www.faronotizie.it - Anno XIX - n. 215 - Marzo

L’asilo infantile

Scritto da Giorgio Rinaldi il 1 aprile 2013
facebooktwitterfacebooktwitter

Avevamo sperato in un significativo rinnovo della compagine parlamentare, con volti nuovi e, soprattutto, giovani, incontaminati dalle vecchie pratiche governative, per amministrare in modo efficace e trasparente la cosa pubblica.

Aspettative che si facevano sempre più stringenti per la consapevolezza di un Paese oramai giunto al cosiddetto “punto di non ritorno”, vista la situazione di completo sfascio, non solo economica e politica, a breve non più rimediabile.

Disoccupazione alle stelle, prospettive per i giovani uguali quasi a zero, fisco soffocante, giustizia in coma, diritti dei cittadini continuamente sopraffatti, burocrazia imperante, riforme da barzelletta, credibilità internazionale al lumicino…. E si potrebbe continuare ancora per molto.

Il Paese è quasi in uno stato comatoso e chi ancora resiste è continuamente spinto a trovare lidi più ospitali: tassazione decente, costo del lavoro accettabile (per via del minor carico fiscale e contributivo), burocrazia rapida ed efficiente, prospettive occupazionali interessanti.

Siamo in piena recessione, come era facile prevedere ed era stato previsto (tranne che da qualche ministro montanaro e seguaci), e si continua a sottrarre liquidità al Paese aumentando continuamente le tasse o inventandone di nuove.

Le recenti elezioni politiche hanno portato, in parte, una ventata nuova, con un Parlamento di gran lunga rinnovato e con l’ingresso di una cospicua armata di “persone comuni”, che ci avevano rassicurato sull’affacciarsi di un nuovo modo di governare.

Alla prova dei fatti, però, la delusione è stata cocente.

Tanti nuovi parlamentari che non sanno di cosa parlano; altri che si sono gravemente inimicati, da quando hanno imparato a leggere, scrivere e far di conto, con la storia e la geografia; qualcun’altro da vero e proprio ricovero in qualche reparto psichiatrico; molti animati dal sacro fuoco della giustizia, con poche idee, spesso confuse, tanta inesperienza di vita (come sapere che a discutere con gli idioti si perde solo del tempo perché vincono sempre loro che sono dei professionisti), poca umiltà, molta arroganza.

Una sosta in qualche biblioteca pubblica, o meglio per il popolo internauta un saccheggio di wikipedia, avrebbe consentito una qualche riflessione sulla ineliminabile differenza tra Montecitorio e il Palazzo d’Inverno, tra Palazzo Madama e la Bastiglia, tra un Parlamento occupato dall’accozzaglia fascista e l’Aventino, che vedeva un forte gruppo di eroici parlamentari cementati ideologicamente.

Una lettura della storia politica degli ultimi anni del nostro Paese avrebbe permesso ai novelli donchisciotte di vedere altri in camicia verde che al grido di “Roma ladrona” volevano distruggere il Palazzo, ma poi con i soldi dei contribuenti si sono ristrutturate anche le loro case, seppur solo per essere degne di ospitare dei dottori in cosmogonia albanese.

In ogni attività della vita ci sono delle regole, anche in un semplice gioco, e quando si intende partecipare il regolamento deve essere osservato, tutto, senza che sia possibile e consentito di accettare solo alcune regole e rifiutarne altre: io non voglio votare il tuo candidato ma voglio, perché ne sei “obbligato”, che tu voti il mio; non voglio partecipare ai “riti” parlamentari” perché sono il vecchio che contrasta il nuovo che avanza, ma se non voti il mio candidato per la carica di questore della Camera sei un prevaricatore (per usare il solito e classico eufemismo); non voterò altri governi ma pretendo che gli altri votino il mio, anche se non è dato sapere come dovrebbe essere e guidato da chi.

Troppo comodo.

Troppo puerile.

Quando si contestano delle regole, se ne devono contrapporre altre, che devono essere da tutti accettate, e non giocare (come fecero quelli in camicia verde) a fare l’opportunista perché si ha un voto determinante per questo o quel partito.

All’asilo si facevano i giochi più strani: si parlava con le nuvole, si mangiava la farina lattea che ci regalavano gli americani, si davano calci ai muri, si piangeva senza motivo, ci si addormentava sul banco, si giocava con i grilli…

Poi siamo cresciuti, e ci siamo accorti (non tutti per la verità) che il mondo era diverso dall’asilo infantile.

Oggi, leggendo i giornali, guardando la TV, ascoltando la radio, navigando in internet, ci rendiamo conto di assistere ad una sorta di regressione, quelli che ci dovrebbero governare sembra che stiano per entrare all’asilo infantile, pronti ad obbedire alla mitica Suor Gioconda, che quanto a barba non aveva nulla da invidiare a nessuno, uomo, donna o animale.

Anche quelli più “grandicelli” non si sono accorti che si sono iscritti alla scuola sbagliata, e confondono le equazioni con gli equinozi.

La storia infinita dei due militari italiani detenuti in India ne è l’esempio lampante.

Rifiuto di farli ritornare in India nonostante l’impegno formale del Governo alla sola trasferta elettorale.

Rifiuto dell’India nel riconoscere l’immunità diplomatica del nostro Ambasciatore.

I due incredibili episodi, seppur di inaudita gravità il secondo, hanno trovato un blando riscontro nelle Cancellerie di tutto il mondo, e questo non può significare altro che è mancato il necessario accordo, o almeno preventiva informazione, con gli altri Paesi, sicché abbiamo fatto la peggior figura che si potesse fare, forse solo seconda alla fuga del re all’indomani dell’8 settembre 1943, quando – per la prima volta nella storia dell’Umanità- abbandonò il suo esercito allo sbando, senza ordini e alla mercé del nemico.

Ovvio che se la magistratura avesse ritenuto di emettere un qualche provvedimento cautelare (ritiro del passaporto) o restrittivo (arresti domiciliari), visto che c’è un fascicolo aperto a nome dei due “marò” per l’ipotesi di omicidio, i due militari non sarebbero di certo potuti tornare in India, e il nostro Paese non ci avrebbe rimesso la faccia.

Ma, questo sarebbe stato un provvedimento che la magistratura avrebbe dovuto adottare in piena autonomia di decisione, perché il Potere Esecutivo non ha alcuna influenza con l’Ordine Giudiziario.

Così come anche in India il Governo non ha alcun potere sulla magistratura, ad onta delle promesse di una pena mite nel caso di accertata colpevolezza.

Quanto all’altra promessa indiana, strombazzata come conquista italiota, di scontare il carcere in Italia, qualora i marò condannati, vale la pena osservare che la firma del trattato sul carcere per i cittadini dei due Paesi, nel quadro di ordinari accordi internazionali e di trattative antecedenti al caso dei “marò”, dovrebbe essere firmato, ma non è sicuro, il 2 aprile: come al solito si stanno facendo i conti senza l’oste, anzi –addirittura- prima di entrare in osteria.

Ma, per i “grandicelli”, almeno all’apparenza, o alla luce dei risultati, la mano sinistra non sa mai quello che fa la mano destra, ovvero tutt’e due stanno intrecciate a roteare i pollici, e sulla testa di due militari ognuno coltiva il suo interesse di bottega, italiano o indiano che sia.

All’asilo si facevano giochi più strani, c’era chi sognava che da adulto avrebbe fatto lo sceriffo, il pompiere, lo scienziato; chi immaginava viaggi inesistenti; chi strappava di mano le matite e giurava che erano sue; chi raccontava le bugie più inverosimili; chi non conosceva il valore del giuramento; chi era un campione di egoismo e pensava di essere il più bravo di tutti; chi giocava con i soldatini di gomma e si divertiva a distruggerli; chi giocava “agli indiani” ma stava sempre dalla parte del 7° Cavalleggeri; chi voleva la merenda del compagno ma non mollava la sua; chi aspirava a diventare democristiano.

All’asilo infantile.