FARONOTIZIE.IT  - Anno III - n° 29, Ottobre 2008

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Direttore responsabile Giorgio Rinaldi

A SCUOLA DI TEATRO

di Ferdinando Paternostro

Istituito dalla compagnia teatrale Catalyst di Firenze nel 1998, il Centro di Ricerca e Formazione (C.R.F.), è una scuola di teatro triennale e al tempo stesso un centro di produzione, aperto in forma continuativa ad attività di laboratorio teatrale.


Il programma di formazione per adulti ruota intorno a tre insegnamenti principali: analisi del movimento, espressione vocale, analisi del testo e improvvisazione. I corsi di teatro principali sono affiancati da stage e seminari di approfondimento.

Ogni anno prevede un lavoro sempre più approfondito sui differenti generi teatrali con un confronto costante con il testo che si concretizza a fine corso in vere e proprie produzioni, allestimenti professionistici, che offrano da un lato un momento di verifica a docenti e allievi e dall'altro una verifica effettiva col pubblico.

Nei dieci anni di attività all'interno del Teatro Puccini di Firenze, il Centro di Ricerca e Formazione ha formato aspiranti attori e persone desiderose di avvicinarsi al mondo teatrale, caratteristiche queste che da sempre sono marca distintiva e fonte di arricchimento e stimolo della scuola. I docenti, abilitati in scuole di alta formazione, accompagnano il singolo allievo in un percorso di preparazione che fornisce tutti gli strumenti principi per un approccio professionale alla scena, alternando movimento/danza, improvvisazione, analisi del testo e regia. A chiusura dell’ultimo anno gli allievi attori/attrici che intendono intraprendere la carriera professionale, a seguito della vautazione di un’apposita commissione, potranno entrare nell’organico artistico della compagnia.

Basato sulle tecniche del gioco e dell' improvvisazione, il corso juniores mira a risvegliare nei giovani allievi, l'immaginazione creativa.

Dalla fiaba al testo teatrale il corso intende essere uno stimolo e un serio svago per tutti i partecipanti. La stessa dimostrazione finale intende essere il compimento di un percorso pedagogico/teatrale sviluppato durante l'anno.

INFO : Catalyst  c/o Teatro Puccini

Via delle Cascine,  41  50144 Firenze

Tel e fax   055-331449

info@catalyst.it   www.catalyst.it

ASSENZE

di Miriana Vadalà

L’attimo di solitudine seguente il pasto, quando si gode appieno del frutto del proprio lavoro, o del lavoro di qualcun altro, e si sente il cibo lentamente gorgogliare nello stomaco, portava la sua mente a percorrere sentieri ben noti, quegli stessi sentieri che prima percorreva di routine e che adesso, improvvisamente le sembrano lontani, anche se nella sua mente giacciono archiviati, come in uno schedario, nello scaffale di una biblioteca virtuale.

Così, mentre sorseggia il caffé ancora bollente, di fronte alla finestra che dà su una strada invisibile, perché pienamente ricoperta di neve, le capita di ritrovarsi a Girri, di fronte al lago, al “La Fiocina”, una domenica pomeriggio di ritorno da una lunga passeggiata oppure al cinema Iris, in uscita dalla visione di un bel film. E tutto ritorna, anche la colonna sonora o l’immagine fissa ancora sul grande schermo dei titoli di coda.

E’ davvero sorprendente la regolarità con cui tutto ciò accada; è una perfetta simmetria fra la causa e l’effetto, un calcolo infinitesimale, un costante accordo fra i neuroni sensitivi e quelli motori.

E con la stessa regolarità si ritrova poi sulla strada panoramica, di fronte la sponda del continente, nell’aria il tepore della primavera, e dentro di sé tanta grinta, la stessa con cui guidava, sculettando nelle curve e dando gas a idee ancora in embrione e oggi fatti concreti.

Finito il flash, improvvisa si presenta l’assenza di una voce consueta, dell’altra tazzina in cui versare metà della moka, del sorriso accondiscendente e complice per qualcosa fatto di nascosto. Sguardi che suggeriscono il vero.

I commenti al TG locale… Come un’eco talvolta avverte provenire dall'altra stanza la voce del cronista che commenta l’ennesimo blocco stradale del tram, o del giornalista che fa due papere in tre parole, la voce martellante e aguzza di Pobis…e invece è solo la neve che si scioglie e dai raggi delle ruote della bici arriva a terra bagnando l’asfalto.

Tempo trascorso a misura d’orologio dall’inizio di tutto il processo uguale a tre minuti primi.

Finito frattanto il caffé, dal silenzio assordante della stanza, interrotto soltanto dal ticchettio della sveglietta, dal continuo digitare sulla tastiera, dal clic del mouse, cosí ritmico che a volte dà fastidio, sopraggiunge la nuova estraniazione.

Tutto intorno è bianco, è neve, tanta neve e tanta foschia, così intensa da coprire persino le montagne e non si vede altro che le macchine

posteggiate e gli alberi spogli e secchi, non più adorni…l´immagine dell´inverno come si è sempre vista in fotografia, nei poster o nei quadretti che la mamma in passato ha ricamato a mezzo punto, guardando la TV in cucina.

La focaccia, gli arancini, il viale al sabato pomeriggio, quando tutti escono a prendere il gelato, anche quelli che di solito non escono ed escono appositamente per vedere chi è uscito.

Un aeroporto di pensieri. Vanno e vengono, si intersecano in passaggi sconosciuti, a volte solo flash così improvvisi che ti chiedi …ma è possibile che la mia mente riesca così veloce a collegare e rispolverare cose ormai andate e a crearne di nuove senza sapere mai cosa avverrà?

Domande, tante domande, frasi sconnesse, dubbi, assenze. Ritrovare il proprio universo in differenti, strani formati, troppo ridotti, troppo stretti: pdf jpg gif tiff e poi ancora GPS, GPRS, UMTS password, login, logout ... un mondo che va avanti a sigle, a numeri e password, e tra poco bisognerà proteggere pure il file che le contiene tutte, altrimenti va a finire che ci clonano.

Poi di nuovo è distratta da mille altre cose, mentre altri oggetti, altre voci, altre immagini attraversano in rapida sequenza le sue ramificazioni dendritiche. Solo attimi, mentre dall’inizio di tutto il processo sono passati sì e no dieci minuti.

BIANCO E NERO

di Emanuela Medoro

Il prossimo presidente degli Usa erediterà da 8 anni di amministrazione G.W. Bush, repubblicana ed iper liberista, la situazione seguente:

 1.Due guerre in corso, in Iraq ed in Afghanistan lontane da una decisiva conclusione. 2.Un enorme debito pubblico  da fronteggiare 3.I disastrosi crack di banche ricche di creatività finanziaria ma poco prudenti, il crack di un sistema senza regole e controlli, reso ancora peggiore, se possibile, dalla mancata approvazione, finora, da parte del parlamento del gigantesco piano  di salvataggio proposto dalla Casa Bianca ,4 L'Iran sulla via del nucleare, 5. La perdita di prestigio  nel mondo dovuto alla devastazione di New Orleans, all' indifferenza assoluta verso la cultura del profitto,  l'irresponsabile lassez faire, lassez passer, 6. La novità della crescita vertiginosa di nuovi soggetti economici e politici, la Cina e l'India.

Dunque la festa per ora sembra finita, ed un bianco ed un nero si confrontano per farsi carico di un cumulo di guai, eredità della presidenza Bush, definita failed presidency (presidenza in bancarotta).

 I due si sono incontrati per la prima volta a Oxford, Mississipi, nell'università che negli anni sessanta vide la rivolta degli studenti bianchi per la immatricolazione del primo studente nero, tale James Meredith, scelta opportuna a dimostrare che l'America nel frattempo ha fatto qualche buon passo avanti. E' stato un incontro/scontro fra due generazioni diverse, fra culture ed esperienze diverse, due diversi modi di vedere e di esprimersi.

Ed ecco i rispettivi commenti dopo l'incontro:

Senatore John McCain: ... Ho partecipato al primo incontro con il Senatore Obama, e credo che le differenze siano state chiarite...tornerò subito a Washington per trovare una soluzione bipartisan alla crisi che attraversiamo...e sono ottimista su un pronto accordo finale...Non sbagliate, noi siamo pronti a governare l'America, i democratici Obama e Biden, no. Our country first, il nostro paese prima di tutto. Commento laconico, ha ripetuto quello che ha sempre detto, nonostante il profondo cambiamento dei tempi. Il primo ottobre compare online una lettera firmata da lui in cui suggerisce una serie di provvedimenti urgenti per alleviare la crisi che attanaglia l'economia, nonostante il fatto che il Congresso non abbia ancora approvato  il provvedimento Paulson, progettato a salvataggio della disastrosa bancarotta di istituzioni finanziarie di importanza fondamentale per l'economia globale.

Per Obama il commento all'incontro è firmato David Plouffe, il quale si sofferma a chiarire le differenze sull'economia, come sono emerse nell'incontro ...con Wall Street in crisi e le famiglie in difficoltà,Obama ha presentato un solido piano per rinforzare le classi medie, inclusi sgravi fiscali per quasi tutti gli americani. McCain ha insistito sulla solita vecchia politica, sgravi fiscali per le grosse compagnie petrolifere e nessuna soluzione per le famiglie che lavorano. E' ora di cambiare politica... Da notare che nel corso del dibattito Obama ha usato l' espressione classi medie tre volte, McCain nessuna.

Il sondaggio Gallup del 30 settembre dà Obama  in testa su McCain per sei punti,49% a 43%,con un leggero calo rispetto ai giorni precedenti.

Però a questo punto è bene notare che parliamo del presidente della federazione di stati, degli USA, non del presidente del popolo americano. Questo fa una bella differenza nel sistema di voto e nella conta finale. Infatti il voto popolare espresso nei singoli stati non  elegge direttamente il presidente, ma elegge i grandi elettori, ovvero i rappresentanti dei singoli stati, con il principio maggioritario per cui the winner takes all, il vincitore prende tutto. Sono i grandi elettori che, riuniti nel collegio elettorale, eleggono il presidente. Essi sono 538, 270 è il numero necessario di voti dei grandi elettori per ottenere il mandato presidenziale. È bene notare che accade che la maggioranza del numero dei grandi elettori non coincide con la maggioranza dei voti popolari.

 Questo  sistema fu  scelto dai padri fondatori affinché tutti gli stati avessero un proprio peso politico  nel parlamento federale.

Nei sondaggi ancora parecchi stati risultano in bilico fra i due candidati, sono i cosiddetti  swing states. Dunque ambedue i candidati, il bianco ed il nero, restano  ancor oggi nella zona grigia dell'incertezza.

Chi ama i numeri e la statistica e vuole saperne di più, consulti il sito:www.fivethirtyeight.com  che  registra le variazioni della situazione nei singoli stati giorno per giorno.

BRUTTI VOTI

di Mirella Santamato

Ho insegnato per anni, prima di cambiare mestiere e dedicarmi, anima e corpo, a quello che doveva diventare il mio sogno realizzato, il mio compito compiuto, cioè diventare scrittrice.

Gli anni passati a scuola mi hanno lasciato piccoli pacchetti colorati di ricordi, che ogni tanto mi diverto ad aprire, per tornare indietro nel tempo, a quella piccola ragazza che ero e che più di una volta era stata scambiata per alunna da colleghi e bidelli.

La cosa mi faceva divertire e spesso giocavo consapevolmente con questo mio aspetto sbarazzino ed intrigante.

La verità era che “insegnante” nel vero senso della parola, non mi sono sentita mai. Come immedesimarmi in un ruolo così austero e rigido, pieno di regole e di disciplina, con il mio cuore che batteva come un forsennato contro qualsiasi regola e qualsiasi disciplina?

Ribelle lo ero stata sempre, ma cercavo di mascherare questa mia indole selvaggia dietro una parvenza gentile e affabile, che mi era, come l’altra, congeniale.

L’insegnamento in sé mi piaceva. Mi piaceva parlare a quei ragazzi svegli ed intelligenti di pochi anni più giovani di me, che stavano imparando, come me, la dura arte del vivere.

Non sono mai stata convinta di insegnare Inglese, come recitava la dicitura sul mio registro di rigido cartone azzurro. Tentavo di insegnare, attraverso le regole e le parole di una lingua diversa dalla nostra, il modo di vedere  e di sentire di un altro popolo, cercando di far capire, fin da allora, come fosse importante da che parte guardi il mondo.

Chiaramente ero obbligata a seguire un programma Ministeriale e ad esso mi attenevo scrupolosamente, perché non volevo essere ripresa su questi punti. Ero pagata per insegnare ai ragazzi la lingua anglosassone e questo avrei fatto, con tanto di compiti scritti e di interrogazioni orali, come recitava l’Ordinamento Scolastico vigente.

Ma dietro tutto ciò trapelava la voglia matta di fare capire altro, di arricchire non solo il vocabolario degli alunni, ma la loro capacità critica e la loro comprensione del mondo.

Ridevamo molto in classe e le mie “spiegazioni” erano sempre molto colorite e strane.

I ragazzi si accorgevano che io cercavo di trasmettere loro qualcosa di diverso dal mero insegnamento scolastico e credo che me ne fossero grati. Prova ne erano i larghi sorrisi, i baci e gli abbracci con cui mi accoglievano quando, per caso, mi incontravano  per strada o in un negozio, dove avrebbero potuto benissimo limitarsi ad un educato “buongiorno”.

Non ero una insegnante permissiva, però. Quando i ragazzi non studiavano non esitavo a dare loro cattivi voti e a rimandarli a settembre se era necessario.

Durante gli esami di riparazione eravamo sempre affiancati, nel lavoro, da un nostro collega, in modo che fosse assicurata la correttezza formale dell’esame stesso.

Io spesso sceglievo, come partner, i colleghi con i quali mi sentivo più in sintonia, in modo da passare quelle ore nel migliore di modi possibili.

Una volta un mio collega con il quale ero in sufficiente amicizia, mi confidò sbalordito che si era meravigliato moltissimo per la scena che si era svolta pochi istanti prima davanti ai suoi occhi.

In effetti, ero appena entrata nell’aula dove si svolgevano gli esami di riparazione, che era affollata di allievi nervosi ed agitati per l’imminente prova.

Dal fondo dell’aula si era alzato un ragazzo alto ed allampanato, con quel corpo ancora in crescita che hanno gli adolescenti maschi quando hanno sedici anni. Il suo viso, nonostante l’altezza, aveva ancora le morbide fattezze infantili e il sorriso, largo e luminoso, si era d’improvviso aperto in un sincero slancio di gioia.

Improvvisamente staccatosi dalla parete di fondo, era venuto a larghe falcate, verso di me e poi, mentre i miei occhi lo guardavano increduli, si era chinato e mi aveva sollevato alla sua altezza  stringendomi stretto tra le sue lunghe braccia!

Con un lungo urlo di contentezza:“ Professoressa, che piacere!!!!” scandì con convinzione.

Mi rendevo conto della buffa situazione in cui mi trovavo, davanti agli occhi del mio collega e dei ragazzi degli altri corsi che aspettavano nell’aula, con le mie gambine corte che spenzolavano all’altezza degli stinchi del mio alunno!

“ Mettimi giù, dai, che mi sembra un po’ troppo!” gli dissi nelle orecchie mentre le risate cominciavano a soffocarmi.

Mi mise  giù con attenzione e poi, come se niente fosse, mi chiese di come avevo passato le vacanze e altre sciocchezze del genere.

Dopo pochi minuti raggiunsi la cattedra, un po’ scarmigliata, ma contenta.

Vidi gli occhi spalancati del mio collega che, stupefatto, mi chiese balbettando:

“ Ma…ma…con te fanno sempre così? Non ho mai visto un’insegnante essere accolta così da un suo alunno, un suo alunno che ha bocciato, per giunta!”

Poi, incredulo: “ Perché tu lo hai bocciato, vero?”

“ Sì, sì , non ti meravigliare, l’ho bocciato e l’ho bocciato anche con un quattro. Ma questo non c’entra con i nostri rapporti. Vedi, in questi anni, ho capito poche cose, ma una cosa l’ho capita: la differenza che passa tra un brutto voto e la vita. Comunque, forse è meglio che glielo chieda tu stesso il perché mi ha accolto in quel modo.”

Vidi il mio collega allontanarsi e poi confabulare con il ragazzo.

Dopo pochi minuti mi raggiunse alla cattedra.

“ Diavola di una donna!” mi disse “ ne sai proprio una più del diavolo! Sai che cosa mi ha detto lui?” aggiunse “ Mi ha raccontato che ogni volta che eri costretta a mettere un brutto voto su un compito ( e mi ha assicurato che ne metti parecchi!) ripetevi spesso una frase che loro non hanno mai dimenticato .

Dopo aver mostrato gli errori di grammatica che avevano fatto,  con gentilezza, e, a volte, con un abbraccio, tu sussurravi alle orecchie di chi aveva ricevuto l’insufficienza: “ Tu hai preso un brutto voto nelle regole della grammatica inglese, perché non hai studiato, ma non hai preso un brutto voto per ciò che tu sei come persona e come essere umano. Tu, ricordalo, vali sempre tantissimo e,  anche se hai sbagliato il compito, sei una persona speciale per me ”.

LE PRESIDENZIALI AMERICANE VISTE DALL’ITALIA

di Emanuela Medoro

Congressi e comunicazione online

Navigando nella rete nei siti dei candidati emergono differenze nello stile e nei modi  di comunicare con in propri simpatizzanti. I video ripetutamente messi in circolazione da John McCain e da lui approvati ( I am John McCain and I have approved this message) hanno una caratteristica in comune, tranne l'ultimo, quello che presenta Sarah Palin, che si apre con un suo breve messaggio, ed appare forte e tosta sullo sfondo dell'incantevole natura selvaggia dell'Alaska.

 Dunque si tratta di una serie di  montaggi, girati con  professionalità eccellente,  fatti con ritagli di comizi o interviste di Obama cui sono sovrapposte  battute di commento, finalizzate a dimostrare   inesperienza ed inaffidabilità. Tipico l'ultimo video, in cui si vede Obama parlare in comizi o interviste, sullo sfondo immagini cruente della crisi della Georgia, del Pakistan e dell'Iran, accompagnate da una serie di battute  che lo dichiarano impreparato.

 Interessante per la tecnica di comunicazione dei repubblicani, inoltre, il video che invita le donne sostenitrici di Hillary a passare dalla loro parte, si vede una donna giovane, bruna e bene in carne, tipo latino, vestita in modo semplice ed ordinato che dice: Prima ero per Hillary, ma ora ho capito...sostengo McCain, strizzando  l'occhio dice:  tante democratiche voteranno McCain, è ok ”.

Ben diverso il materiale messo online  da Obama for America, sono i suoi comizi, questi sì, duri con la politica Bush-McCain, ma compaiono solo i testi scritti, integrali, messi a disposizione del pubblico, come sono stati pronunciati, senza commenti o battute. Soprattutto,finora, non si sono visti  video a montaggio fatti per denigrare l'avversario, firmati Obama for America.

Evidentemente il pubblico destinatario è diverso. Un articolo Gallup del 30 luglio dice che Obama  è più forte fra quelli con i livelli d'istruzione più alta,  i dottorati post laurea. Siamo dunque di fronte ad una battaglia fra la cultura alta, sofisticata e scientifica di Harvard in questo caso,verso quella semplicissima, forte e tosta, di chi legge la bibbia alla lettera.

Quanto alla convention repubblicana di Saint Paul, c'è da ricordare che è stata in parte rovinata dell'uragano Gustav, è stata tenuta soprattutto da personaggi femminili, e che il comizio di Sarah ha scaldato la platea dei repubblicani: ha sbranato Obama ed il suo movimento di base, ha ripetuto tutti i punti essenziali del programma repubblicano, soprattutto ha  promesso trivellazioni di petrolio in zone nuove (drill, baby, drill, era lo slogan).Dopo questo comizio sono apparsi sui giornali vari modi di definirla: il pittbull col rossetto, Sarah barracuda, Sarah Zanna Bianca, Anna prendi il fucile, la badante di McCain.

Il comizio di McCain, invece, che non è mai stato un grande oratore, e che opera felicemente a Washington da 25 anni, ha rassicurato la platea, ha promesso novità e cambiamenti, giocando sulla sua fama di maverick, cane sciolto, ma soprattutto ha fatto appello al patriottismo più elementare ricordando il suo passato di eroe di guerra , cinque anni di prigionia in Vietnam, superati per la incrollabile fede in un principio, America first (l'America prima di tutto).

E questo  ha fatto rialzare  il suo punteggio nelle previsioni di voto, voto in cui, ricordiamolo, il fattore colore, razza, e l'economia interna, in questo caso si tratta di trivellazioni petrolifere in zone vergini, pesano più di ogni altra cosa. Risulta poi che il sostegno ad Obama da parte dei democratici seguaci di Hillary è cresciuto dell'11% dopo Denver, ma una parte consistente di democratici della classe media  bianca, finora risulta  preferire la parte repubblicana.

L'avvicinarsi della votazione finale rende più forte la contesa elettorale, alla discussione su punti chiave di economia interna e politica estera, già largamente dibattuti, si  aggiunge ora una buona dose di attacchi personali da ambo le parti,  difficili da capire a tanta distanza e commentare. Anche questi, una manifestazione di cultura ed una tecnica di comunicazione.

Dati rilevati lo stesso giorno dicono inoltre che il congresso democratico ha aumentato  il sostegno ad Obama fra i sostenitori della Clinton, la cui percentuale di voto a favore di Obama cresciuta dal 70% pre congresso all'81% post congresso, e la percentuale generale di quelli che sono sicuri di votare per Obama sale dal 47% al 65%. Cruciale per questa elezione la questione aborto, la stesso sito Gallup riporta che 50% delle donne sono per la scelta, contro un 43% per la vita. (Pro choice, pro life)

DAGLI APPENNINI ALLE ANDE

di Veronica Khayam

ESTATE 2008

Dall’ aeroporto di Roma Fiumicino stipati come animali in una sala di uno dei terminal mi ritrovo come per magia di nuovo a volare verso il nuovo continente, l’America.

Che un tempo fu la terra dei sogni degli emigranti italiani che dalla metà dell’800 si spostavano dall’altra parte dell’oceano.

Breve flash back: ai tempi dell’ università quando dovevo decidere le mete dei miei viaggi alla fine sceglievo  sempre  il vecchio mondo, Europa, Asia e Africa. Perchè?

Perché pensavo che fosse più interessante conoscere le cose vecchie, perché quelle nuove ancora non hanno tanta esperienza.

Fino a quando il destino ha voluto farmi andare  dall’altra parte dell’oceano, “cruze el charco”, come dicono da noi.

Tornando a noi :l ’ultimo viaggio e’stato lunghissimo.

Prima tappa: Roma- Caracas.

Dopo circa 10 ore di volo, assaporando i cibi italiani, arrivo a Caracas.

Ferma all’ aeroporto comincio a respirare quell’aria pesante che ti lascia addosso l’umidità, che ti assale e ti blocca, e senti che sei in un paese militarizzato.

Il Venezuela da alcuni anni e’guidato da un certo Sr. Chavez. Le cui effigie, insieme a quelle  di Che Guevara, di Simon Bolivar e altri vari liberatori del continente americano, si possono trovare stampate sulle magliette nei negozi, con la differenza che gli altri sono stati degli eroi.

Sinceramente la maglia di Chavez ha un po’ il sapore delle magliette del Duce che si vendono tutt’oggi a Predappio, dove e’sepolto Benito Mussolini.

Dalle rosse terre del Venezuela mi sposto verso la Colombia.

Seconda tappa: Caracas - Bogota’.

Scesi all’aeroporto di Bogota’sempre con una schiera di militari che ti mettono le mani ovunque per ovvie ragioni, che non ti fanno comunque scordare la scomodità di sentirsi oltraggiati , quasi violati.

Sensazioni che non provavo da quando negli aeroporti della repubblica dell’Iran mi facevano alzare tutta la mia palandrana per mettermi le mani nelle mutande.

Sarebbe interessante riflettere su come gli estremismi finiscono per essere più ’simili di quanto si possa immaginare, sfociando spesso nel ridicolo.

Purtroppo alla seconda tappa si ferma il mio viaggio, perdo la coincidenza per Lima.

E costretta a rimanere a Bogota’decido di scegliere un albergo nel quale passare la notte.

Vado a dormire tra le calde lenzuola di un hotel a 4 stelle con la tranquillità che offre la carta di credito, l’ unica a soffrire di questa sosta inaspettata.

Purtroppo il fuso orario mi uccide e alle 6 del mattino mi ritrovo con gli occhi sbarrati, con una forza strana che mi dice “alzati dal letto vai a conoscere anche quest’ angolo di mondo”.

Salgo sull’attico del mio lussuoso albergo e mi ritrovo davanti lo spettacolo di una assonnata  Bogota’ vista dall’alto in una fresca mattina d ‘inverno. I grattacieli bucano il verde intenso della città e le montagne che la contornano lasciano trasparire i primi raggi di luce. Un cielo pieno di nuvole gonfie di pioggia ricopre i tetti spioventi mentre il traffico lentamente comincia a svegliarsi.

Poi dal mega schermo ultrapiatto dell’albergo, davanti a due uova strapazzate dello chef colombiano, mi godo in totale  solitudine e silenzio la spettacolare inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino.

Ebbene si, e’l 8-8-2008....e i cinesi si sa ci tengono a queste cose.

Dopo aver potuto apprezzare come i colombiani aspettano speranzosi l’ uscita della loro squadra olimpica sventolando la bandiera tricolore, mi riverso sulle strade di Bogota’..mentre la cittá ancora dorme.

Il primo autobus della calle 26 mi guida tra le verdi montagne fino ad arrivare in centro.

Una signora sull’ autobus mi allerta: “signorina non può solo dire che deve andare in centro!”

La città e’pericolosa!

E ricordo i miei primi tempi in Peru’, quando la gente non faceva altro che dirmi che tutto era pericoloso. boh!?

Gironzolo per Bogota’, mi siedo a bere un caffe’ e afferro che qualcosa di questa città e ‘più europeo della mia amata Lima.

La gente va in bicicletta, si ferma a bere un caffe’, ci sono tanti musei...ma c’ e’qualcosa  che stona, cosa sarà?

La polizia! Tanta, troppa e con troppe armi!

Forse e’vero che bisogna avere paura!

Ma la paura e’un sentimento che uno ha dentro, che si trasmette, e più paura hai e più probabilità hai che ti succeda qualcosa.

Più  hai paura più  ti dimentichi chi sei, così come accade nel nostro bel paese dove la paura del diverso e’diventato odio e risentimento sociale.

Con i cavalli ad esempio, se uno dimostra di avere paura e’finita,ti disarcionano in un attimo!

E così nella vita, più paura si dimostra e più paura si dovrà avere.

La passeggiata sta per finire, e’ora di andare in aeroporto e di tornare alla mia grigia Lima.

L’emozione di viaggiare,  di metterci alla prova, di essere diversi da come siamo, di vedere ed essere visti in modo differente e’quello che ci tiene vivi!

Arrivo a Lima, la conosco, mi conosce, sono di nuovo io, e’di nuovo lei.

E come diceva Tomasi di Lampedusa: “bisogna che tutto cambi perché ’tutto rimanga com’è”.

Il ritorno alle ordinarie occupazioni, dopo la pausa estiva, comporta una consueta e prevedibile fatica nel recupero del vecchio ritmo sveltamente ma non definitivamente rimosso. Le variazioni climatiche sopravvenenti agevolano il riadattamento, anche se le immagini ritempranti e rigeneranti della interruzione lavorativa per la bella stagione non sono completamente evaporate. Si ritrovano gli amici e ciò che si è lasciato. Le discussioni aiutano a colmare il gap di quanto accaduto e non commentato durante la nostra assenza. I primi sentori di autunno accompagnano, per ognuno, l’avvento di un’atmosfera introspettiva e di bilanci che caratterizza la fine di ogni settembre e le sue piogge.

Si respira una condivisa aria di scampato pericolo per il fallimento dell’esperimento al CERN di Ginevra dove l’acceleratore di particelle LHC si è bloccato per una provvidenziale uscita di elio che pare ci darà una tregua fino alla primavera del 2009. Una sperimentazione dai risvolti oscuri che dovrebbe generare un evento similare alla origine delle origini: il Big-Bang primigenio da cui è nata ogni forma di vita, ma anche la lavastoviglie, la pattumiera, i moduli per la richiesta della pensione, il dopobarba, l’orologio, l’idea della Mormanno-Scalea etc. Tra le possibilità, sia pure con remota probabilità di accadimento, messe in conto dagli artefici di questo impari e azzardato duello con il Supremo, la generazione di un buco nero, mostruosa deformazione energofaga dello spazio tempo, capace di divorare e triturare l’intera terra comprese (questa si, cosa buona!...) le sue discariche. Anche quelle abusive! Ricercato speciale nell’esperimento è il bosone di Higgs altrimenti noto come particella di Dio. Particella mistica e misteriosa sin qui mai osservata ma della cui esistenza c’è chi è certo (proprio come Dio). Che tristezza (e fatica) andare a cercare Dio in un acceleratore di particelle. Scendere così in basso, nell’essenza della materia, per cercare qualcosa di così alto!... O forse che nell’infinitamente piccolo un invisibile forellino è l’uscio che consente di accedere all’infinitamente grande? Deviazioni standard di processi mentali esasperati da stati confusionali: inequivocabile segno dei tempi che viviamo!

La logica ed il razionalismo, che da secoli supportano il pensiero scientifico sembrano davvero sguazzare in cattive acque. In qualsiasi direzione orientiamo il nostro sguardo, se solo valutiamo, con efficaci criteri di altri tempi, da ciò che ci accade intorno, non perviene alcun segnale che induce a tranquillità.

Ogni aspirante regnante vende ciò che non ha e non può avere. Dare corpo ad un bisogno tanto più condiviso quanto più irrealizzabile, e sfumarlo o meglio trasformarlo in fumo, appena incassato il consenso elettorale, è quanto abili giocolieri fanno registrare ad ogni latitudine del pianeta. Siamo stati asfissiati con proclami sulla sicurezza. Boriosi tromboni dall’animo marcio hanno tranquillizzato le speranzose, amorfe ed acritiche moltitudini ai festeggiamenti post-elettorali, prima dell’oblio.

Ipocriti proclami sbugiardati ancora prima dell’apposizione del punto finale sulle frasi pronunciate. Nella città,  a detta del suo sindaco, ora più sicura del mondo o quasi, Roma, la tregua estiva scandita da episodi di ordinaria e brutale crudeltà. Inenarrabili violenze su coppie di giovani turisti che scoprono a loro spese quanto sia brutto il bel paese. Ed al danno la beffa: sentirsi dire che erano nel posto sbagliato. Che il posto fuoriposto sia la malridotta Italia in Europa?

Intere comunità, ostaggio di bande criminali, costrette a vivere sotto le angherie di sgherri che applicano, con efficacia, arcaici codici malavitosi. Stragi efferate e gratuite per l’affermazione del predominio: vi facciamo vedere noi chi comanda qui! Viene da chiedersi cosa ne sarà dell’infanzia di chi nasce in questo inferno. Bambini italiani e palestinesi (e non solo palestinesi) accomunati nei loro tristi destini. Mattoni di un triste futuro inequivocabilmente segnati.

Le strade offese sempre più da lamiere accartocciate grondanti sangue. Alcool e droga diffusi più del Padre nostro! Stragi usuali fatte da bolidi sfreccianti guidati da decerebrati tossicomani sono oramai consuete. Nei locali bisognerà apporre le tabelle che consentono la percezione degli effetti dell’alcool sul corpo umano. Con evidenza soprattutto per le donne (?!?), le più sensibili ai pericoli dell’acqua di fuoco. Multe per chi non le mette… Mi sembra di ricordare un provvedimento legislativo che impose l’apposizione di un inutile disco con un limite di velocità dietro ai veicoli qualche lustro fa… ancora oggi guardandolo dietro qualche attempato autocarro viene da pensare che nessuno sa a che cosa serviva (anche se chi lo produceva e vendeva lo trovò molto utile).

I regnanti del pianeta che affrontano il problema della fame nel mondo sotto le bandiere della FAO, ospiti del banchetto offerto dal Presidente del Consiglio… Non era più dignitoso e credibile fare un giorno di digiuno visto che, tra gli invitati, nessuna percezione evidente collegata con la malnutrizione è stata colta?

L’Alitalia non riesce a volare! Come si fa a non capire? Le leggi della fisica governano il mondo da sempre. Con tutta la zavorra di nullafacenti lautamente retribuiti ed infilati gioco forza, tra le sue piume metalliche, da ogni governo che si è succeduto dalla sua fondazione, come fa a volare? Le risorse ingurgitate dal vortice Alitalia date ad una compagnia low-cost probabilmente farebbero coprire le tratte aeree dell’intero pianeta. E ci vogliono turlupinare con la balla dell’orgoglio nazionale: chi fa sberleffi all’Inno nazionale e considera il tricolore un foglio di carta igienica difende il patrio vessillo nei cieli… Arroccamenti di corporazione in difesa di inammissibili privilegi, si, la solita becera ed obsoleta solfa. E gli altri lavoratori? Solo figli illegittimi di un Dio minore.

Il ministro Tremonti snocciola il rosario di lacrime e sangue e chiama Tex Willer a difesa della diligenza. Il futuro del nostro paese forse, per dirlo alla Frassica, si disperquette in un naufragio. La mia domanda, ovvia e banale, è: ma chi è rimasto a lavorare nel nostro paese? Una nazione in cui le cariche tra partiti, istituzioni, associazioni, corporazioni, comitati, pro-loco, comunità montane, sindacati, commissioni, curie, confraternite, logge massoniche etc. etc sommate probabilmente superano di gran lunga il numero degli stessi abitanti , elargendo esenzioni, a lavorare e produrre chi ci va? La ricchezza di una nazione è frutto del lavoro o figlia di atrofici scansafatiche parassiti che passano oziosamente i giorni a grattarsi la pera? L’equazione conseguente è comprensibile anche ad un infante. Il lavoro sempre più mortificato da dissennate politiche che fanno molti più danni di quanti ne vogliono risolvere. In concreto anche gli strenui difensori del mondo del lavoro ne diventano gli implacabili affossatori.

Ed il pio borgo? Al ritorno gli echi di un agosto avvilente e scarno di iniziative. La banda dei bersaglieri con un repertorio privo di Cori abruzzesi  e quindi inadeguato alla processione di San Rocco. Presagio, spropositato per il pio borgo, dei militari a presidio delle strade urbane. Spettacoli e iniziative che, tranne qualche caso, non hanno lasciato traccia, se non nello sdegno, mi è sembrato unanimemente condiviso, per un ardito tentativo non concordato di streep-teese miseramente fallito. Registrato il gradimento per una iniziativa originale, nostrana ed autogestita di una serata dedicata alla poesia ed all’arte. La proposta di percorsi inusuali da caffè letterario estese ai sensi dello spettatore ascoltante ha coinvolto gli amanti del genere e non solo.

Una bufera dai toni decisamente incomprensibili ed esagerati ha avviluppato il pio borgo, per il transito dello scrittore Travaglio e per un superaffollato incontro con i suoi lettori e non solo.  Stupisce l’indignazione tappabocca della locale opposizione. Anche se l’attuale impero italico è espressione di un consenso inusuale, ciò, in termine di espressione di opinioni, non vuol dire assolutamente nulla. Il fatto che uno scrittore possa essere indigesto al regnante di turno non vuol dire che debba tacere. Di fronte alla calunnia, al vituperio ed alle offese, per chi non sa o non vuole rispondere restano pur sempre le aule dei tribunali.

Ad oggi, da quanto mi risulta, nonostante l’arruolamento di legioni di avvocati liberi da ogni altro impegno, le parti lese hanno finora acchiappato in sede giudiziaria solo qualche pugno di mosche. Ma in ogni caso, anche con diversi verdetti a favore, non vorrebbe dire nulla ugualmente!

Ricordiamo tutti nella storia recente il consenso raggiunto dal Nazismo. Molti all’epoca si piegarono, si lasciarono trasportare ed ammaliare da quella, a prima vista, intramontabile ed inarrestabile piena. Molti fecero proprie quelle assurde ragioni di fronte ad argomentazioni plasmate con evidenze manipolate ed apparentemente inoppugnabili. Cementificazione di ideologie anche discordi accomunate, anche allora, dal sempre efficace legante dell’anticomunismo. Fumosa aria di crociata per nobili ideali.

Quanti tacendo subirono, morirono, o adottarono l’estrema scelta della lotta clandestina, ma non si piegarono e non abdicarono alle loro ragioni, alle loro convinzioni profonde. Scelte sicuramente tremende per i protagonisti di allora. Pilastri morali che furono le future basi su cui ha poggiato e poggia il nostro presente. La storia ha dato le sue risposte. In tanti frettolosamente saliti sul carro del vincitore con altrettanta solerzia ne tentarono la perigliosa ridiscesa nei giorni della disfatta. Invasate folle oceaniche disciolte nel silenzio e scomparse nel nulla. Nessun potere o regime, per quanto forte e feroce, è eterno!

Un certo stupore anche per gli applausi a Travaglio di tanti improvvisati sostenitori dell’ultima ora, orfani della prima repubblica, emozionati dal contesto e distratti sul contenuto delle argomentazioni critiche sui partiti di allora, dallo scrittore addotte. Che poi sono gli stessi di Escrivà de Balaguer! Ma si sa, è così che va il mondo.

Morale: quanto già detto a proposito del TG dei ragazzi del liceo e dei goffi tentativi di censura vale anche in questo contesto: nessuno deve temere le opinioni altrui, né la forza va usata per cambiarle. Nell’arena delle opinioni le argomentazioni che ognuno porta sono le sole di cui devono tener conto gli eventuali interessati spettatori.

Nell’hardware del pio borgo due novità: il controllo con telecamere e la nuova segnaletica. Sulla prima, dopo la legittima perplessità iniziale, viene da dire che, anche per la perdurante assenza del cinematografo, si può rendere pubblico il contenuto della sorveglianza dando la possibilità, magari tramite internet di vedere in tempo reale quel che accade per strada. I nostri concittadini lontani potrebbero sentirsi a casa, gli ammalati in piazza e qualche incallito ed insonne nottambulo potrebbe diventare guardia giurata ausiliaria e magari allertare le forze dell’ordine per qualche misfatto in procinto di compiersi.

Sulla nuova segnaletica, si apprezza lo sforzo (nobile proposito), ma stupisce il risultato (scarso e poco fruibile, pertanto nella sua fattispecie dannoso). Più che ammonire l’automobilista diventano test oculistici che pongono di fronte al dilemma se tentare di capire i segnali ed evitare le sanzioni o se salvaguardare l’incolumità dei pedoni rischiando di non leggere i segnali, messi oltretutto vicino a strisce pedonali. I supporti metallici alla loro base non sono visibili (con catarifrangenti o zebrato) creando di fatto situazioni di pericolo con scarsa visibilità. Non mi è sembrato di vedere il segnale che avvisa sulla videosorveglianza per quelli che vengono da San Rocco.  Con la pioggia o con il sole in faccia, per la loro esagerata altezza sono praticamente invisibili. L’automobilista dovrebbe scendere dall’auto, creare un ingorgo, leggere il segnale, poi fare qualche conto e, solo dopo, decidere il da farsi. Non si capisce perché non è stato utilizzato un pannello elettronico a LED luminosi, economici nel consumo ed efficaci nella comunicazione, oltre che programmabili come contenuto del segnale, ad altezza fruibile.

Ed intanto, altrove, i discendenti dei Maya e tanti seguaci della New-Age sono in attesa di un evento apocalittico che si verificherà nel 2012. Antiche profezie Maya, basate su una millenaria tradizione di osservazioni astronomiche, indicano la data del 21 dicembre 2012 come l'inizio di una nuova era, il che indica la fine dell'era precedente. Lawrence E. Joseph in APOCALISSE 2012 richiama queste antiche profezie ed espone i risultati di una indagine scientifica sulla fine della civiltà. Utilizzando altri binari sembra comunque convergere verso questa fatidica data. Diversi ed inequivocabili segnali: l’inversione del campo magnetico terrestre, la probabile eruzione dei supervulcani, l’esplosione radioattiva delle macchie solari… argomenti impegnativi non liquidabili in qualche riga.

Resta un interessante spunto su cui riflettere e attivare azioni di monitoraggio, anche se in tanti si stanno già preparando alla scadenza del 2012: sono quelli, che appena terminate le olimpiadi di Pechino già pensano a quelle di Londra previste proprio per quell’anno, a cui si aggiungono quelli che aspirano ad un posto in parlamento se il governo arriverà alla sua meta. Sarà da auspicare l’Apocalisse?

GNOCCHETTI SARDI ALL’ITALIANA

di Elisabetta Coniglio

Dicono che tutto il mondo corre intorno al denaro e le belle donne!  Voi credete sia vero?

Questo piatto porta in tavola il profumo inebriante del pesto, il calore passionale siciliano dei pomodorini più divertenti al mondo in un collante come gli gnocchetti sardi….una vera poesia!

Dite la verità per un attimo avete scordato il denaro e le donne?

Noo!! Beh manciatevi stu piatto di gnocchetti ma senza esagerare……… poi dovete ricominciare a correre!

Ingredienti :

400gr di gnocchetti sardi

6 acciughe sott’olio

6 pomodorini di Pachino

Una cipolla bianca

Olio di oliva

Un pizzico di peperoncino

2 cucchiaini di pesto alla genovese

Procedimento:

In una grande padella fate soffriggere con l’olio di oliva, la cipolla a pezzetti  le acciughe con il pizzico di peperoncino; mantenete il fuoco basso in modo che le acciughe possano sciogliersi e il tutto possa afflosciarsi piuttosto che abbrustolirsi.

Quando la cipolla sarà cotta unire i pomodorini tagliati in quarti e lasciare amalgamare il tutto sempre a fuoco molto basso.

Cuocere gli gnocchetti sardi in acqua e sale facendo attenzione a scolarli alcuni minuti prima di raggiungere la cottura desiderata.

Fatto ciò unite la pasta al composto e lasciamo che termini la sua cottura in padella curando di amalgamarla spesso per permetterne una cottura omogenea.

Una volta spento il fuoco, aggiungere le due noci di pesto e mischiare per bene.

GRAN DEBUTTO A ROMA PER “I SEGNI DELL’EMIGRAZIONE”

di Goffredo Palmerini

Tanto Abruzzo nell’opera multimediale sui migranti curata da T. Grassi, C. Monacelli e G. Chiarilli

ROMA – Del complesso fenomeno migratorio non pretende d’essere un trattato esaustivo. Di certo, però, “I segni dell’emigrazione. L’Italia dall’emigrazione all’immigrazione” è la prima opera multimediale che sull’epopea dei migranti italiani nei cinque continenti inaugura un approccio sistemico rispetto agli studi finora prodotti, anche di significativo interesse, eppure segnati talvolta dal particolarismo che sfugge al contesto, ad una visione più compiuta del fenomeno. “I segni dell’emigrazione” costituisce invece quel che mancava: un’opera realizzata mediante documenti, ricerche, testimonianze, ma anche attraverso l’analisi dei “segni” impressi dall’emigrazione nella musica, nella letteratura e nel cinema. Progetto e realizzazione sono il risultato della volontà, della  determinazione e della passione di tre donne eccezionali: Tiziana Grassi, Catia Monacelli e Giovanna Chiarilli. L’opera, un’imponente lavoro di documentazione sull’emigrazione italiana, è stata presentata a Roma ad un pubblico numeroso e qualificato presso il Circolo del Ministero degli Affari Esteri, padrone di casa l’ambasciatore Umberto Vattani, presidente dell’Ice. Parterre di tutto rispetto per l’evento. Alfredo Mantica, Sottosegretario agli Affari Esteri con delega agli Italiani nel Mondo, ha portato il saluto del Governo. Il Ministro Franco Frattini ha inviato un caloroso messaggio di compiacimento alle curatrici dell’opera. Presenti i parlamentari eletti all’estero Franco Narducci, Fabio Porta ed Antonio Razzi, l’opera multimediale è stata commentata ed illustrata dagli interventi di Vincenzo Palladino, vice direttore generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie del Ministero degli  Affari Esteri e di Gherardo La Francesca, direttore generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale dello stesso dicastero; di Piero Badaloni, direttore di Rai Italia; di Alessandro Masi, segretario generale della Società Dante Alighieri; di Antonio Corbisiero, direttore editoriale delle Edizioni “Il Grappolo” e di Mario Morcellini, sociologo e preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma

Solo tenacia e talento di tre donne speciali potevano affrontare un’impresa così impegnativa e cogliere un risultato superiore ad ogni aspettativa, per completezza dell’opera che inquadra l’emigrazione italiana con un’analisi di sistema. Di sicuro sarà un ineludibile punto di riferimento per chi voglia studiare il fenomeno migratorio nella sua complessità. Un’opera dunque importante per le giovani generazioni che altrimenti, in carenza di riferimenti rigorosi, rischierebbero di smarrire la memoria d’un fenomeno rilevante nella storia del Paese. Ma importante anche all’estero verso gli Italiani delle generazioni successive alla prima emigrazione che, quasi per un processo di rimozione dovuto alla crescente conquista di ruolo nelle società, nell’economia e nei livelli di responsabilità, spesso sono portati a celebrare i lati gloriosi, molto meno a rammentare gli immani costi, le emarginazioni ed i drammi subiti. In fondo, i problemi enormi che hanno accompagnato gli emigranti fino a quando il muro di diffidenza si è frantumato e si è conquistato un apprezzabile livello di dignità, rispetto e stima nei Paesi d’accoglienza. Giunta all’approdo anche per merito d’un illuminato editore campano, Antonio Corbisiero, sensibile ed ospitale verso scrittori e poeti italiani d’oltre confine, l’opera multimediale – su Cd rom – poggia sulla sapienza di valenti giornalisti, accademici, studiosi e ricercatori, ma anche sulle testimonianze dei protagonisti. Valorizza, peraltro, i giacimenti d’emozioni lasciati dall’emigrazione nelle arti e nella letteratura, come pure i retaggi di cultura materiale oggi raccolti nei musei dell’emigrazione.

Eppure non sarebbe bastato solo il valore delle curatrici per realizzare un’opera tanto cospicua, se non fosse stata presente anche una forte tensione morale, una sensibilità culturale ed una familiarità con il tema emigrazione. E infatti Tiziana Grassi, scrittrice ed autrice per Rai International, per anni ha seguito i problemi degli Italiani all’estero nell’operosa fucina del programma televisivo “Sportello Italia”, come Catia Monacelli, antropologa e direttrice del Museo dell’Emigrazione “Pietro Conti” di Gualdo Tadino (Perugia), e come Giovanna Chiarilli, giornalista, sceneggiatrice ed autrice per Rai International, tanti anni trascorsi nelle redazioni di testate rivolte agli italiani all’estero, già direttore dell’Agenzia internazionale Grtv, poi per un lustro capo ufficio stampa del Ministro per gli Italiani nel Mondo. Rispettosa dei propositi delle autrici, l'opera è fortemente divulgativa, organizzata nella doppia lettura di “segni-simboli”, tutti aspetti problematici del fenomeno, e di “segni” come lacerazioni profonde che l'emigrazione incide sempre nei protagonisti che l'hanno vissuta. Tredici i capitoli dell’opera: la nave, il treno, la lettera, la valigia, le rimesse, il cinema, l’alimentazione, la toponomastica, la spiritualità, la musica, la stampa. Un capitolo è inoltre interamente dedicato alla “donna”, protagonista silenziosa della storia dell’emigrazione, ed un altro agli Italiani d’America, a rappresentare tutti i connazionali che nel corso d’un secolo hanno cercato nella loro personale “America” un futuro che l’Italia sembrava negare. La sezione multimediale è ricca di documenti inediti, provenienti dal Museo di Gualdo Tadino e dagli Archivi di Stato. Molto materiale fotografico, ma anche filmati, musiche, lettere. E testimonianze di emigrati. C'è anche un laboratorio didattico predisposto per le scuole, sia in Italia che all'estero. Un "patrimonio palpitante", che aveva bisogno d’un supporto flessibile, oltre il libro. La distribuzione dell’opera in Italia e nelle scuole italiane all'estero, attraverso la Farnesina, è prevista in ottobre. Per la prima volta, dunque, un'opera raccoglie sullo stesso piano scritti "alti" e testimonianze del vissuto personale. La scrittura è agevole, il taglio giornalistico è volutamente divulgativo, proprio per avvicinare e coinvolgere il lettore che talvolta rifugge da dotte pubblicazioni destinate agli iniziati.

C’è tanto Abruzzo ne “I segni dell’emigrazione”. E tanti gli Abruzzesi tra autori dei testi e protagonisti nei Paesi d’emigrazione. A cominciare da Giovanna Chiarilli, una delle tre curatrici dell’opera, che è nata ad Ortucchio in provincia dell’Aquila, ma residente a Roma sin da ragazza. Come originario di Ortucchio era Alfred Zampa, classe 1905, figlio di marsicani emigrati in Usa. Sconosciuto in Italia, Alfred Zampa è una leggenda in America. Grazie anche ad uno spettacolo teatrale, a numerosi libri, documentari e film che raccontano la sua straordinaria vita “sospesa”.  A Crockett, in California, poche saranno le persone che posando gli occhi sulla targa del “Memorial Alfred Zampa Bridge” si chiederanno chi sia questo italiano con l’onore, dopo Giovanni da Verrazzano, d’avere un ponte dedicato alla memoria. Perché quasi tutti in America conoscono la straordinaria storia di Alfred, una vita da ironworker vissuta “tra paradiso e inferno” – come racconta suo nipote Donald Zampa in una bella testimonianza – a costruire ponti in ferro, il drammatico volo nel vuoto, nel 1936, per una banale scivolata da una trave del Golden Gate in costruzione a San Francisco, il miracoloso indenne passaggio tra le travi di ferro e la fortunosa caduta su una rete che lo salvò dallo sfracello sulle rocce. Pochi i danni riportati, tre mesi d’ospedale per risistemare le vertebre, poi di nuovo sui ponti. Diventava però un’icona della sicurezza, pretendendo norme e tutele nei cantieri per quegli operai sospesi oltre ogni vertigine. Al Zampa è scomparso otto anni fa, aveva 95 anni e sognava di tornare ad Ortucchio.  Tra gli altri contributi presenti nell’opera, vanno segnalati quelli di Elio Carozza, Segretario generale del CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all’Estero), abruzzese emigrato in Belgio; di Luigi Alfiero Medea sull’emigrazione vastese in Australia; di Carmelina Taraborrelli Cimini sull’emigrazione abruzzese in Svizzera; di Walter Potenza, sul successo della gastronomia abruzzese in America; di Antonio Ranalli, sulla vicenda letteraria di Pascal D’Angelo; di Simona Andreassi e Gaetano Quagliarella, sulla canzone di Paolo Votinelli diventata inno dei Vastesi nel mondo.

Un doveroso accenno al corposo contributo di Giovanna Chiarilli sul determinante ed insostituibile ruolo svolto dalla stampa italiana all’estero per i nostri emigrati. “Lettere al Direttore”, titola il testo della Chiarilli, icastico richiamo alla funzione di punto di riferimento identitario e culturale, indispensabile canale di comunicazione tra Patria e terre d’emigrazione, che per anni hanno assolto le nostre testate all’estero. Questo l’incipit del contributo di Giovanna Chiarilli: “Ai nostri emigrati si addice la parola pionieri. Pionieri, come tutti quei giornalisti, editori, spesso intere famiglie che hanno mangiato pane e inchiostro e dedicato la loro vita al giornale della comunità: giornalisti che si sono affermati come firme prestigiose anche nella stampa locale, altri che nel più totale anonimato, con una passione che spesso si è trasformata in missione, hanno regalato alla comunità un foglio dove poter scrivere Caro Direttore “. Quindi la dettagliata analisi sul valore della stampa italiana all’estero non solo come ponte con l’Italia e come elemento di valorizzazione della cultura italiana, ma sovente come baluardo a difesa della dignità e dei diritti degli italiani all’estero. Chiarilli richiama il caso di Gaetano Bafile, giornalista aquilano corrispondente del Messaggero dal Centro America, “emigrato” in Venezuela e fondatore nel 1949 del quotidiano “La Voce d’Italia” di Caracas. Egli fece della redazione del giornale una casa aperta a tutta la comunità italiana, un luogo d’incontro e di discussione di problemi. E del giornale uno strumento di difesa degli Italiani, negli anni degli abusi polizieschi sotto la dittatura di Peter Jimenez. Come il caso della scomparsa nel nulla, nel 1955 a Caracas, di sette siciliani. Bafile aprì con il suo giornale un’indagine per salvare l’onore infangato dei nostri connazionali, accusati ingiustamente di crimini inesistenti da un regime corrotto. A rischio della propria vita, Bafile fece chiarezza sul caso con la sua coraggiosa inchiesta, anche se non riuscì a sottrarre i nostri connazionali dalla fine che quel regime cagionò loro. Gabriel Garcia Marquez, in un suo libro, raccontò la storia di questo giornalista tenace e coraggioso. Anni dopo sarà proprio Gaetano Bafile a raccontare quella terribile vicenda in “Inchiesta a Caracas”, un libro documento pubblicato nel 1989 dall’editore Sellerio di Palermo. La “Voce d’Italia” ha continuato negli anni la sua preziosa opera d’informazione, con l’impegno professionale anche dei figli di Gaetano Bafile: Mariza – poi eletta al Parlamento italiano nella Circoscrizione Sud America – e Mauro, attualmente direttore esecutivo del giornale.

La Chiarilli cita un altro caso emblematico del grande ruolo della stampa italiana all’estero. Quello del quotidiano La Gente d’Italia”, diretto da Mimmo Porpiglia, che si pubblica negli Usa ed in Uruguay. L’azione puntigliosa del giornale che ha disseppellito da un vergognoso oblio la terribile tragedia di Monongah, in West Virginia, dove il 6 dicembre 1907 perirono nelle miniere di carbone 360 minatori, di cui 171 italiani. Almeno queste le cifre ufficiali, fino a quando l’inchiesta di Mimmo Porpiglia e l’ostinazione del suo giornale, quasi a cento anni di distanza, non hanno aggiornato la tragedia nelle vere dimensioni: 960 morti, almeno 500 gli italiani, molti di essi appena ragazzi che entravano in miniera senza essere registrati per aumentare la produzione. L’Italia, l’anno scorso, ha finalmente riparato un torto e reso omaggio a tutti i suoi figli caduti a Monongah. Sempre per restare in America, viene ricordata l’opera del quotidiano America Oggi, grande e prestigiosa testata, che l’11 settembre 2001, appena dopo la tragedia delle Twin Towers, si mise a completa disposizione dei connazionali senza un attimo di tregua per rispondere a chiunque chiamava in redazione per avere notizie sulle vittime e sui dispersi, dall’Italia e da ogni parte del mondo. Un servizio premuroso che mai avrebbe potuto garantire la nostra struttura consolare a New York, con il suo organico.

Come pure viene menzionato il caso del “Corriere Canadese”, quotidiano fondato nel 1954 da Dan Jannuzzi. Jannuzzi, per fondare il giornale, impegnò la sua macchina per ottenere un prestito. E come spesso è accaduto ai giornali italiani all’estero, anche “Il Corriere Canadese” dà subito vita alla sua prima battaglia a favore della comunità: il riscatto dell’ex Casa d’Italia, sequestrata dal governo canadese nel 1940, dopo l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Inghilterra. Servono 40mila dollari. Il primo giugno, il Corriere Canadese, nel suo primo numero, in apertura, titola: Gli italiani riavranno la Casa d’Italia. Non è una speranza, ma una sfida. Una sfida vinta pochi mesi dopo. Per rimanere in Canada, Chiarilli osserva come la vita dei giornali italiani all’estero scorre quasi in simbiosi con quella della comunità. Cita quindi “La Gazzetta di Windsor”, diretta da Walter Temelini, un’eminenza in fatto di multiculturalismo. L’autrice ha potuto toccare con mano quanto indispensabile, sentita, sia la presenza di un giornale italiano, proprio durante una visita a Windsor e nella redazione della Gazzetta. Vengono infine ricordati Bruno Zoratto, fondatore di “Oltre Confine”, testata che si pubblica a Stoccarda, l’assiduo servizio verso la comunità italiana in Germania, e Gaetano Cario, fondatore nel 1964 in Uruguay del giornale “L’eco d’Italia”, poi di altre testate in Argentina, in Brasile ed in Cile. La prematura scomparsa di Gaetano Cario non ha impedito ai figli di continuare nell’impresa editoriale a favore delle nostre comunità in Sud America. In fondo, la stampa italiana all’estero meriterebbe ben altri riconoscimenti dal nostro Paese - questo il parere di chi scrive – rispetto alle briciole che vengono elargite “a sostegno” dell’editoria. In fondo, il mercato della stampa italiana all’estero è ben diverso da quello di casa nostra, di certo non c’è paragone rispetto ai numeri della clientela. Eppure, su quelle pagine scorre tanta parte dell’immagine del Bel Paese, dell’italian style, della promozione dell’Italia per le sue valenze artistiche e culturali, dei valori della sua gente. Questo viene affermato all’estero, sulla stampa italiana, anche in forza delle testimonianze di vita dell’altra Italia - 60 milioni di oriundi - che hanno dato dimostrazione di saper vincere grandi sfide, con qualità umane professionali e creative, in Paesi a forte competizione.

*gopalmer@hotmail.com

– componente del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo -

I TOVAGLIOLI E I FAZZOLETTI

di  Michiyo Suzuki

Recentemente sono rientrata in Giappone dopo una vacanza in Italia. Dove ho avuto modo di visitare Napoli, Roma, Genova, Lecco e anche Milano.  A Bagni di Masino, dove sono rimasta a fare volontariato, ho trovato una  natura meravigliosa fatta di  foreste, montagne, fiumi, e cascate. Qui, volontari internazionali e partecipanti al campeggio di lavoro abbiamo vissuto insieme in una casa situata su una splendida collina, lavorando all’aperto durante la giornata, preparando i pasti, mangiando e dormendo sotto lo stesso tetto. Ho visto quindi gli italiani cucinare, lavare i piatti, le pentole, le padelle, ecc., e fare le pulizie di casa. Il tutto però con casino.  

Generalmente mangiavamo fuori, davanti  casa. Ogni giorno due o tre bambini (nel caso di campeggio di natura) o ragazzi (nel caso di campeggio di lavoro) avevano la corvè della casa, spettava loro infatti provvedere  alle pulizie, apparecchiare e  sparecchiare i tavoli e lavare i piatti e fare altre cose. 

In queste circostanze ho avuto modo di vedere che in Italia si fa un uso abnorme di tovaglioli. Che a fine pasto , anche se non molto sporchi,vengono buttati ugualmente. Tutto ciò mi sembra sbagliato, uno spreco bello e buono.

In Giappone invece verso il consumo c’è un altro atteggiamento.  Solo nei ristoranti eleganti i  tovaglioli non mancano mai. In tutti gli altri posti, casa propria inclusa, i tovaglioli sono riposti in un cassetto e non si mettono in tavola, e vengono presi e utilizzati soltanto al bisogno. Inoltre sono di dimensioni ridotte rispetto ai tovaglioli che si usano in Italia.

Capisco che è difficile per gli italiani cambiare queste abitudini, potrebbero però almeno usare i tovaglioli poco imbrattati per una prima pulitura dei piatti.

Ma perchè  noi giapponesi non usiamo,  o meglio li usiamo con parsimonia, i tovaglioli? E’ una questione di cultura. In Giappone il bon ton a tavola  prevede di evitare  di ungersi le labbra durante i pasti. Personalmente mi risulta difficile, non potrei certamente diventare una geisha, con indosso un  bellissimo kimono e un trucco pesante.

I tovaglioli italiani sembrano molto simili ai fazzoletti.  Non trovo nessuna differenza tra loro.  In Giappone usiamo il “tissue paper” che teniamo nei cassetti e nei sacchetti. E che, come avrà visto chi è stato in Giappone, vengono dati gratuitamente in stazione e per strada.

Sapete perchè sono gratis?  Perchè i “ tissue paper” vengono pagati dalla pubblicità, dai negozi di pachinko (un gioco giapponese con cui si possono vincere soldi), ecc..

Un’altro spreco che ho visto alla casa di era il cibo che giornalmente veniva buttato. 

Me ne rendevo conto  in quanto da volontaria aiutavo i cuochi a preparare

i pasti per i 25 ospiti. Certo era difficile prevedere quanta roba sarebbe stata consumata il giorno dopo, ma non utilizzare gli avanzi mi appariva non solo uno sperpero quanto un cattivo esempio.

Sarebbe bastato un forno a microonde, che a  Magni di Masino non avevano, per recuperare tutte  quelle bontà (pizzoccheri, polenta, ecc.) che finivano nella spazzatura.

In Giappone il forno a microonde e la pellicola (che si chiama “wrap”) si trova nel 100% delle case.  Proprio per evitare di buttare gli avanzi del pasto.  Ma anche quest’ abitudine è collegata alla cultura. 

Il pasto tipico giapponese consiste di riso bianco messo in una ciotola e uno o due piatti di carne o pesce con verdura. 

Certamente il piatto appena fatto è più buono, anche in Giappone, ma per il valore della parsimonia, il riso bianco lo mangiamo anche riscaldato.

Se a voi italiani il cibo riscaldato proprio non va, potreste perlomeno cucinarne di meno.

IMPERDIBILE INCONTRO CON L’AUTORE

di Paola Cerana

Penso sia il sogno di ognuno poter incontrare, almeno una volta nella vita, l’autore di un libro che ci ha coinvolto particolarmente. Guardarlo in viso, stringergli la mano e magari potergli rivolgere qualche timida domanda, per scoprire il segreto del fascino nascosto tra le righe che ci hanno tanto emozionato.

Per ora io devo rimandare l’appuntamento con questo sogno, anche se non smetto di crederci, ma chi avesse la ventura di trovarsi a Roma, durante il mese di Ottobre, sappia che in diverse librerie della città sarà presentata la nuova edizione di “Sul treno di Babele, sognando Broadway”. E’ un romanzo sorprendente, che mi ha fatta innamorare, di cui ho già raccontato in un mio precedente articolo.

In realtà trovo sia riduttivo tentare di riassumere in poche parole questo libro perché, come è scritto nella bella prefazione di Marco Gatto, “è davvero un viaggio alla ricerca di qualcosa, o, come voleva György Lukács, un’epopea verso il senso ultimo della nostra identità. … è un romanzo multiforme, livellato su piani diversi, che ricorda inevitabilmente le architetture de Il nome della rosa di Umberto Eco …. Probabilmente, si può parlare di romanzo postmoderno.

Più modestamente, da appassionata ammiratrice e non certo da critica letteraria, io direi che è un libro con un’anima, da bere fino all’ultimo sorso, che scivola piacevolmente dentro e che prende il colore e il sapore di chi lo assaggia. Perciò mi limito a consigliarne la lettura, perché è raro imbattersi in una storia che inviti a sognare e riflettere insieme, con una prosa gustosa e originale.

Le presentazioni nelle librerie saranno animate dagli interventi dell’Autore, Vittorio Salvati che, come sempre, accenderà l’atmosfera con la sua contagiosa simpatia. Se sulla carta “la lingua di Salvati scivola come l’olio e, a tratti, sembra parodizzare se stessa”, come è scritto nella prefazione, a maggior ragione è un privilegio ascoltarlo dissertare sulle infinite cose del mondo, con la sua raffinata pensosa leggerezza, che fa di lui un oratore perfetto. Come un serpente di fronte al flauto magico il pubblico resterà incantato e non potrà uscire dalla libreria senza almeno una copia del romanzo sottobraccio, con tanto di dedica, autografo e, soprattutto, con somma gioia del libraio.

Vittorio Salvati è anche autore di “Se ci diamo del tu il bacio viene meglio”, una deliziosa raccolta di epigrammi e pensieri d’amore di un poeta prosatore, dedicata agli innamorati, ai romantici e a tutti gli altri. Un libro che fa venir voglia di innamorarsi anche a chi non lo è, e che fa battere più forte il cuore a chi già lo è. Ma è talmente dirompente la fantasia di questo scrittore che sorprenderà presto tutti con altre stuzzicanti pubblicazioni e altrettante presentazioni, cui spero di poter partecipare anch’io per trasformare un sogno in realtà e incontrare, finalmente, colui che riesce a farmi volare semplicemente con le parole.

PRESIDENZIALI USA VISTE DALL’ITALIA

di Emanuela Medoro

La guerra dei video

Negli Usa un mese  prima del giorno delle votazioni, martedì 4 novembre, scadono i termini per la inclusione nelle liste elettorali, fatta su richiesta dell'interessato, su presentazione di un documento d'identità. Sembra facile, ma di fatto questo è una barriera insormontabile per quelli che sono ostacolati dalla mancanza di istruzione in lingua inglese,  mezzo che consente l'accesso ai  media americani ed al web. Fra questi gruppi svantaggiati ci sono anche gli anziani di origine italiana, che  di fatto sono esclusi da una piena partecipazione alla vita civile e politica per mancanza d'istruzione appropriata.

Ci sono partiti minori (Constitution Party,  Green Party, Independent American Party, Libertarian Party), ma due sono i grandi, il partito democratico e quello repubblicano, fra questi si svolge la battaglia per l'accaparramento dei voti, fino all'ultimo, per cui continue sono le richieste di fondi da ambo le parti. 

Caratteristico un video online per la raccolta di fondi pro Sarah Palin intitolato Combatti gli attacchi (fight the attacks), la prima immagine è una incontaminata distesa di ghiacci  con tre lupi in atteggiamento di attacco, una paesaggio dell'Alaska, seguito da immagini di incontri e comizi della coppia McCain Palin.

La produzione delle campagne elettorali prende forma dalla cultura e dai sentimenti del pubblico cui è diretta, in questo caso c'è da chiedersi come può  una distesa di ghiacci rappresentare l'ambiente della battaglia elettorale in corso. Immediato il confronto con le folle variopinte ed entusiaste dei comizi di Obama, il bianco è forse quello  dei wasps, protestanti anglosassoni bianchi, per la prima volta nella storia americana messo a serio rischio dall'uomo nero? L'appello è per raccogliere danaro, tanto, come consentito dalle leggi, per il partito repubblicano che prende anche i fondi pubblici per la campagna elettorale, per combattere attacchi da loro definiti  fuorvianti ed offensivi  (misleading and shameful), perché loro sempre mettono l'America innanzi a tutto. America first, è il loro slogan.

Un po' diverso un video messo in giro da Obama for America, a proposito dell'attacco da parte repubblicana sul punto fondamentale della campagna elettorale di Obama, secondo  cui, gente del tutto ordinaria, portata alle urne per la prima volta, può acquistare un ruolo nel processo politico,  cambiare il modo di fare politica, cambiare, insomma, il corso della storia.

 E' per questo che online si vede un video che mostra tante strade americane, lunghissime, ondulate, estese all'infinito, in paesaggi di

maestosa bellezza, illuminati dai caldi colori della natura nelle varie stagioni, e su queste e nei centri abitati si vedono delle persone, assolutamente normali, come noi, che mostrano un cartello “hope”, speranza, oppure “change”,cambiamento. E' un appello per un mondo meno egoista e più solidale, con l'assistenza malattia e l'istruzione pubblica per tutti. Non dimentichiamo che durante l'amministrazione

Bush, di cui quella di McCain sarebbe il seguito, 47 milioni di americani, non hanno avuto nessuna forma di assistenza malattia.

Esaurito il rimbalzo dovuto ai congressi di partito, la rilevazione Gallup del 17 settembre sulle previsioni di voto, indica Obama in leggero, insignificante vantaggio su McCain. Nello stesso tempo circola sul web una lettera firmata Bill Clinton che, insieme ad Hillary, invita caldamente a votare Obama  superando tutte le forti ed ancora non sanate divisioni interne del partito democratico, nate durante la troppo lunga competizione delle  primarie.   

LA MERIDIANA  ADOMBRATA

di Nicola Perrelli                   

Mormanno, paesino di 3.500 abitanti, dominato dal massiccio del Pollino, meta di grandi escursioni,  bagnato dal torrente Battendiero e  dall’omonimo laghetto, reso suggestivo da un grazioso centro storico, possiede un discreto patrimonio artistico e monumentale, che include anche  un’opera gnomonica di pregevole fattura.

Sulla facciata principale  di palazzo D’Alessandro, quella che dà su Piazza Umberto I, tra due balconi di fine ‘800, fa infatti  bella mostra di sé una meridiana.

Quegli antichi orologi che per funzionare sfruttano il moto apparente del sole. E che  ancora oggi, nell’era dei viaggi su Marte, non mancano di suscitare un fascino  discreto, di stimolare curiosità e interrogativi sulla  interpretazione di quelle linee disegnate sul quadrante.

Un bel orologio solare è quindi, alla pari di altre opere, magari più austere, o di altre testimonianze del passato, un segno di distinzione e, se ben tenuto, pure  un’opportunità per  apprezzare le cose belle di una volta.

Da solo vale insomma una gita.

La meridiana  è un orologio molto particolare. E’ a tutti gli effetti uno strumento astronomico, quindi di per se  complesso. Che richiede per la sua comprensione una discreta conoscenza di astronomia e matematica. Tuttavia la sua lettura è diretta. Basta osservare la posizione dell’ombra dello gnomone sulle linee orarie disegnate sul quadrante per leggere l’ora. Ciò  è ovviamente possibile solo di giorno e a condizione  che il sole non sia coperto da nuvole.

A volte però le limitazioni al funzionamento della meridiana non sono soltanto di carattere astronomico.

Per rendere inservibile  uno “strumento nato da quando l'uomo ha accomunato la posizione del Sole nel cielo alle ombre generate sulla Terra” basta “riparare” dal sole lo gnomone.

E’ una  cosa impossibile? No. A Mormanno l’hanno fatto!

Per disattenzione o forse imperizia, l’amministrazione comunale, ha autorizzato la collocazione di un lampione per l’illuminazione pubblica, manco a farlo apposta, esattamente sopra la meridiana di Piazza Umberto.

E sotto? Contornano l’orologio solare una bacheca, sempre strapiena di annunci e ritagli messi alla rinfusa e un cestino buttacarte, sic.

Guardare per credere. Le immagini non mentono…quasi mai…

Allo gnomone:

“Prova pena il Sole / per la tua immobilità / e ti dona vita. / Ora con la tua ombra / che si muove lenta / felice vai segnando il tempo."

                                                                                      (Anna Maria Bacher, poetessa Walser)

LA MISTICA DEL SUSHI 

di Paola Cerana

La prima volta che mi sono trovata davanti a un piatto di sushi è stato sette anni fa.

Era la primavera del 2001 e stavo a New York, in una sfavillante Manhattan che allora faceva parlare di sé solo per la sua vertiginosa bellezza e la sua vita frenetica. Dovendo concentrare in pochi giorni una miriade di angoli imperdibili, il momento del ristoro non era prioritario ma necessariamente invocato dall’energia spesa su e giù tra avenues trafficatissime e grattacieli da capogiro. Fatto sta che mi son resa conto allora di quanto non fosse facile la vita per una vegetariana in una città dove è sovrano indiscusso Burger King e dove la maggior parte dei ristoranti etnici offre principalmente piatti di carne d’ogni tipo, drogati da un’incredibile varietà di spezie. Esclusi quindi hamburger e kebab, e preferendo eventualmente pinne di pescecane e alghe al vapore alla pizza di Little Italy, mi son trovata una sera nel Theater District, sulla quarantacinquesima strada, davanti a Kodama, un rinomato ristorante giapponese.

Ammetto d’essere una vegetariana anomala, poiché di fronte a pesce e crostacei annego i miei principi senza tanti sensi di colpa. Così mi sono infilata nel locale, sperando in un tavolo libero, curiosa di avventurarmi nei meandri degli antichi sapori d’oriente.

Contrariamente alle nostre città, New York pullula di ristoranti giapponesi mediamente a buon mercato, che niente hanno a che vedere con gli eccessi ostentati da Nobu a Milano o dallo Zen Sushi a Roma.  La qualità è normalmente più che buona e l’atmosfera evoca una leggerezza e una flessuosità tali da far dimenticare d’essere in America, se non fosse per il menu stampato anche in caratteri occidentali. La preparazione dei piatti avviene al momento, sopra un banco a vista, dove uno chef, con abile maestria e geometrica perizia, affetta, arrotola, infilza e impiatta il sashimi o il sushi scelto. Quella sera ho avuto la sensazione di assistere alla creazione di una piccola opera d’arte, che fioriva dal trucco di un mago dotto di un incomunicabile segreto.

Leggendo nel frattempo il retro del menu, fitto di nomi improponibili, ho imparato che non si sa esattamente quando questi piatti siano stati inventati. Pare siano stati i monaci buddisti provenienti dalla Cina ad averli introdotti in Giappone nel VII secolo. Ma si sono diffusi solo nei primi dell’800, ad Edo, l’odierna Tokyo, dove un certo Hanaia Yonei sembra abbia inventato il primo Nighirizushi, che veniva venduto ai viandanti su misere bancarelle di legno lungo le strade. Fatto sta che questa tradizione ha resistito fino a oggi e ha conquistato il gusto occidentale, diventando una moda e un modo per differenziarsi anche a tavola.

Ma di cosa si tratta effettivamente? Di un boccone di paradiso, direi semplicemente io! Traduco, però, per chi non avesse esperienza di tale estasi culinaria. Il sashimi è pesce crudo tagliato molto sottilmente, accompagnato spesso da molluschi, da intingere in salsa di soia,  serviti con  wasabi, ovvero il nostro rafano, gari, cioè zenzero, e ponzu. La salsa ponzu, ricorda il limone, è gentile e innocua al palato rispetto al wasabi, che al contrario è un intingolo verde piuttosto aggressivo, non a caso chiamato namida, ossia ‘lacrime’, tanto per mettere in guardia sul suo potenziale effetto. Il gari ha un sapore dolciastro e acre insieme, che rimanda al profumo di sapone e viene alternato alle portate come sorbetto, per “sciacquare” il palato appunto. Il sushi è invece una preparazione a base di riso cotto con aceto, zucchero e sale e guarnito con pesce crudo, alghe, verdure, uova e talvolta anche carne. Ne esistono molte versioni, a seconda del ventaglio dei ripieni e dei condimenti ma anche della maniera in cui i bocconcini vengono proposti in tavola.

Il Makizushi è forse il più diffuso da noi e consiste in deliziose polpettine cilindriche avvolte in un foglio di alga essiccata, l’alga nori, che a guardarle sembrano gioielli in miniatura. Così come il Nigiri è piuttosto conosciuto e si presenta come petali di pesce crudo, tonno, salmone o gamberi principalmente, adagiati su un letto di riso, che è un delitto disfare.

Ma le versioni sono moltissime, dal Futomaki al Uramaki, dall’Oshizushi al Nigirizushi, con una fantasia non solo di nomi ma soprattutto di forme e colori da farne pregustare il sapore solo alla vista. Niente è casuale nella combinazione degli ingredienti. Proporzioni e dimensioni obbediscono a regole silenziose, che fanno di ogni piatto un esemplare unico.  L’Hosomaki, per esempio, è una polpettina di due centimetri, molto più abbordabile per chi non è avvezzo agli hashi, le bacchette, rispetto ad un Temaki, polpetta a forma di cono lunga dieci centimetri, decisamente poco pratica da afferrare, per cui è concesso l’uso delle mani. Varianti del pesce crudo sono i Tempura, soffici gamberi fritti in pastella, e i Noodles, lunghi spaghetti, disobbedienti e ribelli. Infine, tofu, formaggio di soia, e sakè, il tradizionale vino giapponese, completano l’esotica tavolozza gastronomica. 

Quella fu un’iniziazione per me. Da allora l’amore per la cucina giapponese e per l’atmosfera che essa evoca ha conquistato anche il mio imbarazzo a gestire le bacchette. Con un po’ di pazienza e tanta curiosità, ho capito che anch’esse partecipano al rito: maneggiarle con sapienza è una poesia che invita alla lentezza, amplificando il piacere della degustazione. Occorre innanzitutto metabolizzare alcune regole di bon ton nipponico: le bacchette, quando non utilizzate, vanno appoggiate su un apposito sostegno, l’hashioki, non devono mai essere infilate nel riso, poiché questo è un gesto ammesso solo durante i funerali, non devono essere utilizzate per indicare qualcuno o qualcosa e non devono mai essere incrociate, perché questo porta sfortuna. Infine, per servirsi da un piatto di portata, occorre usare la parte estrema che non si è avvicinata alla bocca.  Portare la ciotola del riso all’altezza del mento non è affatto disdicevole, così come sottolineare il gusto con apprezzamenti sonori, risucchi e gorgoglii, cosa poco fine per noi occidentali ma esplicito segno di gradimento Quassù.

Mangiare giapponese è un concerto dei sensi che si eleva a esperienza mistica. Un piacere primitivo che tocca il sublime. Il piatto è innanzitutto bello, preludio di un’armonia perfetta che sboccia al suo nascere, dal talento del suo creatore. Per diventare cuoco di sushi occorre dimostrare carattere e disciplina. Tradizionalmente, l’apprendista si doveva limitare ad osservare il suo maestro fintanto che non avesse imparato alla perfezione la tecnica di cottura del riso e più avanti l’arte del taglio del pesce. Addirittura, un tempo, questa era una professione esclusivamente maschile, poiché si pensava che le mani femminili, possedendo una temperatura mediamente più alta, alterassero la freschezza degli ingredienti. 

Il senso meno coinvolto è, forse, l’olfatto, non essendo previste spezie e trattandosi principalmente di cibi crudi e freschi. Ma con un po’ di fantasia, un bocconcino madreperlato che tramonta in una goccia di soia, può evocare il profumo selvatico del mare. Al piacere estatico segue, dunque, quello materiale, quello del gusto. Ogni boccone è estasi allo stato puro, dove il sapore si  fa bello e il colore diventa buono, in una sinestesia davvero stimolante.

E l’udito? Quando mi trovo alle prese con un piatto di sushi, è impossibile per me trattenere mugolii di apprezzamento vagamente equivoci, che di solito solleticano o imbarazzano chi mi accompagna. Somiglio a Mag Ryan nel film “Harry ti presento Sally”, tanto per intenderci, quando, seduta al ristorante, di fronte al suo compagno, non sa contenere il piacere orgasmico che il cibo le dà, contagiando tutti con invidiati gemiti.

In Giappone probabilmente non scandalizzerebbe quest’esternazione di godimento, dato che alla fine di ogni pasto è usanza tirare un lungo sospiro di sollievo, per sottolineare la propria soddisfazione. Sospiro che rivela come un cibo possa essere alimento non solo del corpo ma anche dell’anima.

Da quella prima volta a Kodama sono diventata una frequentatrice fedele di sushi-bar. Ho anche imparato a preparare da me alcune ricette, con meticolosa precisione e libertà di fantasia. E devo dire che è un vero piacere anche lo stesso manipolare riso, alghe e pesci. Arrotolarli con cura nel bambù, aggiustarne la rotondità nel palmo della mano, dare la giusta lunghezza con le dita, soppesarne lo spessore, infilare ogni ingrediente nel posto che gli spetta, rifinendo per bene il contorno e sistemare, infine, il tutto in modo che il piatto trabocchi di desiderio. Insomma, è un’esperienza che mette davvero l’acquolina in bocca.

A questo punto, se siete stati contagiati anche voi dall’irresistibile voglia di sushi, non mi resta che dirvi “itadakimasu” e “kanpai”, ovvero buon appetito e cin cin a tutti.

Il piacere è servito!

LE VELINE

di Ferdinando Paternostro

“Veline”, in onda per tutta l’estate tra telegiornale e prima serata di Canale 5, è stato uno dei programmi più insulsi e dannosi della televisione contemporanea,

raccapricciante vetrina di un’Italia povera che si illude di “sfondare” con penosi ancheggiamenti ed  ammiccamenti volgari.

A questo gioco al massacro di morale ed intelligenza hanno partecipato, compiaciuti, mamme, babbi, nonni e zie, orgogliosi della pargola: certamente non sa cantare, recitare, sorridere, parlare, ma, dopo tanti anni di scuola (sig !), agita le chiappe in maniera prodigiosa…

vuoi mettere !

Il problema non sta solo in chi ha prodotto e messo in onda il  programma (che, non dimentichiamolo, è soprattutto un contenitore di spot pubblicitari) ridicolizzando la dignità femminile,  ma anche in quanti tutte le sere (un italiano su tre di fronte alla TV, ovvero tra i 3 e mezzo e i quattro milioni di spettatori) inconsapevolmente  hanno autorizzato, anche solo non ribellandosi, un tale ignobile, pubblico mercimonio.

La rivoluzione, in questo caso, si sarebbe potuta fare con poco, con un clik del telecomando…purtroppo il costante “sfascio mediatico”  dei valore basilari di quella che un tempo era la cosiddetta “morale corrente” (comune per tanti aspetti a laici ed a credenti quando mette al centro la dignità dell’Uomo)  tocca oramai tutte le generazioni.

Era una battuta, qualche tempo fa, chiedere ad una bimba “Cosa vuoi fare da grande… La velina ?”… adesso in tanti prendono la cosa terribilmente (e pericolosamente) sul serio.

MÀS BARATO

di Raffaele Miraglia

Quando vent’anni fa mi spinsi nel mio primo viaggio fuori Europa, scontai qualche difetto d’inesperienza.

Bastarono due giorni per farmi capire che quel cappellino che mi ero portato era del tutto inadatto. Vidi in una bottega di un villaggio sul lago Atitlan  una pila di cappelli tipo panama, chiesi il prezzo e ne acquistai uno, che ancora posseggo. Pagai, senza contrattare, in quetzal l’equivalente di novanta lire, che oggi – tenuto conto della svalutazione – equivalgono a 0,06 Euro.

Una settimana dopo mi trovavo a Chichicastenango. Ovviamente era domenica, ovviamente si teneva il mercato più famoso del Guatemala e ovviamente i turisti pullulavano. Accanto a me un indio tentava di vendere un cappello identico al mio a un italiano. Come in ogni mercato del terzo mondo si aprì una contrattazione. L’indio partì da un prezzo esagerato e alla fine le parti si accordarono per l’equivalente di millecinquecento lire (oggi sarebbero, rivalutati, 0,97 Euro). Il prezzo era risibile per un italiano, ma esagerato per un guatemalteco. Quel cappello era normalmente usato dalla gente del luogo, che non poteva certo permettersi quel costo. Se quel turista, componente di un tour quasi tutto compreso, avessero avuto idea di quale era il costo della vita in Guatemala e quale era il reddito medio, non avrebbero mai sborsato una somma del genere.

Qualche anno dopo, correva l’anno 1992 ed era il mio primo viaggio in sola compagnia di Rosella, acquistammo tra le altre cose a Sumatra una marionetta (javanese, per la verità), un bastone animato e un machete. La contrattazione per la marionetta fu lunga. Era usata e il venditore la voleva far passare per antica. Alla fine l’equivalente di novemila lire fu il suo prezzo (esagerato). La regalammo a mio nipote perché ci giocasse. A Natale vidi in un negozio del centro di Bologna ben cinque marionette identiche a quella che avevamo regalato. Erano in vendita a trecentomila lire. Passato il Natale erano state tutte vendute. Feci l’errore di raccontare l’aneddoto a mia cognata, la quale strappò dalle mani e dalla bocca del pargolo la marionetta e la appese alla parete.

Il bastone animato era destinato a mio cognato. Trattandosi di un’arma (dall’impugnatura si estraeva un piccolo pugnale) e perdippiù fragile, decisi al check in di chiedere che fosse trasportata dall’equipaggio e non nella stiva. Acconsentirono, ma quando atterrai a Bologna, il bastone era

spezzato in due. L’addetto della British Airways si scusò e mi rassicurò che sarei stato immediatamente rimborsato. “Basta che non mi spari un prezzo assurdo” mi disse. Moltiplicai per cinque l’importo pagato e sparai il mio prezzo. “Va bene. Sa, molti ci dicono di aver pagato delle stupidaggini come se fossero opere d’arte. Lei almeno è onesto.” Mi mangiai le mani per la mia onestà.

Nell’isola di Nias facemmo una passeggiata (ora si direbbe un trekking) tra i villaggi dell’interno, splendidi per l’architettura delle case e per

l’impianto urbano. Nel secondo o terzo comperammo un machete con il manico scolpito. Due villaggi dopo un anziano uscì dalla sua casa e ci offrì in vendita un altro machete, molto più finemente scolpito. Era veramente bello. Iniziammo la contrattazione. Gli avremmo dato in cambio il machete che avevamo acquistato e un po’ di soldi. Ci accordammo, ma non avevamo moneta locale a sufficienza, solo dollari. Il ragazzo che ci faceva da guida nei sentieri, e che ci consentiva di parlare con la gente, ci disse che l’anziano sarebbe sceso con noi fino a un grande paese, dove c’era una fermata degli autobus e dove avremmo forse trovato qualcuno che cambiava dollari. Continuammo la nostra passeggiata in compagnia e due ore dopo giungemmo al paese. Il tragitto era stato tutto in discesa e l’anziano, per tornare a casa, ne avrebbe dovuta fare di salita. In paese nessuno cambiava dollari e così il ragazzo nostro accompagnatore si mise d’accordo con l’anziano. Noi consegnammo 5 dollari al ragazzo e lui scrisse in un biglietto un riconoscimento di debito per l’anziano. Ogni volta che guardo quel machete mi torna in mente quell’anziano, che si fece ore e ore di cammino per 5 dollari.

L’anno successivo io e Rosella viaggiammo nel sud dell’India. Atterrammo a Chennay (che allora si chiamava Madras) e affittammo una macchina con autista, che ci scarrozzò per dieci giorni. Era un signore gentilissimo, premurosissimo e dormiva in macchina (la classica Ambassador). Quando fu il momento di separarci, gli consegnammo una mancia. Ne avevamo discusso e avevamo deciso di dargli centomila lire (diecimila per ogni giorno). Oggi sarebbero 75,31 Euro. All’epoca era l’equivalente di cento dollari. Sapevamo che era una somma enorme per un indiano, ma ci sembrava giusta. Eravamo nella camera di un albergo di Kovalam Beach e il signore, quando vide la mancia, si gettò in ginocchio davanti a noi e ripeté una decina di volte “Grazie, grazie, ora posso far studiare i miei figli!”  Ci fece contenti.

La sera successiva, dopo una chiacchierata di un’ora e aver sorseggiato un buon the, accovacciati a terra nel negozio, acquistammo due collane di lapislazzulo. Noi non ce ne intendiamo di pietre preziose ed eravamo indecisi. Alla fine ci dicemmo che il prezzo a cui eravamo giunti poteva stare bene. Se era vero lapislazzulo, era un affare. Se era una truffa, noi l’avevamo comunque pagato come un oggetto di buona bigiotteria in Italia. Una delle collane era destinata a mia madre e andava rinfilata.

Una quindicina di giorni dopo il nostro rientro, nel bel mezzo della settimana, mio padre mi telefonò. Era veramente strano e chiesi subito “Cos’è successo?” “Niente, Dimmi, quanto hai speso per il regalo a tua madre?” Il tono della voce era tra il perplesso e lo stupito. “Perché?” “Ti ho fatto una domanda.” “Circa centomila lire, perché?” “L’ho portata dall’orefice per farla rinfilare e mi ha proposto una grossa chiusura in oro. Mi ha detto che la collana vale almeno un milione e duecentomila lire e mi pareva strano che tu avessi speso tanto.” In effetti io e Rosella avevamo speso in due poco di più, biglietto aereo escluso, per l’intera vacanza di un mese nel sud dell’ India.

Potrei continuare con gli esempi e non vi nascondo che spesso ho pagato più del dovuto, senza mai eccedere. Il segreto è triplice. Primo, informarsi su qual è il costo della vita e il reddito medio nel paese dove vai. Secondo, quando acquisti beni apparentemente di valore, come una pietra preziosa, non spendere mai più di quello che saresti disposto a pagare un oggetto di bigiotteria. Terzo, nella contrattazione devi decidere fin

dall’inizio quanto vorrai pagare. Se hai deciso cinquanta e il venditore ti chiede duecento, devi partire offrendogli cinque. Tu sali piano piano, lui scende piano piano e, alla fine, lui è contento di averti fatto salire giusto quanto lui è sceso.

Il miglior venditore, però, l’ho trovato a una fermata dell’autobus appena fuori del sito di Chichen Itza in Messico. Non aveva più di tredici anni. Era tardo pomeriggio e, ormai, gli affari erano fatti. Aveva con sé qualche statuina di legno e iniziò a offrircene una. “Diez dólaresSorrisi e inarcai il sopracciglio. “Diez no, ahora son veinte!” Il mio sorriso fu più ampio. La strana offerta al rialzo proseguì fino all’arrivo dell’autobus, quando il prezzo giunse a duecento dollari. Mi girai e dissi “Más barato!” Il ragazzino, sferrando un pugno in aria in gesto di stizza e ridendo, esclamò “Lo sabia, debía aberte pedido mil!” Quel ragazzino aveva stoffa. Se la fortuna l’ha aiutato, ora commercia in beni di marca e di lusso.

PAESI DEL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO

di Luigi Paternostro

AIETA

E’ posta su una propaggine settentrionale del monte Ciagola.

Su un primo agglomerato semitrogloditico s’insediarono probabilmente prima nuclei di origine magnogreca e poi romana.

Per trovare il posto abitato bisogna arrivare in epoca più recente quando il territorio fu occupato dalle popolazioni costiere qui rifugiatisi a causa delle incursioni saracene.

A queste genti si aggregarono anche numerosi monaci di rito greco e latino, già presenti nell’area del Mercurion, e proprio in questo periodo, siamo intorno al X secolo d.C., si parla di Aieta, aetos , il cui nome ne evidenzia la posizione da aquila ancora disegnata nello stemma del Comune.

Nel 1065 il paese era dominato dai Normanni.

Con gli Svevi passò poi sotto varie baronie di cui la più lunga fu quella dei Lauria o Loria.

Le dominazioni degli Angioini, degli Aragonesi e degli Spagnoli videro Aieta ancora feudo dei De Montibus, dei Carafa, dei Martirano, dei Cosentino, degli Spinelli di Scalea che ne furono poi signori fino all’eversione feudale.

Nella sua marina, l’attuale Praia a Mare, a partire dal 1500 fu lungamente coltivato il cannamèli, cioè la canna da zucchero che fu una delle principali risorse della zona1.

 Nel 1937 divenne comune autonomo.

Forse la frazione Murmannèddra, una delle tante di Aieta, ha qualche attinenza con Mormanno2.

La cittadina ha dato i natali a vescovi illustri quali Matteo e Tiberio Cosentino, a poeti come Francesco Moliterni e Cristoforo Candia e, nel secolo XIX, a scrittori quali Biagio e Vincenzo Lomonaco.

Nel centro storico oltre al Palazzo Martirano, e ad altri resti architettonici di epoca feudale, troviamo la Chiesa di Santa Maria della Visitazione, (festeggiata il 31 maggio), la cappella di S. Giuseppe, la Cappella di S. Vito, Patrono e Protettore di Aieta, (festeggiato il 15 giugno) e i ruderi della cappella di S. Nicola intorno alla quale cominciò ad aggregarsi un primo nucleo urbano noto come Cantogrande. Tale chiesa fu anche una delle prime parrocchie ove si conservò il rito greco fino alla metà del 1500, cosa non rara nella zona in esame nel presente lavoro.

All’ombra del Palazzo si esaltano formaggi e prosciutti locali in una sagra che si svolge la seconda domenica d’agosto e un’altra, che pure si tiene nello stesso mese, sono messi in mostra prodotti tipici locali e gustosi e

saporiti fusilli. Di notevole interesse è pure una mostra mercato del ricamo.

In dialetto si chiama Aìta, e aitàni  i suoi abitanti.

PRAIA A MARE

Posta su un’esile spiaggia sostenuta da una terrazza marina palpabile segno d’emersione pleistocènica, incontriamo Praia che giace su una costa scoscesa declinante al mare3. Qui si estendeva la Plaga Sclavorum, Praia degli Schiavi, abitanti della Slavonia, giunti sulle coste tirreniche intorno all’anno 640 d.C. durante il ducato longobardo di Aione di Benevento.

Il posto fu abitato fin dalla preistoria come attesta la com­plessa stratigrafia della parte inferiore della Grotta della Ma­donna4 ove si trova senza dubbio il più importante giacimento archeologico della Calabria. Più campagne di scavo hanno messo in luce reperti paleolitici, neolitici, dell’età del bronzo e dell’età storica che chiaramente mostrano una lunga frequenta­zione ed una permanenza ininterrotta per moltissimi se­coli.

 Questi cavernicoli appresero poi il culto della Gran Madre da migrazioni indoeuropee provenienti dall’oriente anatolico o siro-fenicio-cretese. La più arcaica rappresentazione della Gran Dea fu un pezzo litico dal colore nero lucente. Non è da esclu­dere che a custodire i sacri luoghi vi fosse qualche Sibilla, pro­babilmente frigia. La Grotta fu certamente santuario di tutte le genti dell’orbe circostante. Quivi si praticarono riti dionisiaci misteri orfici e pitagorici, senza escludere la ierodulia, come lo lascia supporre la presenza di un’aedina consacrata a Venere, posta sull’isola di Dino, così chiamata in ricordo del tempietto.

Suc­cessivamente vi prestarono servizio confraternite di sodalitia romane, istituite al tempo  della questura di Catone, cui era af­fidata, fra l’altro, anche la cura dei sacri mirti e dei melograni che formavano un boschetto davanti all’ingresso. 

Con la diffusione del cristianesimo, che sulla costa ebbe pro­babile origine apostolica, il culto della Gran Madre, si tra­sformò in quello cristiano di S. Maria. Il simulacro ligneo della Vergine, sbarcato, secondo la leggenda da un bastimento ragu­seo, fu rinvenuto nel 1326 da un pastorello aietano nell’interno della grotta. La presenza dei monaci basiliani rafforzò infine il culto della Madonna, che si continua a festeggiare il 15 agosto.

La cittadina, a vocazione turistica, offre una magnifica visione del gran golfo di Policastro che gli sta davanti.

E qui ancor oggi la Ciprigna, cullata da Zefiro e carezzata da Selene, reincarnata nelle indigene vestali dagli occhi cerulei, continua a sorridere invitando la gioventù ad adoniche imprese.

In dialetto ‘A Pràia d’Aìta oppure ‘A Pràia e praièsi i suoi abitanti.

ROTONDA

Potrebbe essere l’antica Nerulum, stazione lucana sulla Via Popilia che andava da Milano a Reggio Calabria. Divenuto poi avamposto romano il paese fu costruito circolarmente, rotundus, da cui Rotonda.

Esisteva già nel Medio Evo, come leggiamo in una pergamena greca del 1117. In un documento del 1324 esistente nell’archivio diocesano di Cassano allo Jonio era ricordato come Castrum Reotunde. La sua parte più antica è collocata su un dosso in cima al quale sono ancora visibili i resti di un castello. Nel suo terri­torio si trova, oggi completamente abbandonato, un antico San­tuario consacrato a Santa Maria della Consolazione. Conser­vava una pregevole statua della Madonna datata 1512 e fu per secoli meta di pellegrinaggi e luogo di popolare e sincera devo­zione mariana. Vi era annesso pure un Seminario, fiorente cen­tro di studi per tutto il 1700 e il 1800.

Un’antica e rispettata tradizione festeggia, ogni anno, il 13 giugno, S. Antonio.

Per tale ricorrenza il fusto di uno degli al­beri più alti e possenti del territorio, portato in paese da coppie di buoi viene innalzato davanti al Comune come una stele vo­tiva.

Recenti scavi hanno messo in luce resti di scheletri d’animali d’epoca neozoica e strumenti fittili di tempi storici. Tutti i re­perti sono esposti in un Museo.

In dialetto ‘A Ritùnna e ritunnàri  i suoi abitanti.

Appartiene alla provincia di Potenza.

SANTA DOMENICA TALAO

E’ posta a 304 metri s/m. con vista del Lao e del Tirreno.

Il territorio, prima testimone di vicende protostoriche, fu poi popolato da Ausoni ed Enotri. Divenuto cuore della regione mercuriense, ebbe numerosi monasteri e cenobi ove si praticava l’ascesi. Tra essi fu importante quello di S. Nicola di Tremoli 5.

La denominazione di Talao invece potrebbe riferirsi o alla vici­nanza al mare qalatta   (talatta o salassa) o, come sostiene il Rohlfs, al nome del fiume Talao, come un tempo veniva chiamata la fiumara di Ca­strocucco, o più semplicemente alla sua posizione, posta com’è al di qua del Lao. Fu fondata intorno al 1620  dal bovaro Giannandrea La Greca da Mormanno in agro facente parte del feudo del Principe Spi­nelli di Scalea e poi popolata da profughi, per la maggior parte papasideresi, sfuggiti intorno al 1640 alla tirannide dei D’Alitto. Fu sempre infeudata a Scalea fino all’eversione. Il nome di Santa Domenica si rifà al quadro della Santa vene­rata in una cappella del posto dedicata all’ Annunziata. Il Patrono è però S. Giuseppe. In dialetto Sànta Dumìnica e santaduminicani i suoi abi­tanti.

SAN NICOLA ARCELLA

Un tempo insediamento romano fu poi popolato da nuclei di monaci basiliani rifugiati in celle che a modo di fortezze, arx, erano sparse sui dirupi della costa.

I resti di molte di esse ancora conservano finestre a feritoia.

Qui si diffuse il culto di S. Nicola Magno che sostituì quello più antico di Poseidon.

Nonostante tutto le celle non riuscirono ad arginare gli assalti pirateschi.

Dopo le conquiste normanne ed il consolidarsi delle istituzioni feudali l’abitato, noto come Casaletto, piccolo casale, divenne parte del territorio di Scalea di cui fu frazione fino al 1912.

Fu conosciuto anche come San Nicola dei Greci.

In dialetto Sàntu Nicola e Casalicchiàri i suoi abitanti.

Il paese (m.110 s.l.m.) è un ospitale centro turistico.

Dagli strapiombi che precipitano a mare6 ancor oggi si può ir­ridere il furente Nettuno che ruggisce impotente frangendosi sulla vulcanica roccia.    

SCALEA

Il posto, abitato dall’ultimo interglaciale, non ha avuto solu­zione di continuità di componenti antropiche7 via via arroccate sulla scala o scalinata naturale, facilmente difendibile.

L’origine dell’agglomerato urbano ha inizio con l’instaurazione del feudalesimo.

Tutta l’area fu poi vivificata dal monachesimo orientale.

Le incursioni saracene misero a prova l’intera regione.

La presenza degli igumeni dei monasteri ortodossi contribuì a far rifiorire la civiltà.

Fu merito dei Normanni se Scalea diventò un’importante cittadina.

Nei primi del 1284 subì una feroce devastazione da parte degli Almugaveri che raggiunsero anche Mormanno8.

Nel corso del XIII secolo appartenne alla contea di Lauria.

Nei secoli XV e XVI patì incursioni turchesche. In tale periodo ospitò comunità ebraiche dedite alle industrie e ai commerci.

Importò con le crociate il culto della Madonna del Carmine, Patrona della cittadina.

Fiorente fu la produzione saccarifera del cannamele.

Fu feudo di parecchie famiglie: i Sanseverino, i Caracciolo, gli Spinelli e, da ultimo, i Lanza.

La sconfitta borbonica di Campotenese, 9 marzo 1806, la vide invasa dai francesi contro i quali si ribellò in una lunga guerra che si trasformò in lotta aperta ai possidenti.

Non restò estranea agli eventi risorgimentali. Durante i moti del 1848, anche se per breve tempo, fu proclamata Repubblica,

Negli ultimi quarant’anni è sorta una nuova Scalea come filia­zione dell’antico ben tenuto e curato centro storico.

Oggi la cittadina ha un ruolo guida su tutti i paesi della costa e sull’economia turistica dell’intera Calabria.

E’ discretamente sviluppata anche l’agricoltura e l’industria.

A Scalea si possono ammirare e visitare i seguenti monumenti e opere d’arte. Dell’ottavo secolo è la chiesa di S. Nicola di Pla­teis. Risalgono al IX secolo i ruderi del Castello Normanno e di alcune chiese basiliane che conservano ancora pregevoli affre­schi. In un palazzetto normanno del XII secolo ha sede il vesco­vado. Dello stesso secolo è la chiesa di S. Maria d’Episcopio ri­fatta nel 1600.

Appartengono al XIII secolo i resti murari della Grancia e del convento di San Francesco.  

Del secolo X invece la chiesetta di San Cataldo.                         

La Torre cilindrica è del XV secolo e del XVI la Torre Talao. Tele ed affreschi oltre a sculture lignee e marmoree sono conservati nelle chiese di S. Nicola e di S. Maria. In San Nicola vi è pure un dipinto del pittore mormannese G. Galtieri raffigurante S. Nicola che disputa con Ario. Della fine del XVII secolo è la chiesa della Madonna del Lauro9. In dialetto Scalìa e scaliòti o scaleoti.

E’ terminato con queste ultime note, il brevissimo excursus tra alcuni paesi un tempo tutti appartenenti alla Diocesi dei due mari, quella di Cassano allo Jonio, oggi compresi dell’area del Parco del Pollino.

Il lavoro più completo apparirà in una prossima pubblicazione intitolata GUIDA alla scoperta di una particolare area geografica comprendente dodici paesi del Parco Nazionale del Pollino, con notazioni storiche, un vocabolario dialettale etimologico ed una ricerca sulla flora e sulla fauna.

R A F

di Francesco M.T. Tarantino

Nascesti in novembre a ridosso di una festa strana

Che celebra il giorno dei santi dei morti e i caduti

Forse ne sentiva già il peso la tua anima sovrana

Quando il tempo dei giochi ti scandiva i minuti

Non si trattava di crescere oppure sopravvivere

Eri una testa pensante che interrogava il presente

Tu volevi vivere pienamente ed anche sorridere

Ma cercavi risposte alle domande della tua mente

¿Cosa c’è oltre il reale e qual è il senso nascosto

Del quotidiano crepuscolo che insegue il giorno

E accende la notte verso un mistero maldisposto?

Era l’assillo del tuo cervello che ci girava intorno

Non avevi ancora trent’anni e sei voluto scappare

Da una folla idiota superficiale e sempre indecisa

Che non sapeva comprendere il continuo formulare

Ogni tua domanda sensata posta in forma precisa

Eppure era bello il tuo sorriso appena accennato

Tra gli albori di un desiderio sospeso nell’anima

La voglia di un sogno in un giardino incantato

Oltre la mano che stringi e ti asciuga una lacrima

Una sera d’ottobre senza fare rumore andasti via

Per attraversare i tuoi sogni e trovar le risposte

Al mistero dei giorni che dicono sempre così sia

Era tempo di andare e non aspettare la Pentecoste

Hai infranto le barriere dell’acqua e del suono

La tentazione estrema degli affetti e della paura

Ed hai sfidato la morte con la forza di un tuono

L’incognita del dopo che va oltre la tua sepoltura

Posso chiamarti amico senza averti compreso?

Credimi è forte il rammarico per la disattenzione

Al tuo continuo fuggire per non esserci di peso

Ora il cuore è compunto ma senza rassegnazione

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Francesco M.T. Tarantino ha di recente pubblicato la sua seconda raccolta di poesie dal titolo “Disturbi del cuore”, MEF – L’Autore Libri Firenze-.

LE ELEZIONI AMERICANE VISTE DALL’ITALIA

di Emanuela Medoro

Speranze e  paure

L'apoteosi di B.Obama  a Denver, un comizio in uno stadio di fronte a 85.000 persone, in un delirio collettivo di bandierine e di Change,yes, we can, ha fatto fare ad Obama un  balzo in avanti nelle previsioni di voto degli americani. Sì, e allora che cosa possiamo fare? Obama ha detto basta (enough) al prolungamento da parte di McCain degli otto anni di presidenza Bush. Con durezza descrive McCain come uno che considera classe media chi guadagna meno di cinque milioni di dollari l'anno, che propone enormi sgravi fiscali per le grosse corporations e  le compagnie petrolifere, ma non un centesimo di sgravio a più di 100 milioni di americani, un piano salute che  aumenterebbe le tasse, un progetto istruzione che non aiuta le famiglie.

Obama ha riassunto la filosofia del partito repubblicano in poche parole, dare di più a quelli che hanno di più e sperare che gocce di prosperità tocchino tutti. Ciò significa: Sei senza lavoro?Cattiva sorte. Non hai assistenza medica? Ci pensa il mercato. Sei nato nella povertà? Rimboccati le maniche. Rivolgendosi ai  sostenitori tradizionali del suo partito, la classe media, giovani, donne, gay e lesbiche, immigrati di tutte le provenienze, gente senza assistenza medica,  ha toccato poi tutti i punti salienti già noti della sua campagna elettorale collegati, come al solito nei suoi discorsi, da una frase semplicissima che si ripete come uno slogan: now it's the time to , è ora  di..., che suscita emozioni,applausi e speranze.

Ma le speranze degli uni sono la paura degli altri. E così la paura che cambiamenti profondi possano effettivamente realizzarsi, un salto nel buio, in un buco nero,  per milioni di americani bianchi, benestanti e benpensanti, è espressa nella scelta di Sarah Palin, prima candidata donna per la vicepresidenza del partito repubblicano.(Ricordo che il vicepresidente subentra in tutte le funzioni in caso d'impedimento del presidente).

Mi soffermo su questa scelta tralasciando notizie sulla Convention repubblicana di St. Paul, Minnesota, rovinata dall'uragano Gustav che minacciava New Orleans.

Sarah Palin, a 44 anni governatrice dell'Alaska, stato di petrolio, alci e ghiacci, un passato di vincitrice in concorsi di bellezza, campionessa di basket, è oggi madre di cinque figli, il primo 20 anni, in partenza per un fronte di guerra l'11 settembre, l'ultimo portatore della sindrome di Down,  testimonianze viventi della incrollabile fede patriottica ed antiabortista della madre, e della sua capacità di conciliare maternità e lavoro indipendente in politica. Sarah , insomma, incarna ed esalta  con la sua  bellezza gli ideali del conservatore repubblicano, e suscita ammirazione e compassione, in una miscela di vita vissuta, che ricorda immagini di frontiera stile Zanna Bianca, ben più eloquente ed efficace di qualunque programma scritto, destinato a svanire nel tempo.

Giovane ed inesperta in politica, non ha mai lavorato a Washington, compensa la visibile terza età di McCain, che lei ammira senza riserve, stupita, quasi incredula del miracolo di essergli accanto: “...Alcune delle grandi opportunità della vita arrivano inaspettate, ed è certamente il mio caso. Non avevo mai pensato di avere incarichi, ma la vita mi ha portata 

a diventare Governatore dell'Alaska, ed ora prima candidata donna per la vicepresidenza repubblicana... ciò che ammiro di più in J.McCain è la sua incrollabile capacità di mettere la patria innanzi tutto senza chiedere nulla in cambio...ciò la dice lunga (speaks volumes) sul tipo di generosa leadership che Egli porterà alla Casa Bianca...”, scrive Sarah all'indomani della sua nomina.

Uno dei motivi della sua scelta, è certamente la caccia ai voti delle seguaci di Hillary, tradite dalla trionfante presenza di Obama. C'è da chiedersi come faranno queste democratiche, ex figlie dei fiori ormai nonne, a fare un salto tanto lungo da votare per una donna antiabortista e pro pena di morte, in nome della solidarietà  femminista.

TEMPO MEDIATICO E RICERCA DELLA STORICITA’: IN BILICO TRA SPERSONALIZZAZIONE E PRESE DI COSCIENZA.

di Alessandra Maradei

Lo studio di Postmodernismo ovvero la logica culturale del tardo Capitalismo di Jamenson ,critico letterario e teorico politico statunitense , mi ha spinto a riflettere sull’emergere della materialità della cultura, decretato  dall’estinzione del sacro e dello spirituale, verificatasi durante il capitalismo e l’epoca moderna.

Il termine Postmodernismo designa una frattura, una coupure verificatasi intorno agli anni ‘70 in Italia. Una frattura che ha profondamente segnato chi ha vissuto in quel periodo storico, fatto di battaglie ideologiche, lotte culturali, e che ha consegnato alle nuove generazioni solo incertezze,dubbi e incapacità di trovare una solida base di valori ideologici che funga da supporto alla propria formazione.

La cultura non è diventata materiale,in fondo lo è sempre stata. Il termine utilizzato per identificare la scoperta è il termine media. La concettualità mediatica si è sostituita alla cultura letteraria nel  momento in cui è divenuta predominante la priorità filosofica del linguaggio.

Vorrei soffermarmi su questo punto: in una condizione di “flusso totale”, in cui i contenuti televisivi sfilano vertiginosamente davanti ai nostri occhi, come se fossero loghi, ossia sintesi di immagini pubblicitarie e marchi commerciali, credo sia venuta meno la distanza critica dello spettatore.

L’esclusione strutturale della distanza critica e della memoria non si registra in ambito cinematografico e teatrale: le pause tra un atto e l’altro, tra una scena e l’altra permettono allo spettatore di imprimere nella propria mente i passaggi cruciali della rappresentazione e dare una accorta valutazione critica di quanto è stato osservato.

Il video ci permette di essere testimoni delle  potenzialità del medium: tuttavia, davanti ad una condizione di “flusso totale”, qual è quella offertaci dalla tv commerciale, si reagisce sempre di più con la noia, intesa come risposta al blocco di energie, reazione alle situazioni di paralisi ,e perché no, meccanismo di difesa.

Gli spettatori sono immobilizzati, neutralizzati.

 Il rapporto tra la mediazione della macchina filmica e la soggettività dello spettatore spersonalizzato è alquanto problematico. Il tempo della finzione ,che costella il flusso della tv attraverso cicli di programmi di un’ora tallonati dai ritmi più brevi della pubblicità, ha finito per inghiottire la soggettività.

Il tempo della finzione, in una battaglia impari, ha sconfitto la storicità, ossia la percezione del presente come storia, decretandone il dissolvimento, la crisi.

Questa sconfitta ha fotografato un inconscio collettivo nell’atto di identificare il  presente, con l’ausilio delle proprie forze e di illustrare anche il fallimento di tale tentativo, che si riduce spesso alla combinazione di vari stereotipi del passato.

TUTTI I VINCITORI DEL XXXII PREMIO INTERNAZIONALE EMIGRAZIONE

di Goffredo Palmerini

Gran lavoro della Giuria per scegliere le opere da premiare. “Targa al Merito” al produttore Vincent Scarza

L’AQUILA  - Ha avuto un gran da fare la Giuria del XXXII Premio Internazionale Emigrazione, organizzato dall’Associazione Culturale “La Voce dell’Emigrante”, non solamente per il numero crescente di concorrenti dall’Italia e dall’estero nelle varie sezioni del Premio (saggistica, giornalismo, narrativa e poesia), quanto per la qualità delle opere presentate in concorso, quasi tutte d’altissimo livello. Situazione che ha molto impegnato la Giuria presieduta da Antonio De Crescentiis, sindaco di Pratola Peligna - bella cittadina nella feconda terra che vide nascere Ovidio Nasone - di fronte alla decisione di dover comunque operare una scelta tra lavori in gran parte d’ottimo profilo. Dopo una valutazione che l’ha impegnata non poco, la Giuria presieduta dal sindaco De Crescentiis e composta da personalità di spicco nel mondo culturale abruzzese, come Vittoriano Esposito (critico letterario, scrittore), Liliana Biondi (docente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università dell’Aquila), Vincenzo Centorame (giornalista, presidente del Centro Studi sul Multiculturalismo e presidente della Fondazione Michetti), Angelo De Bartolomeis ( direttore del mensile “La Voce dell’Emigrante e presidente dell’Associazione omonima) e Pina Di Berardino (Segretaria), ha finalmente emesso il suo verdetto il 6 settembre scorso, indicando i vincitori del Premio nelle varie sezioni in concorso..

Il 27 settembre, come da programma, nel Teatro comunale di Pratola Peligna, un vero gioiello architettonico, si è tenuta la cerimonia di premiazione dei vincitori. Il Premio Internazionale Emigrazione è una manifestazione che di anno in anno, nelle trentadue edizioni svolte, ha visto crescere il suo prestigio anche all’estero e per essere stato il primo sul tema dell’emigrazione, si colloca giustamente in posizione d’avanguardia tra gli eventi del genere, sia per quanto riguarda studio, ricerca e documentazione che produzione letteraria. Lo hanno affermato con legittima soddisfazione, in apertura di cerimonia, il sindaco De Crescentiis ed Angelo De Bartolomeis, infaticabile animatore dell’evento sin dall’origine. Ne hanno richiamato il valore culturale, ma anche quello politico e sociale che sottende oggi le questioni aperte dell’integrazione e dell’accoglienza dei migranti, l’assessore alle Politiche sociali della Provincia dell’Aquila, Teresa Nannarone, e Massimo Antonucci, assessore alla Cultura del Comune di Pratola Peligna.

Dei vincitori del Premio per il 2008, in particolare per le sezioni Saggistica e Giornalismo, ha riferito il prof. Centorame, appunto segnalando l’eccellente qualità dei lavori presentati in concorso che vanno tutti a consolidare e ad accrescere un patrimonio di conoscenze nel settore dell’emigrazione a disposizione della cultura italiana, sia nel campo della saggistica che del giornalismo. Per la sezione Narrativa - edita ed inedita – ha riferito la prof. Biondi, anch’ella segnalando il ragguardevole livello

letterario delle opere ed annotando come aumentino le case editrici che pubblicano molti lavori sul tema dell’emigrazione, come il caso di Cosmo Iannone Editore di Isernia. Il prof. Esposito, motivando le decisioni sulla sezione Poesia – edita ed inedita - ha invece annotato come la ragguardevole presenza di lavori in concorso abbia messo in evidenza, da parte di molti Autori, una sorta di ripiegamento poetico nel personale e nel privato, aspetto questo che limita la poesia, privandola talvolta delle ali che le consentano di librarsi in libertà nel suo universo. Da tale limite certamente si sono affrancati i vincitori ed altri concorrenti di significativa caratura. Delle varie sezioni del concorso, questi i vincitori del Premio per il 2008 (alcuni dall’estero: dagli Stati Uniti, dal Canada, dalla Svizzera e dal Venezuela).

Sezione Saggistica Emigrazione

Premio: Lia Giancristofaro curatrice (Lanciano-CH) – Autori Vari (Bacceli, Carril, Dante, D’Angelo, D’Agnese, Giancristofaro, Spedicato, Iengo) -“Emigrazione Abruzzese”, Vol. I e II – Ed. Regione Abruzzo

Premio: Nicolino Paolino (Isernia) – “La tratta dei fanciulli” – Cosmo Iannone Editore, Isernia

Premio: Vanni Blengino ( Reggio Emilia) – “La babele nella Pampa - L’emigrante italiano nell’immaginario argentino”– Diabasis, Reggio Emilia

Segnalati

Viviana Facchinetti  ( Trieste) – “C’era una Svolta”, Storie e memorie di emigranti giuliano-dalmati in Canada” – Tipografia Adriatica, Trieste

Joseph D’Andrea curatore (Pittsburgh - USA) – “Monongah, cent’anni di oblio” – Autori Vari (Massello, Lombardi, Santorieno, Lalli, Laurelli – Cosmo Iannone Editore, Isernia

Sezione Giornalismo Emigrazione

Premio: Claudio Beccalossi (Verona) - Raccolta di articoli pubblicati su vari giornali e riviste, in Italia e all’estero, sui temi dell’emigrazione/immigrazione

Premio: Stefano Falco (Pescara) - “Pietro Di Donato, lo scrittore muratore”, documento video

Premio: Loris Zamparelli (Pescara) - “Sales Macaoni. Cosa resta di quegli “sporchi” italiani “– Autori Vari (Bucca, De Francesco, Mastromatteo, Zamparelli), documento video

Sezione Narrativa (edita) Emigrazione

Premio: Saro Marretta (Berna - Svizzera) – “Piccoli italiani in Svizzera” – Cosmo Iannone Editore, Isernia

Premio: Marc Robertson (Allen - USA) – “Scoprire un’altra America” – Editrice Bastoni, Foggia

Premio: Anna Maria Zampieri Pan ( Vancouver – Canada) – “Personaggi & persone” – Ital Press Publishers Ltd. Canada.

Segnalati

Domenico Lucente (Sulmona-AQ) – “Giuseppe”,il volto umano dell’emigrazione abruzzese – Editrice Uni Service, Trento

Pasquale Moscardi (Maracay–Venezuela) – “La mia storia” – Guido Tazzi Editore, L’Aquila.

Sezione Narrativa (inedita) Emigrazione

Premio: Giacomo Sansoni (L’Aquila) – “Metafore, Bugie e Canguri

Premio: Germana Pegoraro (Montebelluna-TV) – “La verità nel cuore”

Premio: Luciana Chittero (Vicenza) – “Ritrovarsi e ricordare”.

Segnalati

Lucia Marcone (Isola del Gran Sasso-TE) – “La terra dell’amore”;

Giuseppe Tirotto (Castelsardo-SS) – “Impianto 42.

Sezione Poesia (edita) Emigrazione

Premio:  Vittorio Monaco (Sulmona-AQ) – “Microstorie”, Poesie dell’emigrazione abruzzese – Ianieri Editore, Pescara

Premio: Giuseppe Gualtieri (Aielli-AQ) – “Ars amatoria e amores” – Versione integrale moderna – Casa Editrice Rocco Carabba, Lanciano

Premio: Silvano Gallon (Ceccano-Roma) – “Pietre in silenzio” – Editore Incontro Poetico d’Europa, Tecchiena

Segnalati

Emilia Fragomeni (Genova) – “Alba sul mare della vita” – Edizioni Tigullio, Santa Margherita Ligure

Benito Galilea (Roma)– “Identità spogliata” – Rhegium Julii.

Sezione Poesia (inedita) Emigrazione

Premio: Domenico Luiso (Bitonto - BA) – Trittico: ”Solo un gioco”, “Forse”, “Stanco e dissolto”

Premio: Tiziana Gabrielli (Chieti) – Poesia  “Sehnsucht”;

Premio: Fryda Rota (Borgovercelli -TO) – Trittico: ”Migrantes”, “E fu lui a vincere il Mare”, “Era, la speranza, una barca”

Segnalati

Pietro Ciampa  (Pratola Peligna – AQ) – Trittico: “Vecchio lume”, “Spersi sepali”, “Ti rivedi”

Angelo Terrasi (Sulmona – AQ) – Trittico: “Ritornare”, “Prima di partire”, “Il falco Liberato”

La Targa “Onore al Merito” per il 2008 è stata conferita a Vincent Scarza con la seguente motivazione:”Per aver onorato il lavoro italiano all’estero come Produttore cinematografico e televisivo”. Nato a Philadelphia, in Pennsylvania, da Silvio Scaricamazza (cognome poi cambiato in Scarza) emigrato nel 1921 da Appignano, in provincia di Teramo, e da Tosca Marchese, nata in America da genitori entrambe emigrati dall’Abruzzo, Vincent Scarza è un affermato produttore e regista cinematografico, televisivo e teatrale. Ha diretto grandi eventi d’intrattenimento, teatrali e per la Tv,  documentari e specials, e molti programmi di successo (con personaggi noti al grande pubblico, come Tony Bennett e Franky Avalon)

sulle più importanti reti televisive americane (Abc, Nbc, Cbs e Pbs). Da tempo è impegnato nella produzione della serie televisiva Biography per la rete A&E. La sua attività nel campo della settima arte e per la televisione l’ha portato spesso a lavorare all’estero, in Giappone, Germania, Olanda, Canada, Portogallo, Russia, Finlandia, Grecia ed in Italia, anche se il grosso dell’attività lo svolge a New York. Fortemente legato all’Abruzzo, vi torna spesso a trovare i parenti (è un assiduo cliente della Eurofly sul volo New York-Pescara), mentre in America valorizza e promuove la nostra regione in tutti i modi. Insomma, un americano-abruzzese che ama la cultura italiana ed illustra l’Italia con il proprio lavoro, dandole onore e prestigio all’estero.

UNA SEQUELA DI DRAMMI UMANI, OGNI GIORNO, IN COSTA D’AVORIO

di Pietro Iovenitti

Abidjan, settembre 2008. Ogni giorno una storia diversa e di queste mille ne potrei raccontare. Storie che lasciano cicatrici profonde che lentamente ripercorro ogni volta che mi fermo a pensare.

Venerdì pomeriggio, ore quindici e trenta. Termino un cesareo eseguito a causa di un travaglio troppo lungo e senza alcuna speranza. Stanco dopo una lunga settimana di lavoro ripiego i pantaloni bianchi e la maglietta, la mia divisa da ospedale, saluto l’ostetrica e l’anestesista e mi dirigo verso la macchina che, infuocata, mi attende fuori dell’ospedale dopo essere rimasta quasi otto ore sotto il sole. Mi siedo al posto di guida, abbasso immediatamente i vetri degli sportelli anteriori, accendo il climatizzatore, monto le lenti scure sugli occhiali e metto in moto il vecchio e rumoroso motore della Mazda. Dopo una breve marcia indietro volto a destra, percorro la strada sterrata che conduce al centro di Anyama, passo di fronte al municipio e inizio la discesa in direzione di Abidjan.

Improvvisamente sono costretto a rallentare. Sulla mia corsia vedo a terra una forma immobile, qualcosa dai contorni sfumati che man mano che mi avvicino diviene più chiara. Un uomo accasciato a terra aggrappato alla sua bicicletta. Procedo lentamente e cerco di capire prima che sia troppo tardi. Ho a disposizione una decina di secondi.

Un camion carico di grossi tronchi strombazza alle mie spalle e vorrebbe che io accelerassi. L’uomo è accasciato a terra rovesciato sulla spalla sinistra, le sue mani stringono ancora il manubrio della bicicletta e le sue cosce sono serrate intorno alla canna. E’ come se avesse sperato di poter controllare la caduta o di potersi almeno rialzare. Attorno a lui un gruppo di bambini lo fissano ammutoliti. L’uomo riposa a terra con la testa appena graffiata dall’asfalto, gli occhi socchiusi e la bocca serrata. Sembra come se dormisse nel suo letto. Dimostra una sessantina d’anni, ma ne avrà sicuramente quindici di meno. Forse neanche lui conosce esattamente la sua età. Indossa un pantalone e una casacca di colore verde scuro consumata dal tempo, come quelle utilizzate in Cina qualche hanno fa dai quadri del partito dirigente.

Dietro la bicicletta, sul portapacchi, è legato con una corda di caucciù un vecchio e affilato macete di ferro. I piedi dell’uomo ancora ben posizionati sui pedali per compiere l’ultimo sforzo, calzano un paio di sandali di plastica blu. Quasi certamente é un contadino che stava ritornando a casa dopo una giornata di duro lavoro. Ho ancora un paio di secondi prima che il camion che mi tallona entra nel portabagagli della mia vettura. In quei

due secondi comprendo con certezza che l’uomo é senza vita, stroncato forse da un infarto. Un colpo di acceleratore mi allontana dalla scena e un brivido mi scuote il corpo.

Sono oramai decine i corpi senza vita che ogni giorno incontro sulle strade. Vittime di incidenti, bambini investiti dalle macchine, pazzi abbandonati, donne violentate, banditi uccisi da qualcuno e poveri derelitti. Ma il brivido che mi percorre è sempre lo stesso, anzi sempre più forte. Teste fracassate, teli che coprono vite insanguinate, alberi spaccati in due, carcasse di auto carbonizzate, sirene della polizia, nugoli di gente curiosa, traffico bloccato per ore e alla fine sempre la stessa conclusione.

Una povera vita che violentemente ha cessato di vivere e probabilmente di soffrire. E sono tante queste vite, tante storie diverse, ma tutte accomunate da una costante. La sfortuna di essere nati nel posto

sbagliato, la maledizione di dover essere dall’altra parte, oltre il confine dei diritti e della legalità, al di là della vita. E sono tante queste storie, milioni di donne e uomini che quotidianamente ci passano accanto e che vorrebbero tanto essere dalla nostra parte, ma dei quali nessuno si accorge non offrendo loro alcuna possibilità.

* direttore Centro ospedaliero “San Luigi Orione” - Anyama

piero.iove@yahoo.it

ASSOCIAZIONE PROGETTO AFRIQUE

www.progettoafrique.org

c/c bancario n. 133854   

UNA VISITA ALLA CARDENAL MENDOZA

di Piero Valdiserra

Se siete in viaggio nella splendida regione spagnola dell’Andalusia, e precisamente nel triangolo compreso fra le città di Jerez de la Frontera, Puerto de Santa Maria e Sanlúcar de Barrameda, in una terra felicemente baciata dalla luminosità dell’aria e dall’alitare dei venti marini, non lasciatevi sfuggire l’occasione per visitare l’azienda produttrice del Cardenal Mendoza, il più celebre e il più pregiato fra i Brandy di Spagna.

L’azienda, a dir la verità, non si chiama Cardenal Mendoza, ma Sánchez Romate Hnos, e venne fondata nel 1781 come casa produttrice di Sherry. Soltanto un secolo più tardi cominciò a produrre il Brandy che le ha dato lustro internazionale, e che nel corso del tempo ha annoverato fra i suoi estimatori la Corte di Spagna, la Camera dei Lord inglese e la Città del Vaticano (con un nome come Cardenal Mendoza, potevano forse mancare gli estimatori di Oltretevere?).

La Sánchez Romate Hnos, con i suoi begli edifici storici, occupa alcuni isolati del centro cittadino di Jerez de la Frontera. I numeri che riassumono la sua attività sono di tutto rilievo: la superficie occupata dai fabbricati di produzione è di 32mila metri quadrati, le botti di Sherry sono 6.500 mentre quelle di Brandy sono 8.700, le linee di imbottigliamento sono 3. Un autentico colosso dell’enologia e della liquoristica iberica.

La visita all’azienda inizia dalle cantine dello Sherry. Quella del re dei vini fortificati spagnoli è una lavorazione molto complessa e particolare, al punto che negli ampi e suggestivi locali che ospitano le file sovrapposte di botti – le celebri soleras y criaderas – sono state allestite delle “lavagne” didattiche molto particolari: si tratta di normali botti da invecchiamento, sulle quali sono state tracciate, con gesso bianco, le fasi salienti della preparazione dello Sherry.

Il percorso educativo si snoda nei freschi e silenziosi ambienti da invecchiamento, fra assaggi ripetuti e commenti dettagliati e approfonditi. Al termine dell’itinerario formativo, arrivati nel locale che racchiude le botti più antiche e preziose, c’è il rituale dell’apposizione della firma in gesso sulle doghe dei fusti da collezione.

Dal mondo dello Sherry si passa poi a quello del Brandy, di quel Cardenal Mendoza che ha fatto conoscere l’azienda di Jerez in tutto il mondo. Creato nel 1887, il Cardenal Mendoza trae il suo nome da quel Cardinal Pedro Gonzáles de Mendoza (1423 – 1495) che tanto favorì Cristoforo Colombo nel suo primo viaggio di scoperta del Nuovo Mondo, e il cui ritratto è ancora visibile negli uffici della direzione aziendale. Il Cardenal Mendoza è un Brandy di Jerez della categoria Solera Gran Reserva, il top della produzione spagnola, ed è tuttora distillato in quantità limitate: ancora oggi ogni bottiglia viene sigillata a mano prima di essere confezionata. Fra tutti i Brandy spagnoli, il Cardenal Mendoza è probabilmente il più conosciuto: oltre che sul mercato interno, le sue vendite si indirizzano principalmente all’Italia (secondo mercato mondiale), alla Germania e ai Paesi del Nord America e dell’America Latina.

Dopo aver passato in rassegna la lavorazione dello Sherry e del Brandy, non va dimenticata una terza, importante attività della Sánchez Romate Hnos: la produzione, cioè, dell’Aceto di Sherry, che dalla sua materia

prima d’origine trae un sontuoso corredo aromatico che lo fa apprezzare dagli chef e dai gourmet di tutto il mondo.

Un’ultima, doverosa tappa della visita aziendale deve fare sosta nel laboratorio interno destinato alla preparazione e alla manutenzione delle botti. Essendo un ingrediente principe nell’ottenimento di tutti i prodotti aziendali, le botti della Sánchez Romate Hnos richiedono la stessa perizia, la stessa cura artigianale e la stessa passione di un grande Sherry o di un grande Brandy: per questo vengono scrupolosamente e continuamente seguite da un’équipe di preparatissimi bottai interni.

(Info: Fratelli Rinaldi Importatori, distributore esclusivo per l’Italia, Viale Masini 34, 40126 Bologna  BO, tel. 051 4217811, fax 051 242328, e-mail   info@rinaldi.biz).

VACCINIUM MYRTILLUS, MIRTILLO NERO, MUSTIKKA

di Marjatta Kulla

L’articolo è stato lasciato cosi come scritto, per precisa scelta editoriale, per dare modo al lettore di apprezzare tutta la genuinità del pensiero dell’estensore che si sforza di scrivere nella nostra lingua.

Quando le betulle hanno perso i propri colori, il prato giallo ondula sotto il vento e il bacio del sole sul viso é leggero, é ora di andare nel granaio del bosco per guardare se ci sono mirtilli neri.

Nella Finlandia centrale sulla terra sabbiosa,al fondo di vecchio mare, sotto gli alti alberi crescono protetti.  Anche se  si viveva un fascino di Olimpiade a Pechingo e nellatmosfera   intenso al finale del giavellotto degli uomini, le amiche Hilkka e Päivi hanno deciso di andare in bosco.

-Guarda ...ce ne sono qui!!

-Finalmente ... ne troviamo!!  forse ne possiamo avere abbastanza per una torta..

-Ma come sono piccoli..

- Linizio di primavera era troppo secco forse per cui. .e poi pioveva ogni giorno..

-Che estate triste... estate di pioggia.

Le amiche si concentrano a raccogliere, lanima si rilassa e  le idea volano nella mente, da lontano porta un rumore di mietitrebbia e  qualche parte di vicino un cane abbaia.

-I nonni sono stati ieri da noi..

-Come stanno ormai?

-Abbastanza bene per notare la loro età... i figli sono sempre felici... giocavano e si raccontavano barzellette e  indovinelli.

-Parlano delle cose passate.. é uno scambio importante fra le generazioni..

-Esatto ..ma una differenza di generazioni esiste anzi su battute...sai quel vecchio indovinello: cerca, cerca ma non vorrebbe mai trovarli?   (*)

-Certo ..lo conosco io !

-Ma i figli non lo hanno saputo... una loro domanda a nonno : che cosa aspetta uno speaker biondo davanti alla presa di corrente?  Indovina!

-Booh .. non so dire... cosa?

-Una posta elettronica, e-mail !!!

Tra i rami degli alberi  i raggio del sole accarezzano le schiene piegate,     la brezza dolce fa muovere aria, le zanzare cantano in coro ma improvisamente  la messa  si rompe da un squillo di Nokia.

-Ma va ! ..scommetto che lo porta anche alla sauna.

-Halloo ?  Cosi andato male..

-Che c´é ? E´  successo qualcosa?

-Tero Pitkämäki é rimasto abronzo..

-Dio mio! Mi hai spaventato ..pensavo gia un peggio ..

-Che giorno triste!  Che delusione!!

-Dai.. é soltanto uno sport...ma che ne pensi se ritorniamo?

-Vabbe.. ma almeno abbiamo avuto un aria fresca e un paio litri di mirtilli neri e la medaglia di bronzo.

-La delusione,la medaglia di bronzo, diminuirà quando tu cucinerai una buona torta ...ho una ricetta facile, eccola:

5 dl di latte, 1 dl di burro sciolto, 3 dl di zucchero, 2 uova, 7 dl di farina bianca, 2 cucchiaio di lievito, 2 cucchiaio di vanillina  e 7 dl di mirtilli neri..

mescola tutti ingredienti (salvo mirtilli), versa la pasta (lascia un poco a  parte)su lastra e metti mirtilli sopra, poi in forno per 15 minuti e dopo versa il resto di pasta sopra mirtilli e lascilo in forno di 200 gradi c. 20 minuti, e quando sara pronta e un po raffreddata versa una salsa vanillina sopra.

(*) la risposta per indovinello; un pescatore che cerca i buchi nella  rete.



1 Vedi A. Bignardi, G. Celico,  G .Barrio. Vedi  Bibliografia

2 E’ certo che ad Aieta lavorarono nei suoi boschi e per lunghi periodi segantini di Mormanno.

3 G. Guida, Praia a Mare e territori limitrofi.

4 Interessanti sono pure i reperti della grotta L. Cardini, limitrofa a quella della Madonna che è stata trovata piena di vasi decorati, di quella di Torre Nave, e i ritrovamenti di Zaparia, Dorcàra e Fiuzzi.

5 Oggi frazione di Papasidero ma gravitante su  S. Domenica e Scalea. Sulla storia di Santa Domenica Talao vedi Carlo D’Amboglia in Santa Domenica da Feudo degli Spinelli a terra di briganti e vedi pure in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, anno LXXII (2005), estratto (pag. 155-177): La Formazione di un borgo nuovo nella Calabria Citra moderna: il caso di Santa Domenica Talao di Saverio Napolitano.

6 Pericoloso per il vento è il ponte che congiunge due profonde scogliere.

7 Recenti ricerche hanno evidenziato frequentazioni in epoca mustariana  (90.000/40.000 anni fa) a Torre Talao. Altre zone abitate furono quelle in località Pertosa, Foresta, Fischia.

8 Gli Amulgaveri erano soldati di fanteria, velocissimi nell’attacco e feroci contro le popolazioni della costa. Erano comandati da un adil, capitano. Il corpo era costituito non solo da arabi, che prevalevano, ma anche da catalani, guasconi, aragonesi e navarresi.

9 La Madonna del Lauro è diven­tata protettrice di “chi va per mare” in seguito all’episodio che vide prota­gonisti, verso la fine del XVII secolo, alcuni marinai di Meta di Sorrento. L’equipaggio fece voto di costruire una chiesa lì dove il mare li avrebbe sbarcati sani e salvi. Fu così che nella pianura di Scalea, con l’impegno di questi devoti figli di Meta, l’aiuto dei pescatori del luogo, con i quali fraternizzarono, venne costruita la chiesetta dedicata alla Madonna del Lauro, protettrice del popolo sorrentino, elevata a Santua­rio diocesano l’otto settembre 1997. In tale giorno si festeggia la Vergine con una processione a mare che prima avveniva a mezzogiorno e che ora è stata spostata nelle ore serali” Dal Nuovo Diogene Moderno, Il giornale di Scalea, diretto da Nando Manco. Direzione -.Redazione - Stampa, Via T. Campanella, 95 Scalea

FARONOTIZIE.IT  - Anno III - n° 29, Ottobre 2008

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