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La pace si fa con il nemico

Scritto da Giorgio Rinaldi il 1 agosto 2014
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Il vecchio adagio sembra una banalità, ma solo all’apparenza.

Basta fermarsi a rifletterci anche solo fugacemente per rendersi conto che, spesso e volentieri, ci si riempie la bocca di slogan pacifisti; si discetta di pace nelle discussioni e, chi credente, invoca la pace nelle sue preghiere; si ripetono meccanicamente le esortazioni dei leaders carismatici ma, poi, ci  si schiera in modo manicheo con una parte o con l’altra dei contendenti, sposandone le ragioni sino alla piena e totale vittoria dell’una e alla completa disfatta dell’altra.

Non sempre i conflitti (che, naturalmente, vanno ripudiati) si prestano ad esaurirsi con azioni rapide che vedono un’assoluta supremazia militare di una delle parti combattenti.

Il più delle volte le guerre si trascinano per anni ed anni in modo sanguinoso e catastrofico, salvo poi scoprire che i nemici acerrimi di un tempo diventano i migliori partners.

Senza volgere lo sguardo sino alle guerre puniche, si può ricordare la seconda guerra mondiale, o quella del Vietnam, o i recenti conflitti nei Balcani.

Impensabile che paesi come la Germania, l’Italia, gli USA, il Giappone, il Vietnam… in appena pochi decenni siano diventati gli amici insostituibili di chi, a seconda dell’emisfero e dell’epoca, è stato aggressore o aggredito.

Altri conflitti, invece, non trovano e non possono trovare alcuna soluzione militare.

E, questo lo sanno benissimo i combattenti, ma interessi colossali fanno si che la carneficina debba continuare a scapito di una pace che si continua a fare solo con gli amici.

Ci riferiamo ad un conflitto in particolare, quello israelo-palestinese.

E’ di tutta evidenza che le ragioni si trovano nell’una e nell’altra parte.

Quella che era una terra di un popolo è diventata la terra di un altro.

L’uno ne rivendica l’appartenenza dalla notte dei tempi.

L’altro ne protesta la signoria per secoli…

Fatto sta che le potenze militari dell’epoca hanno disegnato a loro piacimento i confini di terre che non erano le loro, e oggi ne vediamo le conseguenze.

Fatto sta, però, che l’intera storia dell’Umanità è fatta di confini disegnati e ridisegnati.

Basta prendere una carta geopolitica di appena cento o duecento anni fa per vederci rappresentato sopra un mondo totalmente diverso.

Intere popolazioni, come quelle dell’Alsazia, nel giro di cinquant’anni hanno cambiato passaporto 5 volte o, come i nostri connazionali triestini, sono passati dall’essere austriaci ad austroungarici, a sudditi del Regno d’Italia, a membri del Territorio Libero….

Immaginiamo per un momento che ogni popolazione di qualsiasi parte del Globo iniziasse a rivendicare territori che 100 anni prima erano loro…

E, se poi, qualcun altro ne rivendicasse la proprietà per appartenenza 300 anni prima? O 500 ? O 1000 ?

E, se ancora qualcuno non ritenesse di bloccare le rivendicazioni territoriali al tempo del girovagare delle popolazioni celtiche per l’Europa e, invece, preferisse protestare una discendenza assiro-babilonese?

Si arriverebbe facilmente, così, alle migrazioni dei primi uomini e, a giusta ragione, tutta la Terra apparterrebbe agli africani, che possono vantare la storica partenza dei progenitori dal Continente Nero per colonizzare il mondo intero !

Quando vediamo sbarcare sulle nostre coste i migranti africani in cerca di pane, faremmo bene a pensare che stanno arrivando solo dei parenti a farci visita.

E’ di lapalissiana evidenza che l’invocato primato su una regione è privo di logica ragione e bisogna, invece, fare i conti con quella che è la consolidata realtà.

Nessuno può anche soltanto ipotizzare che i palestinesi possano scacciare gli israeliani dalla regione, né gli israeliani annientare i palestinesi.

La guerra non può portare né porterà mai alcuna soluzione.

I nemici sono costretti alla pace, volenti o nolenti.

Papa Bergoglio, ultimamente, è riuscito a far sedere attorno allo stesso tavolo, in Vaticano, i due contendenti, per cercare una ragionevole soluzione all’annoso conflitto.

Subito dopo, sono stati rapiti tre ragazzi israeliani che poi sono stati trucidati.

Pronta risposta: uccisione di un ragazzo palestinese.

Immediatamente dopo, il demone della guerra si è impadronito delle menti.

Anche un bambino capirebbe che fazioni guerrafondaie di ambo le parti temono la pace e come hanno il sospetto che la pace potrebbe averla vinta, non perdono un attimo a scatenare il terrore.

Poiché molti Stati sono coinvolti in questo tragico gioco al massacro di popolazioni inermi, perché gli interessi sono molteplici (strategici, per quanto all’influenza su quella parte del mondo; tattici, per ciò che riguarda la sperimentazione di operazioni militari e uso di nuove tecnologie di armamenti; commerciali, relativamente alla vendita di armi…), il Papa forse è l’unico che può riprendere in mano le redini della trattativa e dire a chiare lettere come stanno realmente le cose.

Mettere all’indice tutti coloro i quali fanno finta di volere la pacificazione di quella regione mentre mestano nel torbido.

Mettere a nudo i giganteschi interessi a cui le popolazioni dell’area sono estranee.

Ma, ciò significherebbe anche mettersi in rotta di collisione con chi, in quell’area, usa il proprio credo, la propria religione, come schermo per le nefandezze più crude.

La pace, però, esige sempre dei prezzi da pagare e, parafrasando il celebre detto del re di Francia Enrico IV, “Parigi val bene una messa”.

E, questo il Papa lo sa bene.