pallida, la nuvola riprese la corsa annerendo il cielo già scuro. Venne giù, minacciosa, una forte pioggia: tutto si vestì di un brutto mantello di grigio. Le margheritine, sia pure bagnate, un po’ timorose e un po’ spericolate, continuarono a sorridere. La mimosa a danzare il suo giallo di sole.
In: Giovanni Pistoia, Mi racconto la luna – piccola antologia di vagabondi pensieri e fragile poesie, Youcanprint 2015.