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Indignados

Scritto da Giorgio Rinaldi il 4 novembre 2011
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Da qualche mese si sentiva, ma solo fugacemente, questa nuova parola.

Alcune volte, nei paludati telegiornali italiani, che di tutto parlano fuorché dei reali problemi del Paese, si sono viste delle immagini, quasi sempre di repertorio della capitale spagnola, con risibili commenti su questo nuovo fenomeno di protesta collettiva.

Poi, improvvisamente, un enorme numero di persone si sono riversate a Roma e, contemporaneamente, diverse città nel mondo hanno visto la presenza nelle piazze di tantissima umanità, soprattutto giovani che protestavano contro tutto, tenendo bene in conto un massimo comun divisore quale bersaglio: politici e crisi economica.

Quasi nessuno ci ha spiegato origini, significati o obiettivi di questo variegato e inusuale movimento, appuntando l’attenzione solo su alcuni episodi di violenza estranei allo stesso: annunciati, previsti e non evitati.

Passano gli anni, si avvicendano le generazioni, ma il film che danno in tv è sempre lo stesso.

Il movimento ha origini in Spagna, come il nome suggerisce; è nato il 15 maggio2011, inoccasione delle elezioni amministrative, tant’è che all’inizio si chiamava Movimento 15-M, con l’obiettivo di chiedere ed ottenere democrazia più partecipativa, che superasse il dualismo politico spagnolo rappresentato dal partito socialista e dal partito popolare.

Il movimento si è mosso attorno allo slogan (una volta si chiamava “parola d’ordine”) “non siamo burattini nelle mani dei politici e dei banchieri”.

Come dire: lottiamo contro l’universo.

Le caratteristiche un po’ donchisciottesche del movimento hanno immediatamente catalizzato tantissimi ragazzi, tradizionali consumatori di utopie.

Si sono aggiunti, poi, tanti veramente arrabbiati per l’andazzo delle economie mondiali trainanti (per il momento…).

Il movimento, per come nasce e per come vive, non avrà lunga vita, perché ci si può indignare su tutto e per il contrario di tutto, ma poi se non si è in grado di formulare un chiaro progetto politico, la corsa dura poco.

E’ servito, però, a dare una scossa al torpore che si è impadronito di intere società e a prestare la maggiore e dovuta attenzione a nuovi fenomeni sociali (disoccupazione giovanile, precariato…).

Quella che una volta era la mitica classe operaia, che negli ultimi cento anni è stata una dei protagonisti delle più grandi trasformazioni politiche e sociali di gran parte del mondo, oggi non esiste praticamente più.

Il grande capitale e il tradizionale codazzo di politici l’hanno azzerata progressivamente, con sottrazione di lavoro portato in paesi dove sopravvivono persone trattate al pari dei servi della gleba; con leggi che abrogano diritti faticosamente conquistati; con un aumento generale del costo della vita che costringe milioni di persone, una volta uniti nell’orgoglio di classe, senza distrazioni e individualmente, alla sopravvivenza.

Di quella che una volta era la piccola borghesia si sono perse le tracce.

La classe media fa fatica a riconoscersi e perde giorno dopo giorno posizioni di privilegio.

Sopravvivono, anzi vivono alla grande, gli speculatori d’ogni risma, quelli che vivono ai limiti e oltre i limiti della legge, o che per l’assenza di regole (il cosiddetto liberismo, libero mercato) hanno visto centuplicare i loro profitti.

Si pensi alla grande finanza che per la realizzazione del massimo profitto con il minimo sforzo riesce a speculare persino sul fallimento di uno Stato, come gli incredibili attacchi a diversi paesi europei stanno a dimostrare, con il pericoloso innalzamento dei tassi di interessi sui titoli di stato che fanno lievitare il debito pubblico.

Come spiegava un analista finanziario l’altro giorno in tv, il meccanismo è semplice e allo stesso tempo perverso: basta scommettere, per esempio, sul crollo di alcuni titoli e poi scatenare la corsa al ribasso su quegli stessi titoli cominciando a venderli massicciamente, anche al di sotto del prezzo d’acquisto.

Si aggiunga qualche informazione addomesticata, filtrata magari da qualche importante società di controllo delle transazioni finanziarie o che le transazioni le gestisce (chissà chi mai saranno queste mammolette della finanza internazionale???),  e il gioco è fatto.

Se poi, l’obiettivo sono i titoli emessi da uno Stato (per l’Italia: BOT, BPT, etc.), l’importante è attaccarne uno già pieno di debiti e palesemente incapace di fare fronte ai propri obblighi, tanto da  meritare solo scarsissima fiducia da parte dei mercati.

Così i grandi speculatori perdono da un lato con la vendita a minor valore dei titoli già in loro possesso, ma guadagnano in modo stratosferico dall’altro per l’alto corrispettivo che vanno ad incassare dalla scommessa al ribasso.

A bloccare tutto basterebbero delle regole.

Il capitale finanziario le uniche regole che concepisce, perché il denaro produca denaro senza badare all’economia, sono quelle che riguardano gli altri.

Come lo fu novanta anni fa con l’avvento del fascismo, la cui ascesa fu voluta proprio dal capitale finanziario, che “regolò”, sino alla disfatta totale, un intero Paese.

Indignarsi serve, e molto.

Ma, non basta.

Può farci uscire dalla condizione di letargia (per usare un’espressione cara a Papa Pio XI) ma non può determinare nuovi destini per milioni di persone.

Ci sarà sempre, per portare ad esempio quanto è oggetto di letterina pre-natalizia all’U.E., chi si indigna perché non è stato ancora abrogato l’art. 18 dello statuto dei lavoratori (quello che disciplina i licenziamenti nelle aziende con più di 15 dipendenti) e chi si indigna perché lo si vuole cancellare.

Come la mettiamo ?

Io, per esempio, sono molto indignato, tra tanto altro, perché tre regioni italiane sono da decenni e decenni sotto lo scacco della criminalità organizzata (mafia, ‘ndrangheta, camorra).

Non sarebbe il caso di pregare l’Unione Europea di richiederci anche una letterina  di impegni sul punto, se vogliamo continuare a sentirci ed essere europei ?