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Dopo il terremoto

Scritto da Carla Rinaldi il 1 giugno 2012
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Quando ci fu il terremoto dell’Irpinia, nel 1980, ero in macchina, stavo tornando da Mormanno a Rotonda, uno era il paese calabrese di mio padre, l’altro, il paese lucano dove vivevamo. Non sentimmo nulla e appena arrivammo a Rotonda, la casa in cui vivevamo era tutta crepata. Tempo qualche mese e ci saremmo trasferiti in un’altra casa. Dopo qualche anno ci fu un altro terremoto, era domenica, avevo fatto il bagno e mi stavo asciugando davanti ad una stufa nella stanza dei miei genitori. L’armadio mi stava cadendo addosso ma l’oscillazione orizzontale lo riportó indietro. Scappammo giù a piano terra, piangevo e tremavo. Alle scuole elementari qualche anno prima era caduto un pezzo di tetto, il boato era stato terribile e per anni ho avuto paura di addormentarmi appena sentivo un rumore forte. Quando mi sono trasferita a Napoli ogni volta che sentivo dei rombi d’aereo pensavo al Vesuvio.
Ora vivo ad Amsterdam, il problema qui non è il terremoto ma l’inondazione e quando piove molto, chiudono immediatamente le zone adiacenti alle dighe perchè il vento potrebbe spingere l’acqua oltre le alte barriere. In questi giorni la zona tra Rotonda e Mormanno continua a tremare incessantemente, dicono che il monte Pollino stia assestandosi di nuovo e la crosta sottostante sobbalzi per le rotture della crosta terrestre.

Il cratere profondo che si è creato nel piccolo paese dell’Emilia e la sabbia che ha inondato il salotto di un emiliano, sono le immagini di questi giorni che mi ritornano in mente costantemente ma ciò che più mi ha colpito è stato sentire un solo coro che chiede non gli oggetti sotto le macerie, fotografie, vestiti, la stessa casa o si lamenta per il cambio repentino della sua vita, ma solo di lavorare. Non ho memoria per ricordare cosa dissero in Belice o in Friuli tanti anni fa ma sono certa che fossero le stesse parole. In poco tempo I cittadini si riorganizzarono le case e il lavoro, tutti a spalare e a togliere macerie. Quando ci fu il terremoto in Irpinia, anche lì ho poco memoria televisiva, avevo cinque anni, ma da giornalista, quando vivevo a Napoli, mi capitava spesso di raccogliere storie di terremotati e mi colpiva la scelta che quasi tutti avevano fatto, restare nelle loro case, spesso i bassi, piuttosto che andare nelle case nuove appena fuori Napoli.

In realtá molti di loro presero la casa, restarono nei bassi e fittarono la casa nuova che lo Stato aveva loro fornito. Io sono meridionale, napoletana, lucana e calabrese, ma non posso non riconoscere quanto i settentrionali abbiano sempre dimostrato, soprattutto in questi casi estremi, quanto tengano dignitosamente alle loro capacitá, non aspettano nessuno per togliere il fango dopo l’alluvione, non piangono teatralmente ma si rimboccano le maniche immediatamente.
Tante immagini del sud post terremoto e le più frequenti erano ” eh, lo stato non fa niente, noi siamo qui, che dobbiamo fare”. La frase più frequente al nord ” vogliamo lavorare, ci importa solo quello”.
Se e’ vero che lo Stato siamo noi, lo siamo sempre, siamo noi lo Stato che pulisce la propria strada dalla sporcizia, siamo noi lo Stato che fa la raccolta differenziata, siamo noi lo Stato che capisce quando e dove costruire per stare al sicuro, siamo noi lo Stato e se lo siamo lo siamo sempre.
Lo Stato che ci deve aiutare a spostare le macerie, che si cerca il lavoro, che denuncia le malefatte, siamo noi, Antonio, Gennaro, Francesco, Maria, quelli che il terremoto o un ‘altra catastrofe ha colpito. Questo è lo Stato e lo Stato non delega un altro per risolvergli la vita o spalargli la casa dal fango. Lo ”Stato” emiliano e’ un esempio esemplare di civiltá e intelligenza.

 

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