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Confidenziali autobiografiche su…..la poesia

Scritto da Don Giuseppe Oliva il 4 ottobre 2011
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I lettori e gli amici coi quali si discorre di cultura, di libri, di pubblicazioni…hanno notato, e mi hanno fatto notare, la mia frequente attenzione alla poesia e ai poeti.  E’ una attenzione, dico subito, che ho sempre avuto, per una specie di affinità mentale coi poeti, una affinità non di sola ammirazione, ma anche di cosciente sintonia  col loro mondo poetico: intendo dire che quel mondo è risultato un mondo anche da me abitato, oltre che ammirato; mi sono sentito dentro quel mondo come uno di loro; ho considerato i poeti persone come me, grandi indubbiamente, ma non inavvicinabili; straordinari, sì, per i loro scritti, ma anche imitabili e forse uguagliabili; poi…la loro biografia, anche se conosciuta a tratti e sommariamente, me li ha fatti vedere  nella loro ordinaria umanità: li ho sentiti compagni di avventura, compagni simpatici più o meno , ragionatori pensosi o sbarazzini, un po’ acrobati tra fantasia e vita….comunque cervelli attivi….

Verso la imitazione

E’ successo poi che dalla ammirazione sono passato alla imitazione, quindi alla creatività poetica e ho avvertito il fascino e la importanza della parola poeticamente strutturata. Insomma…tu leggi i poeti e ti esalti….componi tu una poesia e constati che  la differenza  con quell’altra poesia…c’è! ma il mondo poetico è quello…che fra te e quei poeti non c’è paragone…ma anche tu sei poeta a modo tuo….sei uno di loro…in formato ridotto o ridottissimo…ma non sbagli a dire che quel mondo ti appartiene.

Scrivendo poesie

E avviene che, quando cominci a scrivere poesie, ti porti in quota fantastica come puoi, secondo le tue qualità e nella misura della cosiddetta ispirazione che avverti, quindi tu scrivi nella consapevolezza di elaborare contenuti poetici  nella forma e nella sostanza e, alla fine, cerchi di giudicare quel prodotto, per così dire, secondo criteri che sono tuoi e non sono tuoi, ma che tendono a darti una risposta sufficiente perchè tu possa dichiararti soddisfatto o non. Proprio su questo soddisfatto o non è il problema della valutazione della tua sensibilità poetica e della capacità che hai di maneggiare la parola. Ti senti allora, sì, poeta, ma non puoi dire che sei riuscito poeta, perchè essere è una cosa e riuscire un’altra: alla riuscita devono concorrere diversi fattori.

In compagnia dei poeti: epici, lirici e drammatici

E’ avvenuto che, cercando, leggendo e studiando i poeti dalla scuola elementare a quella liceale e oltre, mi sono trovato nel vasto  mondo della letteratura e ne sono stato conquistato, a cominciare dallo studio della lingua, dello stile, del linguaggio, passando per la metrica, quindi per i generi letterari, per finire con l’avviamento al comporre.
A distanza di tempio  oggi posso dire che l’impatto con la poesia epica (Omero e Virgilio) e cavalleresca (Tasso e Ariosto) fu meraviglioso: quella poesia mi dava il senso della grandiosità fantastica dei personaggi, dei luoghi e degli avvenimenti. Muovermi su quelle coordinate di umanità, ora vincente, ora soccombente, ora buona, ora cattiva, era per me gratificante, per via di quella verosomiglianza che c’è tra il fantastico e il reale. Riguardo alla poesia lirica è sufficiente che io dica che da……Guido Guinizzelli a….Eugenio Montale ho avuto tempo e modo, fino ad oggi,  di guardarli in faccia tutti  o quasi tutti i poeti, intrattenendomi con essi, s’intende, secondo diverse modalità: Dante…Metastasio…Foscolo….Leopardi…Gozzano…Ungaretti…e via dicendo…ognuno è una vita, una poesia, una specie di simbolo. Con la poesia drammatica devo dire che il confronto vero è iniziato con i tragediografi greci Eschilo, Sofocle ed Euripide, per la loro capacità di decrivere le passioni umane all’interno di una fatalità incombente e di antefatti che stanno tra l’epica, il mito e la leggenda. Non escludo precedenti incontri soprattutto con Shakespeare e con Ibsen, ma la tragedia greca mi portò in quota alta e mi avvicinò un po’ anche a Vittorio Alfieri, del quale, veramente, solo il Saul mi aveva entusiasmato.

Quindi la imitazione – l’epica

Data per scontata l’ammirazione per i poema epico, per  la lirica e per la tragedia, era evidente che bisognava lasciare in pace la poesia epica, non più imitabile per ovvie ragioni che non è il caso qui di esporre. Ma andava apprezzato molto e, all’occorrenza tradotto in altre forme, quel patrimonio  di fantasia, di creatività, di grandiosità che rendevano immortali Omero e Virgilio, Tasso e Ariosto…E fu così che in formato ridotto e in tono modesto non esitai a cantare avvenimenti e personaggi minori o minimi in stile epico-narrativo in ottave sonanti, il tutto poi naturalmente…finito nel macero…ad eccezione di un’epopea calcistica che rimase tra le vecchie carte e che ho rintracciato e rispolverato: è in sestine anzichè in ottave, è una specie di rassegna di personaggi  o eroi alla maniera omerica,e, ovviamente, è celebrazione. Al posto degli eroi combattenti  ci sono i calciatori, che sono nove e non undici perchè il campo sportivo del Seminario Regionale di Reggio Calabria era ridotto, insomma….al pensiero che io abbia potuto correlare una parata calcistica a una specie di ribalta di personaggi  omerici o virgiliani….si può sorridere…e nello stesso riconoscere che in definitiva la poesia e la fantasia si accampano là dove la realtà si presta ad essere osservata e trasfigurata da occhio e mente di…poeta. Ecco:

La squadra del III^ Liceo

 Oh, se Musa vi fosse che il mio petto
ispirasse a cantar di calciatori,
certo, la invocherei con grande affetto
perchè i versi miei fossero allori;
ebbene, io canto come il cor mi detta,
e sia questa poesia nobile e schietta.

Come gli atleti, poi che le membra hanno
unto dell’olio, il solido andamento,
calpestando frementi il suolo vanno,
tant’è l’ardore pel combattimento,
ed attendon d’inizio il lieto segno
con chiaro ed agonistico contegno,

si del terzo liceo i calciatori,
che celebrare intendo in questi versi,
stanno nel campo mostrando vigore
ed osservando i giocatori avversi,
muovendo gli occhi per lo spazio cinto
che mostra sempre un vincitore e un vinto.

Vencia è il portiere, il gran portiere aitante,
di quella squadra splendida difesa,
dimostra d’esser sempre vigilante
perchè la rete sua non sia mai lesa,
e respinge il pensier che una vittoria
dia alla squadra avversa onore e gloria.

Celebri sono i tuffi in alto e in basso
di tal bravo portiere e le volate,
salta qual molla e agile è il suo passo,
capolavori son le sue parate,
e se qualcosa in campo non va bene
gesticolando e gridando interviene.

Tarantino e Morano son terzini
e la lor fama si è sparsa in ogni parte,
son guardiani bravi, son martini,
son tessitori quando ci vuole arte;
i palloni respinti dai lor piedi
fendono l’aria e li vedi e non vedi.

L’attaccante avversario cede quando
il rapido Marano gli è vicino,
o se nota che quasi saltellando
gli si fa incontro l’abil Tarantino:
nella contesa questi difensori
riescon sempre a essere i migliori.

Avanti, all’ala destra, è il padre Lando,
celer, come Achille, il piè veloce,
dribla chiunque e poi quasi burlando
ora palleggia ed ora finge: nuoce
frattando a chiunque, si ch’egli il passaggio
s’apre dovunque con l’altrui svantaggio.

Ora di testa il colpo, ora di tacco,
or lo sgambetto schiva e calcia in porta,
scavalca intoppi e passa al contrattacco,
certo, una forza occulta avanti il porta;
l’occhio si stanca nel seguirlo, tanto
 si muove bene e sempre e proprio vanto.

Ala sinistra è poi il buon Ritorto,
il qual, sebben non abbia ardor pugnace,
che nelle vene infonde, e non a torto,
sacro furore e rende il cuor audace,
calcia brillante e con acuta mente,
non è mai sotto al più che sufficiente.

E’ centrattacco il prefetto Varrone
che spicca sempre nell’eletta schiera,
e quando ferve il concitato agone,
egli è per tutti e sempre la bandiera;
muove i suoi passi dove si richiede,
chè da buon capitano tutto vede.

E quando in campo , nel suo ruolo esatto ,
si muove in prima linea per sfondare,
guarda a ventaglio ed, osservato il fatto,
pensa al bel tiro in porta da sferrare;
sempre agile ed occhi vivi e attenti,
resta stratega in mezzo ai combattenti.

Giliberti è mezz’ala e la sua parte
compie per quanto il gioco gli permette,
corre affannato e non s’en va in disparte,

gioca nel folto della mischia e mette a
ogni energia a compiere saltelli

si che la veste riduce in brandelli.
L’altro è Laruffa che con mossa ardita
 irrompe spesso a sovvertir la quiete
d’ambo le parti ed allor lui invita
a qualche compagno per lanciarlo in rete;
e così avvien che quel che non fa lui
riesce a farlo per opera altrui.

E’ Geroldino alfin centro sostegno,
possente nell’oprare a tutto campo,
talmente è fuso dentro quell’impegno
che all’avveersario non concede scampo;
ha il gusto dello scontro e della mischia
e non gli importa se talvolta rischia.

Nessun mi accusi di servile omaggio
se a questa squadra forte e vincitrice
con questi versi ho ritenuto saggio
levare in poesia quel che si dice:
è del poeta conservare vive
le imprese che si chiamano sportive.

Ricordo bene le protese mani
tutti plaudenti ai bravi cacciatori,
e i tanti “evviva” uscir da petti sani
e in qualche punto anche volar fuori.
E’ questo il calcio di fatiche e attese
che poi esplode nelle grandi imprese.

Onore dunque, e tanto di cappello,
e che sia lunga e facile la via.
Ma è già in programma, e, certo sarà bello,
l’incontro con la quarta teologia.
Già sento e vedo dentro i versi miei
quelle battaglie fra Troiani e Achei.

 La lirica

Per la lirica, in tutte le varie accezione e forme, il campo era senza limiti, perciò imitazione e creatività si espressero in lungo e in largo…Tanto che, oggi, se raccolti, tutti quei versi riempirebbero moltissime pagine…ovviamente con valore artistico assai ridotto. Ma come per  la poesia  epica così per la lirica ho scelto due comparazioni di quei tempi, rispolverati e riveduti…ed eccoli: il primo è un sonetto, forma poetica molto nota e usata (Petrarca ne scrisse ben 317 e Carducci parecchi..) e riguarda l’organista del Seminario che si chiamava Giuseppe Amoroso:

All’organista

Occhi cilesti, fronte corrugata,
folti e neri i capelli e ben disposti,
spessa la barba, sguardi ognor composti,
snella persona, faccia compassata
Burbero, sì, quando una improvvisata
celia gli vien da amici un pò nascosti,
ma può accadere allora ch’egli imposti
la bocca e gli occhi a tacita risata

Quando all’organo siede, a sè s’invola,
premendo i tasti con perizia fine,
e il volume col piede modulando.
Nella cappella come fluttuando
le armonie si spandano divine
dentro le quali la mia mente vola.

Insomma sa un pò del ritratto (è evidente l’imitazione di Foscolo, Manzoni ed altri…) ma complessivamente regge…almeno per il …5  e 1/2

Il secondo componimento intitolato “Alla sera” è un misto di Pascoli, Gozzano, Corazzini, forse anche di Arturo Graf; nulla quindi ha a che fare con l’omonima poesia di Foscolo, nè con La mia sera di Pascoli. L’ho scelta perchè in essa mi rivedo sui venti, ventidue anni, in ricerca di una forma che ancora non possiedo e dentro un mondo ancora sentimentale. Anche a questo componimento  non lesinerei il 5 e 1/2.

Sulla lirica mi  fermo perchè il discorso- confronto con la sua evoluzione sarebbe lungo e complesso, come può ben intuire chi si intende di poesia. D’altronde il tono confidenziale  di queste mie note non esige una trattazione completa dell’argomento. In sosteanza lo scopo di questo scritto è dire che per tendenza e per coinvolgimento nello studio la letteratura poetica è entrata in sintonia con un ragazzo che si è accorto, studiando, che la poesia gli era particolarmente cara. Ecco

Alla sera

Mite sera, argentata, cullante,
che ritessi un mio sogno lontano,
un mio palpito oscuro, tremante,
un pensiero che oscilla tra il vano.

Mi sei tu tanto cara come i fiori
che raccolsi e odorai tra le mani,
sconfinata, insondabile come i cuori
dei poveri esseri umani.

Rimembri il lutto, degli angeli in volo,
del cielo fai un manto trapunto,
somigli tanto al cuore solo solo
che interroga il suo mistero, compunto.

Perchè sei così timida, leggera,
e passi come un’ala sulle teste?
Sei della solitudine primavera,
tregua fra le lotte e le tempeste.

Bella sera infiorata di preghiere,
che nel silenzio tendono a salire!
Come onde lunghe contro la scogliera
fan ressa i pensieri sull’avvenire;

e tutto è onda, un agitarsi di mondi,
un protendersi alla pace infinita,
specchiarsi alfin negli azzurri profondi,
dove brilli come una stella la vita.

La poesia drammatica

Nella forma letteraria della tragedia o del dramma ho sentito la complessità della vita umana, anche un pò la sua enigmaticità. Quando questa verità della nostra condizione di esistenza diventa oggetto della poesia…allora l’uomo-singolo e l’uomo-umanità vengono posti sotto una lente d’ingrandimento che gratifica, per quel di più che essa poesia sa dire nel modo e nella sostanza: i personaggi, il dialogo, i cori (quando ci sono), la trama degli avvenimenti sono fattori importanti al fine di narrare l’uomo in quel che appare e in quel che ha ma non si vede interamente o bene.

Ricordo come fui preso emotivamente e intellettivamente dalla rappresentazione de I masnadieri (in forma ridotta) di Schiller, eseguita dagli attori della I^ teologia: quel che fino ad allora era solo lettura ora era azione e dialogo. Nei giorni e negli anni successivi, accanto alla lettura e allo studio di tragedie e di drammi, cominciò a correre parallela …anche la composizione di tragedie  e di drammi …composizioni come impostazioni, canovacci, dialoghi e cori…insomma la cosiddetta poesia drammatica mi diventò familiare…tanto che a 24 anni avevo già pronto il mio Corradino di Svevia, tragedia in cinque atti e un prologo di oltre 2000 versi. E dopo…ho continuato in versi e in prosa…tanto che, rovistando oggi tra le carte, trovo in merito scritti che stanno tra…la semplice enunciazione tematica e…la stesura quasi ultimata: naturalmente sul loro valore il discorso cambia…

Dal “Corradino di Svevia” mi permetto trascrivere due tratti di due Cori: il primo riguarda il dopo-battaglia di Tagliacozzo:

Il campo è un cimitero senza croci,
la terra dissolta ammutolisce e sta,
aspettando che un soffice e sinistro volitare
s’incurvi per l’aria raccolta della sera,
attendendo l’avanzare dell’ululo solitario,
poi le ossa insepolte, la polvere di spoglie ignote.

Il secondo riguarda la fine di quella avventura che si concluse con la decapitazione di Corradino.

Fu una fiammata e si è spenta;
ma ha lasciato riflessi pensosi
come di un’iride infranta .
Ti affidasti alla forza e al coraggio
per dominare da un trono, e la storia
cui chiedevi immortalità gloriosa,
ti accoglieva pietosa
……
ancora siamo uomini, gli stessi
del tuo tempo, con le stesse passioni.
Inseguiamo chimere per stringerle,
ci balocchiamo col diritto e con la forza,
siamo ancora intricati in un velo
che ci nasconde l’immenso mistero.

All’intera tragedia…diedi il voto di un…6.

 Oggi

Sì, ho scritto tanto, da allora. Riguardando il percorso fatto, trovo che la legge del movimento o del divenire, riguardante la nostra vita, è di una ovvietà disarmante: oggi scrivo diversamente ma mi riconosco lo stesso di ieri, perchè la maturazione dentro la quale avanzi, spesso senza accorgertene, è sempre la risultante di quel che sei stato, sei e che oggi divieni. Non trascrivo alcuna poesia del mio oggi, cioè di quel che attualmente sento e vivo poeticamente. Conto di dare alle stampe la mia raccolta definitiva. Può darsi che ci diremo qualcosa sull’argomento sulle pagine di Faronotizie.