www.faronotizie.it - Anno XIX - n. 215 - Marzo

Il whisky di malto

Scritto da Piero Valdiserra il 1 gennaio 2015
facebooktwitterfacebooktwitter

Non si sa chi l’abbia inventato. Forse è arrivato addirittura dall’Irlanda, insieme con la lingua gaelica e con i primi monaci cristiani. Gli esegeti ne hanno trovato le prime tracce scritte alla fine del XV secolo. Il suo nome, whisky, è la modifica inglese del gaelico uisge beatha, l’equivalente della nostra acquavite.

Come che sia, il whisky di malto è da molti secoli il fedele compagno degli scozzesi. La sua storia è romanzesca, punteggiata com’è di tasse, doganieri, distillatori clandestini, contrabbandieri, alambicchi nascosti nelle campagne. In origine era spesso un distillato molto corposo, forte, fumoso e greve. Nelle Highlands, le terre alte, il whisky di malto era consumato tre volte al giorno, come tonificante di prima mattina, con il pasto e infine per interrompere la giornata di lavoro. Ottimo contro il freddo, era il viatico ideale per i viaggiatori, e li rifocillava al loro arrivo. Era presente agli incontri in società e sigillava gli accordi di lavoro. Era inoltre utilizzato come fortificante, antinfiammatorio, anestetico e disinfettante.

Dai raffinati consumatori londinesi il malto scozzese era considerato troppo rude, così a metà dell’Ottocento fu inventato il blended, ottenuto aggiungendo al whisky di malto del whisky distillato da altri cereali: il risultato fu un assemblaggio meno potente, meno deciso e dal gusto per molti più gradevole. In virtù anche del suo costo inferiore, il blended si diffuse largamente fino a diventare il tipo di scotch più consumato nel mondo.

La nuova, recente fortuna del whisky di malto è datata 1967, quando la geniale intuizione di un italiano, Armando Giovinetti, riscosse un grande, inatteso successo commerciale nel nostro Paese. Successivamente il consumo di whisky di malto si è diffuso pian piano negli altri Paesi del mondo, e sta oggi conoscendo una seconda giovinezza nella sua stessa patria d’origine, la Scozia.

Gli ingredienti per produrre il whisky di malto sono molto semplici e naturali: l’orzo, la torba (la cui combustione conferisce l’aroma e il gusto di affumicato) e l’acqua pura, non calcarea, con pochi sali minerali. La doppia distillazione avviene nei tipici alambicchi di rame, la cui forma non è sostanzialmente cambiata negli ultimi due secoli. Il periodo ideale di invecchiamento perché il malto esprima tutte le sue potenzialità è di almeno 10 – 12 anni in botti di rovere (anche se per legge ne sono richiesti soltanto 3). In bottiglia ermeticamente tappata si arresta completamente ogni evoluzione, per cui il prodotto conserva inalterate le caratteristiche che aveva al momento dell’imbottigliamento: un malto imbottigliato a 10 anni, cioè, dopo 30 anni di bottiglia avrà ancora 10 anni.

Il bicchiere tradizionale per il whisky di malto è il tumbler largo, senza piede, anche se non vanno male nemmeno il panciuto ballon o il bicchiere piccolo a tulipano. La temperatura giusta di degustazione è quella dell’ambiente. L’acqua è l’unica cosa che si può aggiungere al distillato, o che si può bere alternando le sorsate; l’optimum, come dicono alcuni, sarebbe l’aggiunta della stessa acqua della distilleria d’origine, per esaltare al massimo gli aromi nel bicchiere. Se pensate invece a un abbinamento particolare, andate sul cioccolato artigianale ad alto contenuto di cacao, su un buon sigaro dei Caraibi oppure, udite udite, su un formaggio di grande struttura (ad esempio un castelmagno o un parmigiano-reggiano, oppure uno stilton superstagionato).

Quale tipologia di whisky di malto scegliere? Si può andare dalle isole (Orkney’s, Jura, Mull, Skye, fino alla celeberrima Islay, patria dei torbatissimi Ardbeg, Bunnahabhain, Caol Ila, Lagavulin, Laphroaig, ecc.) ai classici e rotondi malti dello Speyside (p.es. Glenfiddich, Glenfarclas, The Glenlivet, The Macallan, The Balvenie), fino ai prodotti più particolari delle Lowlands e della penisola di Campbeltown.