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Il Becchino

Scritto da Massimo Palazzo il 1 novembre 2014
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A poca distanza da casa mia  c’era una grande officina   riservata ai camion, sopra ad essa due abitazioni, di fronte un  piazzale con dimensioni adatte ad ospitare questi bestioni. In una delle due case  risiedeva il proprietario,  nell’altro una coppia  con un figlio  della mia stessa età. Non eravamo compagni di scuola, ci eravamo conosciuti  e cominciammo a frequentarci  per la passione comune per i motorini. Terminate le medie lui non ne volle più sapere di continuare a studiare, cominciò a lavorare come garzone nell’officina sotto casa non ricavandone grosse soddisfazioni. Lavoro, ragazzine, discoteche niente lo interessava quanto il motocross al quale pensava e si dedicava completamente forte della propria convinzione di essere vincente  e veloce.  Acquistò una moto da gara, il carrello e tutto l’occorrente,  si buttò a capofitto per arrivare a traguardi presenti solo nella sua immaginazione   impiegando soldi, facendo impazzire il povero padre per farsi accompagnare  ogni momento libero agli allenamenti . Non passò molto tempo e si rese conto che era uno sport a lui  riservato solo per il divertimento.  Nel frattempo smise di lavorare in officina, il motocross non occupava più la maggior parte dei suoi pensieri e fantasie, raggiunta la giusta età si comperò una macchina  ed entrò  a lavorare come infermiere in ospedale. Dopo un periodo di pratica in vari reparti  vista la bravura e l ‘instancabile applicazione, si fermò in sala operatoria, restò parecchio tempo fino a quando  si liberò un posto all’obitorio. Nessuno prendeva in considerazione questa opportunità, lui  stanco degli orari, delle tante ore e delle responsabilità, colse l’opportunità e si trasferì. Ci lavoravano da molti anni due anziani infermieri uno dei quali prossimo alla pensione, entrambi lo  presero  in simpatia, lo trattarono bene e gli insegnarono velocemente il lavoro. Si affezionò  al nuovo posto, ai colleghi che parlavano poco come lui, non si impressionava quando doveva aiutare il medico per le autopsie, le riesumazioni giudiziarie, il vestire i morti e tutto quello che comporta un lavoro di questo genere e che non tutti accetterebbero di fare. Era molto soddisfatto   soprattutto della calma che c’era in questo  nuovo reparto, se non c’erano decessi non passava nessuno, i pazienti  non si lamentavano, i colleghi degli altri reparti giravano alla larga, nei tempi morti, restava in ufficio a leggere, sentire la radio, giocare a carte. Una volta passai a salutarlo  e non lo trovai, l ‘obitorio era  deserto, i colleghi non c’erano,  lavoranti delle pompe funebri  e parenti nemmeno.  Iniziai a passeggiare all’interno ed all’esterno, stanco di aspettare e curioso aprii la porta della prima camera ardente e  c’era una salma, nella seconda due,  nella terza ne vidi tre ma, con mio immenso stupore in mezzo ai due lettini con i lumini accesi alle estremità  c’era lui che dormiva. Per fortuna  lo vidi subito perchè se si fosse alzato a mia insaputa non so’ cosa sarebbe successo.
Un anno andammo a Monte Carlo  in compagnia di altri amici  a vedere il gran premio di formula uno, alla fine delle prove ci  recammo  in spiaggia.  Nessuno poteva lontanamente immaginare che avrebbe steso i teli e i cuscini viola  che usano le pompe funebri per la camera ardente. Alcune  ragazze  si erano unite a  noi, lui gentilmente glieli  offri, le vedemmo  subito dubbiose pertanto ridendo svelammo la provenienza. Non solo loro ma nemmeno noi li usammo. Tra le stranezze che un lavoro del genere comporta ne ricordo una in particolare. Portarono  in obitorio un cadavere di un malavitoso decapitato,  in attesa di comunicazioni giudiziarie venne messo in cella frigorifera. Quando alcuni giorni dopo, ad autopsia terminata diedero il lasciapassare per la cerimonia funebre, arrivò il fratello che  supplicò il mio amico becchino  di trovare un rimedio per renderlo presentabile. Non sapeva come affrontare il problema, nemmeno poteva chiedere consigli poichè i colleghi erano assenti, finchè durante la vestizione gli venne l’idea. Prese un pezzo di manico di scopa, lo inserì, ci mise sopra la testa, una volta stretta   la camicia e la cravatta   tutto  tornò normale. Il fratello e i parenti  furono soddisfatti e lui si guadagnò una bella mancia. Restò parecchio tempo a lavorare in obitorio, se ne andò quando inaspettatamente decise di comperare un ristorante, una scelta, meglio, un colpo di testa che, nonostante il parere contrario di tutti lui volle affrontare. La mamma, persona dotata di umorismo e infinita pazienza giudicando la scelta del figlio mi disse, dai morti ai vivi. Partì con grande entusiasmo, se fosse stato per la sua gestione si sarebbe meritato ben altra sorte purtroppo il locale, penalizzato dalla posizione infelice che aveva già portato ad un brutto epilogo le precedenti gestioni, riservò la stessa sorte anche a lui dopo poco più di un anno.  Il suo peggior difetto era quello di prendere sempre decisioni affrettate, non avere pazienza, non  ascoltare consigli da nessuno. Aveva conosciuto una ragazza e senza aspettare troppo tempo per conoscerla decise di sposarla. Era  senza lavoro, da poco sposato,  nonostante l’insuccesso del ristorante, si era  fatta  strada nella sua testa l’idea di un  bar in centro città. Diceva che era da tempo un suo sogno, era il posto che frequentava di più, la sua seconda casa,  lo voleva  per restarci sempre .  Fu un’altra scelta infelice da dove ne uscì a pezzi.  La vicinanza della moglie, la pazienza infinita dei suoi e il ridimensionamento delle  idee bizzarre, lo portarono ad accettare di lavorare per una compagnia di trasporti per lunghe distanze con i camion.  Nel mezzo di tanti fallimenti e decisioni affrettate una cosa per fortuna sua aveva funzionato, il matrimonio. Nacque un figlio, il lavoro sicuro, l’affetto e questa gioia lo resero felice e  calmo. Aveva finalmente trovato quella  tranquillità che cercava, partiva con l’obbiettivo  di tornare al più presto dalle lunghe trasferte per restare con i suoi cari.
La lezione seppur a caro prezzo gli era servita .