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La tequila

Scritto da Piero Valdiserra il 1 luglio 2015
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Le tracce più antiche delle origini della Tequila risalgono a circa duemila anni fa: a quell’epoca le tribù indiane del Messico centrale scoprirono che il succo della pianta dell’agave, se lasciato esposto all’aria, tendeva a fermentare e a trasformarsi in una bevanda lattiginosa moderatamente alcolica. Quando nel Cinquecento arrivarono in Messico gli spagnoli, essi presero a distillare il debole fermentato degli indigeni, applicando in loco le tecniche produttive europee; e si accorsero ben presto che l’acquavite ottenuta dalla pregiata agave blu del villaggio di Tequila aveva un gusto decisamente superiore. Fu così che a metà dell’Ottocento milioni di piante di agave blu vennero messe a dimora nei dintorni di Tequila, in quello che sarebbe diventato lo stato di Jalisco; e gradualmente il distillato che veniva là prodotto cominciò a essere conosciuto come Tequila (allo stesso modo in cui il distillato di vino della regione francese di Cognac venne conosciuto nel tempo  semplicemente come “Cognac”).

La produzione della Tequila, oggi regolata rigidamente dal governo messicano, può avvenire solo nella regione di Jalisco, con l’utilizzo di almeno il 51% di zuccheri residui ottenuti dall’agave blu locale. Il distillato prodotto fuori dalla regione, oppure con altri tipi di agave, viene detto mezcal, ed è normalmente considerato meno pregiato.

La pianta dell’agave blu cresce per circa una decina di anni prima di raggiungere la sua piena maturità. A quel punto viene tagliata e privata delle foglie; la sua parte centrale, dalla forma simile a un’enorme ananas, viene suddivisa in pezzi e posta in appositi forni di cottura a vapore. La fase successiva consiste nel pressare l’agave cotta per estrarne il liquido dolce, che poi viene messo a fermentare. La fermentazione dura da un minimo di 48 ore ad alcuni giorni; il mosto fermentato è quindi distillato due volte in alambicchi discontinui tradizionali, un tempo in rame e oggi in acciaio inossidabile.

Il colore del distillato e il suo eventuale invecchiamento danno luogo a quattro tipi diversi di Tequila:

  • Silver, o Blanco: Tequila chiara, senza invecchiamento, oppure con un piccolo affinamento (non più di 60 giorni in contenitori d’acciaio inossidabile);
  • Gold: Tequila non invecchiata, colorata e aromatizzata con caramello;
  • Reposado: Tequila affinata in tini o in fusti di legno, per un periodo minimo di legge di due mesi (le marche migliori invecchiano in legno fino a nove mesi);
  • Añejo: Tequila affinata in barili di legno per un minimo di dodici mesi (con le marche migliori che arrivano fino a 3-4 anni).

A differenza degli altri distillati, i pareri sull’invecchiamento non sono tuttavia concordi: molti produttori di Tequila sono infatti contrari, perché ritengono che un eccessivo passaggio in legno possa coprire le caratteristiche note aromatiche terrose e vegetali dell’agave blu.

Come si gusta la Tequila? Innanzitutto alla maniera messicana: mano tesa davanti a sé; palmo basso; tensione delle dita in modo da formare tra l’indice e il pollice una piccola fossetta. Si riempie la fossetta di sale, che con movimento rapido si getta in fondo alla gola. Il piacere che dà poi la Tequila è molto forte, e può essere aumentato succhiando una fettina di limone. Perché sale e limone? L’agave blu dona all’acquavite un particolare sapore pungente ed erbaceo, che viene efficacemente controbilanciato proprio dall’uso di sale e limone.

Molto diffuso è poi l’impiego di Tequila nel bere miscelato: ricordiamo qui soltanto due ricette internazionali famosissime, il Margarita (Tequila, succo di lime o limone, liquore all’arancio e ghiaccio) e il Tequila Sunrise (in cui al distillato messicano vengono aggiunti succo d’arancia, sciroppo granatina e ghiaccio). Naturalmente i tipi Reposado e Añejo si degustano al meglio lisci.

La grande fortuna internazionale della Tequila ha imposto in tutti i Paesi un ristretto novero di marche di successo: Josè Cuervo, Sauza, Casa Noble, Sierra, Camino Real, Montezuma, Olmeca.