FARONOTIZIE.IT  - Anno III - n° 23, Marzo 2008

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Direttore responsabile Giorgio Rinaldi

FURBI, FURBONI, FURBETTI, FURBASTRI

Editoriale del Direttore  Giorgio Rinaldi

Molti pensano, ovviamente a torto, che la furbizia sia l’equivalente dell’intelligenza.

Dare del “furbo” a qualcuno, invece, è come  dargli del furfante.

Nella Russia zarista, per buona pace degli animalisti, circolava un proverbio che così recitava: prima o poi tutte le volpi finiscono in pellicceria.

Così stigmatizzando i riprovevoli comportamenti di chi anteponeva l’attività truffaldina all’onesta convivenza sociale.

Nella cosiddetta arte della furbizia, diciamoci la verità, siamo imbattibili.

All’estero, italiano ha lo stesso significato di furbetto.

La tragedia è che ci ostiniamo a confondere l’esecrazione per un complimento !

In questo modo, la stragrande maggioranza del popolo italiano, in un misto di invidia/odio per chi della furbizia fa professione, fatica a liberarsi di un cliché che porta solo danno agli abitanti della Penisola.

E, fintanto che gli italiani continueranno a bearsi di essere considerati i più furbi di tutti, l’immagine dell’Italia nel mondo non potrà che peggiorare e i connazionali essere guardati come potenziali criminali.

La furbizia, ahimè, è dappertutto, ad ogni livello.

Da quello commerciale a quello politico, senza soluzione di continuità.

Bastano solo pochi esempi, di quotidiana attualità, per farci rendere conto, ove mai ve ne fosse bisogno, della complessità e diffusione del problema.

Prendo un catalogo di vacanze di un grande tour operator, uno dei più importanti d’Italia, e leggo che un tal viaggio se prenotato almeno 30 giorni prima della partenza è scontato di qualche decina di euro sul prezzo di listino.

Alla richiesta di applicazione dello sconto, vista la tempestiva prenotazione, l’addetta riferisce che lo sconto non è più applicabile.

Perché mai ?

Bisogna guardare alle pagine 7 e 8 del catalogo, è la risposta.

Con l’ausilio di una lente di ingrandimento mi rendo effettivamente conto che sotto la colonna dei prezzi si viene rimandati da una microscopica scritta alle pagine 7 e 8.

Dopo aver fatto navigare l’occhio tra “avvertenze” e “prescrizioni”, nelle pagine citate è stato possibile individuare la dicitura “salvo disponibilità di posti”.

Chiedo: quanti sarebbero stati i posti disponibili che avrebbero goduto dello sconto? Quali le modalità di controllo del meccanismo di assegnazione?

Nessuna risposta.

Ecco, nonostante la più che sospetta illegittimità giuridica ed ingannevole pubblicizzazione dell’offerta, il Tour Operator non è stato sfiorato neanche per un attimo dal dubbio che il suo catalogo è un campione dell’italica furbizia.

Allo stesso modo, certamente, sempre lo stesso Operatore ritiene di essere un “grande imprenditore”  quando scrive sul catalogo che la mancia da versare alla guida in loco, da distribuire a facchini, autisti etc.,  non è facoltativa, come la parola  stessa indica, ma…obbligatoria.

Quindi, ciò che dovrebbe essere un costo che l’Operatore dovrebbe sostenere per la perfetta riuscita del viaggio che vende, diventa per lo stesso un guadagno poiché  accolla al cliente una spesa (fuori da ogni controllo) che tra l’altro non fattura!

Vi lascio immaginare come all’estero i concorrenti considerino quel catalogo (che, per la verità non è un caso isolato) e la mancia….

Ma, questo è nulla di fronte alle dichiarazioni politiche di queste settimane.

Grandi promesse per evitare le candidature di personaggi condannati penalmente in via definitiva o con gravi procedimenti penali in corso.

Caspita, vien da pensare, finalmente, e dopo 20 secoli, uno dei princìpi cardine della vita pubblica degli antichi romani è giunto sino a noi: non solo Cesare, ma anche la moglie, devono essere al di spora di ogni sospetto.

E, invece….

Si –però-ma-bisogna distinguere-c’è modo e modo-il procedimento non deve essere stato per motivi politici…”

Traduzione: la segreteria politica dei partiti farà quel che gli pare!!!

Ultima “perla”, una di quelle capaci di azzerare anche ogni ricordo nel mondo delle immagini della mondezza per le strade di parte della Campania: Prima le nostre esportazioni andavano bene, e così la nostra economia, perché –in assenza dell’euro- noi italiani potevamo svalutare la lira e favorire il commercio dei prodotti italiani all’estero.

Dichiarazione del leader del centro-destra, notoriamente proprietario di una miriade di imprese e uomo ricchissimo.

Traduzione: non è necessario essere dei bravi imprenditori per fare i soldi, basta essere amici di politici che contano, come Craxi un tempo, per fare svalutare la moneta, così -mentre il mercato interno e gli importatori piangono- chi esporta all’estero se la ride ed incassa profitti immensi alla faccia dei cosiddetti…fessi!

Basta essere “furbi” per fare concorrenza ai produttori esteri, senza tanti riguardi, senza alcuno scrupolo di praticare una concorrenza sleale o se all’estero veniamo considerati alle stregua di delinquenti, salvo poi invocare le pene corporali quando troviamo qualche altro furbetto nel mondo ( e ce ne sono…) che, imparata la lezione, diventa più bravo dei nostri, come fu Giotto con Cimabue.

E, ora che i nostri furbi imprenditori (non a caso chiamati capitalisti straccioni) non possono più godere della svalutazione della lira per l’intervento del gendarme euro?

Ecco che vanno a produrre all’estero, così i problemi e i costi della disoccupazione restano in Italia e i “bravi” imprenditori  non solo continuano a fare concorrenza sleale fuori dall’Italia, ma anche a quegli imprenditori (che pur ci sono) che pensano ancora che furbizia non è sinonimo di intelligenza.

E, soprattutto, di onestà.

PRESIDENZIALI USA VISTE DALL’ITALIA

di Emanuela Medoro

Viaggio attraverso i siti ufficiali del candidati: curiosità e annotazioni

John McCain

Il sito web della campagna elettorale del candidato repubblicano John McCain annota minuziosamente date, appuntamenti, comizi, richieste di collaborazione e danaro. Lo slogan per il candidato è “Courageous service,experienced leadership, bold solutions” (servizio coraggioso, guida esperta, soluzioni audaci). Il video sulla sua vita descrive tutte le virtù americane - fede nel futuro dell’umanità, coraggio nell’agire, passione politica - che Egli ha dimostrato di avere a livello sommo. La pagina iniziale del sito di John McCain presenta la sua biografia, la descrizione dell’Arizona, argomenti di legislazione, ufficio stampa, notizie per studenti ed insegnanti, contatti. Nella descrizione dell’Arizona compaiono tutti gli elementi caratteristici del territorio. Pertanto impariamo a conoscere il fiore bianco del cactus saguaro, il turchese blu verde, lo scricciolo del cactus, l’albero chiamato palo verde, il serpente a sonagli, la foresta pietrificata, la trota, la farfalla, l’anfibio dell’Arizona, ed infine anche la cravatta. Il luogo più caratteristico indicato è il Grand Canyon, grandioso scenario naturale formato dal fiume Colorado. Clamoroso il silenzio sulla Monument Valley, mitico, spettacolare sfondo di tanti amatissimi film western a cominciare da “Ombre Rosse” di John Ford. La vallata è territorio abitato da tribù di Americani nativi Navajos, popolazione sempre crescente che oggi supera le 250.000 unità, su un totale di 5.629.870 abitanti. Viene spontaneo porsi delle domande: forse i Navajos non esistono perché non vanno a votare? Se è così, perché non lo fanno? Accattivante l’invito ai visitatori dell’Arizona nel messaggio di benvenuto: “Non esitate a fermarvi se siete nella zona. Il mio personale sarà ben lieto di farvi da guida”.(… My staff would love to show you round). Quanto alla lunga ed intensa attività legislativa svolta dal senatore McCain, é interessante il risalto e l’attenzione rivolti al Pork-Barrel Spending, espressione che in slang USA indica la spesa di danaro pubblico per progetti locali con il fine di conquistare voti, o per scopi demagogici. Un’altra colorita espressione di slang americano, riferita al denaro, è quella che si trova nel Bipartisan Campaign Reform Act of 2002 (BCRA), firmato da John McCain insieme con altri due senatori, che è la proibizione del danaro soft (ban on soft money). In base alle norme del provvedimento ai candidati federali e pubblici ufficiali è proibito sollecitare, dirigere, ricevere o spendere questo particolare tipo di danaro. Che cos’è il danaro soft ? Alla lettera: morbido, soffice, debole. Ci sono altre espressioni colorite al riguardo, sul sito ufficiale di McCain: “E’ ora di porre fine all’inganno/mistificazione del “soft money”, via il soft money, abbasso il soft money” (Time to end the soft money sham, ban the soft money, down with soft money). Se c’è quello soft ci deve essere pure quello hard, tosto,forte. Ma di quello non se ne parla.

Hillary  Clinton
La raccolta dei fondi per Hillary. Parlando di soldi, soft o hard per noi poco  importa, vediamo come va la campagna elettorale di Hillary. Per lei un messaggio on line sostiene che durante un dibattito si è visto che tipo di donna è Hillary: forte, brillante e piena di buoni sentimenti verso chi soffre (strong, compassionate and brilliant). Dunque, una presidente di cui essere orgogliosi. In inglese: a President. Niente genere femminile,

neppure nell’articolo. “Con il vostro aiuto straordinario vincerà. Lo possiamo fare insieme. Continuiamo a lavorare”. Firmato Bill Clinton. Ha nostalgia della Casa Bianca, il famoso Bill, dopo esserci stato otto anni? Forse si sta esponendo troppo in questa campagna elettorale, l’illustre marito della candidata. Non si chiederanno gli americani democratici: Ma per chi votiamo, per lei, per lui, per tutti e due? Hillary é senz’altro una donna coraggiosa, determinata, navigata in politica, esperta di tutti gli ingranaggi del complesso sistema America. Ma non sarebbe stato più bello se si fosse presentata con il suo cognome, Hillary Rodham, anziché con quello del marito? La più recente lettera per la raccolta di fondi della sua campagna elettorale, firmata da Terry McAuliffe, presidente (chairman) di Hillary Clinton for President, sostiene che il suo diretto concorrente per la nomination democratica, Barack Obama, ha fondi virtualmente illimitati. Come può accadere tutto questo? Cerchiamo una risposta!

Barack Obama

Sul sito ufficiale l’ingegnoso sistema di abbinamento di Barack Obama. In coerenza con lo slogan “Change, yes, we can”, che suggerisce di cambiare radicalmente la politica tradizionale di Washington, la raccolta di fondi per la campagna elettorale di Barack Hussein Obama, avversario di Hillary Clinton per la nomination democratica alla presidenza degli USA, presenta un elemento di novità, almeno per noi non americani. In uno dei messaggi, firmato Barack, si legge che non si accettano donazioni dai lobbisti di Washington o da gruppi che rappresentano interessi particolari. Barack aggiunge poi che la sua campagna elettorale dipende da una rete di sostenitori di base (grassroots supporters, grassroots sono le radici dell’erba), che danno quello che possono. L’elemento di novità è il “programma di abbinamento” (matching program), secondo cui una nuova donazione può essere raddoppiata da un donatore precedente che ha promesso di abbinarsi ad uno successivo (your donation will be doubled by a previous donor who has promised to match your gift). Una specie di moltiplicazione dei pani e dei pesci, che può riuscire a collegare i sostenitori, creando una fitta rete di gruppi di sostegno, oltre che ad aumentare, goccia a goccia, i fondi per la campagna elettorale. Infatti, si legge che chi farà una donazione abbinata, saprà il nome e la città della persona a cui è abbinato, e potrà scambiarsi notizie “per mezzo del nostro singolare sistema” (through our unique system). Siamo curiosi di conoscere i risultati di questa scaltra invenzione.

BARACK OBAMA VISTO DALL’ITALIA, IMPARIAMO A CONOSCERLO

di Emanuela Medoro

Poco più di un anno fa il quarantenne senatore americano Barack Hussein Obama manifestò la volontà di candidarsi nel Partito Democratico per la prossima presidenza degli Stati Uniti. Stranamente subito scoppiò in seno alla comunità nera una polemica, riportata dal New York Times, sull’idea stessa di essere nero negli Stati Uniti. I più tradizionalisti dei neri sostenevano che essere nero significa avere nel proprio DNA e nella memoria, sia tramandata dagli antenati che di vita  personale, l’esperienza della schiavitù  e della vita diseredata dei ghetti delle grandi metropoli.

Tutto questo è ignoto a lui, nato da madre bianca americana e da padre keniota, cresciuto nella ricchezza e nell’abbondanza (in the lap of luxury) delle isole Haway, in ambiente fortemente multietnico, con numerosissime presenze d’origine asiatica ed ispanica. Da bambino ha avuto esperienze di vita lontana dagli Stati Uniti, per qualche anno ha frequentato scuole coraniche in Birmania, dove si era trasferita la madre. Poi è tornato nelle Haway, dove ha frequentato la migliore scuola multietnica del luogo e si è distinto nella scrittura. Poi studi di giurisprudenza a Los Angeles completati a New York, alla Columbia University.

Dunque, questo candidato ha cultura e modi cosmopoliti, lontanissimi anni luce da quell’America che ha eletto tanti presidenti appartenenti ai WASPS (White Anglo-American Protestants, Protestanti Anglo Americani  bianchi), l’élite bianca del New England, della costa est, ovvero degli Stati formatisi dalle prime colonie inglesi. Si sosteneva un anno fa che non è il colore della pelle a fare una persona, ma la sua cultura. Pertanto Obama non poteva assolutamente essere un rappresentante dei neri, ma doveva essere considerato solo come americano, un brillante risultato del melting pot, grande calderone che tutto rimescola, cambia e trasforma in nome del sogno americano.


Oggi Barack Obama può permettersi di fare una campagna elettorale con degli slogan semplicissimi, “Change, Yes, We can” Ripetendo e scandendo forte queste parole, che anche un nostro bambino delle elementari può capire in inglese, ha stravinto una serie di primarie. Va citata la vittoria strepitosa in Sud Carolina, stato che nel XIX secolo perse

150.000 dei suoi uomini bianchi di recentissima origine europea, per difendere il diritto di proprietà e commercio di carne umana nera. Migliaia di eredi degli schiavi, un fiume umano, si sono recati alle urne, per lui. Per la prima volta in vita loro. Ripetendo e scandendo quelle semplici parole si é potuto permettere di dire ad Hillary Rodham Clinton, sessant’anni, di cui otto trascorsi alla Casa Bianca, che lei rappresenta il passato, e non il futuro.


E’ questo fenomeno che fa nascere una speranza, ed insieme un incubo. Lo slogan “Change, yes, we can” attrae l’attenzione e risuscita le speranze dei neri più diseredati, degli ispanici, degli immigrati recenti, di quelli che hanno bruciato a contatto con la realtà il loro sogno americano. E’ un altro

aspetto del sogno americano, dunque, quello che fa emergere l’americano di colore Barack Hussein Obama . Il sogno del venir meno delle differenze economiche e culturali troppo marcate dipendenti dall’etnia di provenienza, e quindi incolmabili. Suscita il sogno di colmarle, a completamento dell’ovvio sogno dell’arricchimento rapido, nel perseguimento della felicità (the pursuit of happiness).

In parallelo a questo emerge nell’élite wasp - e nella classe media bianca, benestante - di religione protestante ed orgogliosa espressione di valori patriottici, l’incubo che ciò possa accadere veramente. L’incubo consiste nel fatto che milioni di afroamericani, ispanici ed asiatici di recente immigrazione possano cambiare con il loro voto i rapporti di forze nel mondo politico del Nord America. L’incubo che l’America debba cambiare se stessa oltre che pretendere di andare a cambiare gli altri. E’ per questo incubo che servizi di sicurezza straordinari sono stati messi intorno a quest’uomo tanto carismatico, onirico e profetico, mosso e sollevato da terra col petto di uomini bianchi e neri che devono proteggerlo da quei proiettili che qualche decennio fa fecero un mito di JFK e di suo fratello Bob.

Un sogno o un incubo anche per noi.

IL DISEGNO DELLA PROVVIDENZA
ED IL SOGNO AMERICANO SECONDO I CANDIDATI PRESIDENTI           

di Emanuela Medoro

Presidenziali Usa viste dall’Italia

Dal sito di John McCain, ovvero il candidato della Provvidenza

A proposito di dignità umana e santità della vita il Senatore McCain dice: “Gli americani sono parte di qualcosa di provvidenziale, di un grande esperimento per provare al mondo che la democrazia è non solo la forma più efficace di governo, ma il solo governo morale. E, attraverso gli anni, generazioni di americani hanno fermamente creduto che nostro compito era trasformare la storia. Quale causa più grande potremmo servire?” Passando dal linguaggio ispirato e biblico a quello più realistico della politica, ecco come un autorevole sostenitore di John McCain - l’ex Segretario di Stato del Texas, James Baker - giustifica il suo impegno per lui ” Egli ha le qualità critiche della leadership, esperienza del mondo reale ed assoluta dirittura morale”. In questo contesto i progetti di “speranza e cambiamento” sono considerati eufemismi per attacchi feroci, i più malvagi (vicious attacks) di quelli visti finora. Dunque i nordamericani esistono per un disegno divino volto a cambiare il mondo secondo il loro modello di democrazia. Se i Protestanti Evangelici, che in massa hanno sostenuto ed ispirato la presidenza Bush, manterranno la loro compatta unità politica, sarà facile per J. McCain prendere la Casa Bianca. Per questo il candidato della provvidenza ha bisogno dell’aiuto immediato dei sostenitori e per respingere gli attacchi dalla rabbiosa sinistra liberale e per realizzare il progetto divino. Ed ecco una originale richiesta di contributi per la campagna elettorale di John McCain, datata 29 febbraio: “Cosa succede ogni quattro anni? Una volta ogni quattro anni ricorre l’anno bisestile (leap year). Una volta ogni quattro anni noi abbiamo l’opportunità di eleggere un nuovo presidente…McCain sta portando un messaggio pieno di speranza per la sicurezza nazionale, per diminuire le tasse, per le necessarie riforme del congresso etc. … Aiuta il senatore con un contributo di 366 dollari, in onore dell’anno bisestile, oppure di 250 dollari, un dollaro per ogni giorno che manca alla prossima elezione”.


I candidati del sogno americano
La candidata Hillary Rodham Clinton si fa carico del sogno americano della classi medie, che (tradotto alla lettera dalle pagine del suo sito) dopo sei anni di politica dell’amministrazione Bush combattono per sopravvivere in un’economia che lascia indietro un numero crescente di americani, la diseguaglianza di reddito è cresciuta ai livelli più alti dal

1929, i salari ristagnano. Nel frattempo le assicurazioni mediche e le tasse per l’istruzione universitaria sono salite velocemente alle stelle (skyrocketed), costringendo le famiglie a lottare per arrivare alla fine del mese (to make ends meet). Hillary ritiene che una vivace (vibrant) classe media è essenziale alla prosperità americana, pertanto propone una serie

di provvedimenti concreti che spaziano dalla guerra in Iraq, ai problemi dell’ambiente, al ruolo dell’America nel mondo, alle donne ed alle loro opportunità, alle leggi sull’immigrazione. Le proposte che più toccano la nostra attenzione sono quelle che manifestano la volontà di fornire ad ogni americano cure mediche di qualità e rendere l’università accessibile a tutti. E’ bene sottolineare che a proposito di cure mediche il candidato della provvidenza parla di libero mercato della salute e di responsabilità individuale per la prevenzione di malattie croniche. E’ strano come una costituzione che garantisce il diritto al perseguimento della felicità individuale, non consideri la salute come prerequisito essenziale di questo diritto, che diventa fonte di scontri feroci fra gruppi opposti. Per raggiungere la Casa Bianca e provare a mettere in atto questi programmi, anche la figlia Chelsea è scesa in campo, oltre al famoso marito Bill. ”Faccio tutto quello che posso per aiutare, viaggio attraverso Stati, parlo a migliaia di persone. E sapete che mamma lavora con tutto il cuore (is working her heart out). Sono orgogliosa del modo in cui continua a combattere ogni giorno per quello in cui crede e per l’America che lei sa come deve essere….date il vostro contributo”. A proposito di contributi: Hillraisers (da raisers for Hillary), è un neologismo creato per indicare coloro che raccolgono i fondi (money-raising) a favore della campagna elettorale di Hillary, da distinguere dai semplici contribuenti (contributors).

Più visionaria e radicale la campagna dell’altro candidato dei democratici, Barack Obama. Lo slogan che si trova all’inizio del suo sito dice: ”Vi chiedo di credere. Non nella mia capacità di portare un vero cambiamento a Washington…Vi chiedo di credere nella vostra”. A chi si rivolge? Chiaramente a quelli che non sono soddisfatti del loro modo di essere americani. La gente felice, anche solo un po’, i wasps, la borghesia e tutti quelli che si sentono realizzati nel sogno americano, sono obiettivo di messaggi ben diversi, quelli che promettono di garantire e tutelare la sicurezza del permanere del loro stato di felicità. Secondo le affermazioni di Barack, però, di gente infelice, insoddisfatta dal sistema America e che si sente esclusa dai processi di crescita economica e sociale ce ne deve essere parecchia. Secondo il suo programma ci sono 37 milioni di americani poveri, la maggior parte dei quali sono forza lavoro. Troppi di questi sono madri single che crescono bambini. Passando dal visionario al concreto, con quali misure Barack Obama vuole realizzare il suo sogno? Lunghissimo è l’elenco dei provvedimenti e delle proposte politiche che in genere si agganciano alla sua attività di senatore, e la sviluppano. Al primo posto di questo elenco ci sono i diritti civili, fondamentale il diritto di voto. Tuttora ci sono parecchi ostacoli alla certezza che ogni cittadino abbia la possibilità di votare. Allargare il più possibile la base elettorale è lo scopo della sua campagna. “Abbiamo successo perché la nostra campagna porta persone nuove nel sistema…” (We are succeeding because our campaign has always been about bringing new people into the process). E poi: “Milioni di americani rimangono fuori dal processo politico, scettici verso i politici e delusi dalla rete di interessi di Washington….il nostro è un movimento di base (grassroots movement) che non è solo competizione, é in crescita, in un processo politico dominato troppo a lungo da interessi particolari”. Chiede pertanto ai suoi sostenitori di fare tante, tante telefonate negli Stati dove si vota il 4 marzo. “ Le cose più straordinarie accadono a livello personale, quando hai un collegamento personale con un votante e scopri che condividi una comune visione di ciò che dovrebbe essere”. Questo è vero, la condivisione di convincimenti e sentimenti è gratificante, sempre e per tutti.

emedoro@yahoo.it

IL NOME DEL LATTE

di Piero Valdiserra

Nella foto lui ha lo sguardo sicuro, il sorriso appena abbozzato e la carnagione chiara. Lei ha gli occhi tranquilli, l’espressione compunta e un incarnato decisamente scuro. Potrebbe sembrare una normale immagine multietnica, oggi abbastanza comune fra le coppie di recente formazione. Invece attenzione: anziché multietnica, la si può definire a buon diritto un’immagine…multizootecnica. Fianco a fianco sono infatti fotografati Guglielmo Fontanelli, allevatore di bestiame dell’appennino bolognese, e Vocilla, una mucca frisona italiana nata tre anni fa nella sua stalla di Monzuno. E fianco a fianco Guglielmo e Vocilla compaiono su tutte le bottiglie a marchio “Le Mucche di Guglielmo”, il nuovo latte di Bologna da qualche mese in vendita nel capoluogo emiliano e in alcune rivendite selezionate della sua provincia.

La storia merita di essere raccontata. Guglielmo Fontanelli, classe 1963, una vita passata a coltivare la terra e ad allevare mucche, nel 2000 si trasferisce a Trasasso, frazione di Monzuno, sul primo appennino bolognese. Qui sviluppa pian piano la sua attività, che oggi conta 180 capi e produce 6.000 quintali di latte ogni anno. Il latte, in particolare, è da sempre la sua croce e la sua delizia. Croce, perché il mercato si fa sempre più duro e competitivo; delizia, perché il latte che produce Guglielmo è di qualità straordinaria.

Nel 2007, dopo una lunga e meditata incubazione, arriva la svolta. Il mercato è dominato da latte di provenienza anonima, spesso non italiana, è afflitto da prezzi al ribasso, è organizzato su una filiera che conta troppi passaggi (ritiro, lavorazione, magazzino, rappresentanti, distribuzione)? Guglielmo decide allora di ribaltare completamente le regole del gioco: lui produrrà un latte di alta qualità che porterà il suo nome, lo commercializzerà con un leggero price premium e lo articolerà su una filiera cortissima, tutta tracciata, controllata in prima persona dall’inizio alla fine.         Non male, eh?

“Si parte dall’alimentazione delle mucche – sono le parole di Guglielmo – che io definisco quasi da Parmigiano – Reggiano: niente insilati né fieni fermentati. Il 90% è fieno di pianura, più ricco di proteine. Poi per la ditta che mi fornisce il mangime che somministro ai vitelli da carne ho personalmente studiato una particolare miscela, denominata Vitelli Fontanelli (un nome una garanzia, N.d.A.), la cui formula deve restare un segreto. Fondamentale è anche la selezione: dopo varie prove ho deciso di incrociare le frisone italiane da latte con la razza blu belga”. Un’attenzione maniacale per la produzione, come si vede, che comunque non gli fa perdere di vista il mercato: “Secondo me bisogna tornare a dar valore al latte per quello che è, cioè un alimento di qualità. E la qualità deve costare, perché la differenza si sente: il mio latte, infatti, lo puoi bere anche senza zucchero”.

Risultato? Da qualche mese Guglielmo Fontanelli distribuisce il primo latte bolognese prodotto a breve distanza dal consumatore. Le caratteristiche del prodotto sono di eccellenza assoluta: pastorizzato a bassa temperatura, il latte delle mucche di Guglielmo viene raffreddato in un’ora e mezza (invece che in due minuti), non è scremato né omogeneizzato e

in bottiglia fa un filo di panna, grazie alla sua interezza di qualità. Ha un contenuto molto elevato di proteine nobili (+10% circa rispetto all’altro latte di alta qualità). È inoltre il primo latte dell’Emilia – Romagna ad avere il numero unico di riconoscimento comunitario.

Come la produzione, anche la commercializzazione è rigorosamente controllata. Anzi, è autogestita: Guglielmo si è comprato un bel furgone con cui ogni mattina, da Monzuno, parte per distribuire personalmente il suo latte nei negozi selezionati di Bologna e provincia. Naturalmente anche sul furgone, come su ogni bottiglia, campeggia la foto di Guglielmo e di Vocilla, affiancati e associati nel progetto dell’alta qualità.

Un progetto che ha un tetto di sviluppo ben preciso: 10.000 bottiglie alla settimana, il massimo che l’allevamento può dare nel rispetto di ogni garanzia qualitativa. E senza bisogno di acquistare mai latte da altri allevamenti.

Qualcuno, anni fa, è diventato famoso scrivendo Il nome della rosa. Guglielmo Fontanelli sta cominciando a scrivere, ogni giorno, il nome del latte di Bologna, che è poi anche il suo nome, stampato a chiare lettere su ogni etichetta del suo prodotto. Senza dimenticare, per carità, anche se non è riportato per iscritto, il nome della mansueta Vocilla…

(info: Azienda Agricola Guglielmo Fontanelli, Via Boschi 2, 40036 Monzuno BO, tel. 051 6511889, fax 051 6771054, latte@lemucchediguglielmo.it, www.lemucchediguglielmo.it).

L’ARRINGA DELL’AVVOCATO CASTRO RUIZ

di Raffaele Miraglia

C’è chi lo ama visceralmente. E chi lo odia con altrettanto vigore.

Ci sono quelli che dicono che ha più meriti che difetti. Secondo altri è vero il contrario.

Tutti, però, concordano sul fatto che Fidel Castro, come persona, ha due grandi limiti: non accetta nessuna critica ed è logorroico.

E’ famoso l’aneddoto sul suo tremendo litigio con quella signora che, durante una cena, osò contraddirlo sulla ricetta di uno dei piatti nazionali cubani. E’ risaputo che i suoi discorsi duravano ore ed ore. Probabilmente è suo il comizio più lungo della storia.

Due difetti che Fidel Castro deve di sicuro alla sua formazione scolastica e professionale. Prima di diventare un rivoluzionario, infatti, si chiamava Fidel Castro Ruiz e faceva l’avvocato.

Già .... faceva l’avvocato.

Probabilmente pochi sanno o ricordano che fu proprio una sua arringa difensiva a spianare la strada alla rivoluzione dei barbudos.

“Condannatemi pure, la storia mi assolverà.” 

In lingua originale la frase suona così: “Condenadme, no importa, la historia me absolverà.”  Così si conclude la più famosa arringa dell’avvocato Fidel Castro Ruiz.

Il giovane avvocato cubano la pronunciò il 16 ottobre 1953 davanti alla Corte di Santiago di Cuba. Era stato arrestato il 1 agosto del 1953 dopo il fallito assalto alla Moncada del 26 luglio.

Difficile trovare una traduzione italiana di quell’arringa (ma ne esistono) e io ne posseggo solo una copia in spagnolo, ovviamente pubblicata a Cuba.  Interessante studiarne la tecnica argomentativa. Certo, in gran parte datata, non facilmente riproducibile oggi davanti a giudici, che gradiscono concisione e che non sono disponibili ad ascoltare tesi in diritto “ardite”, ma utile per un processo che si sa perduto in partenza.

L’esordio: “Signori magistrati, mai un avvocato ha dovuto esercitare il suo ufficio in condizioni tanto difficili, ...” 

L’avvocato Fidel Castro Ruiz si stava autodifendendo perché non gli era stata concessa la possibilità reale di avere un avvocato di fiducia. L’aveva nominato, ma non poteva avere colloqui con lui, se non della durata di dieci minuti e alla presenza di un sergente dei Servizi Segreti Militari, e così decise di far da sé. Lo spiega subito ai suoi giudici e spiega cos’è successo in carcere, dove gli hanno negato persino di poter leggere, per preparare l’arringa, un libro di Martì, a cui voleva ispirarsi. Tanto per capirci, Martì è per i latinoamericani quel che Garibaldi è per gli italiani.

Poi passa al diritto, ai principi di costituzionalità e di tassatività. L’avvocato Fidel Castro Ruiz legge ai giudici l’articolo 148 del Codigo de

Defensa Social, la norma sulla base della quale il pubblico ministero ha chiesto la sua condanna a ventisei anni di reclusione, tenuto conto di tutte le aggravanti possibili e immaginabili. Si punisce “l’autore di un fatto diretto a promuovere l’insurrezione di gente armata contro i Poteri Costituzionali dello Stato”. E l’avvocato segnala che due sono gli elementi che saltano subito agli occhi: il riferimento alla Costituzione e quello ai Poteri. E chiede ai giudici come fa in qual momento un qualsiasi atto ad essere diretto contro la Costituzione, visto che il dittatore Batista l’ha abrogata, e come fa ad essere diretto contro i Poteri Costituzionali (plurale), che sono quelli legislativo, esecutivo e giudiziale, se a Cuba adesso esiste un unico Potere (singolare), quello golpista del dittatore Batista.

Poi l’avvocato passa a descrivere il fatto. Fa subito i nomi dei complici, ma solo di quelli che sono stati uccisi e accusa che la quasi totalità è stata ammazzata dopo essere stata catturata (ritornerà su questo più avanti nell’arringa ricordando che “Nella guerre gli eserciti che assassinano i prigionieri si sono guadagnati sempre il disprezzo e l’esecrazione del mondo” – ironia della storia oggi il più potente esercito del mondo consuma la più palese delle violazioni delle leggi sulla guerra proprio su un pezzo di terra sottratto alla sovranità di Cuba, Guantanamo, che dista pochi chilometri da dove Fidel Castro Ruiz parlava).

Poi, repentinamente, passa a difendere i soldati, che “stanno subendo una tirannia peggiore di quella che subiscono i civili.”. Facile profeta, avverte che il dittatore Batista e i suoi accoliti li stanno consegnando a un triste destino e che nel chiuso delle loro stanze così parlano del soldato: “quando il popolo si solleverà, tu pagherai i nostri crimini e noi andremo a vivere come principi all’estero.

Dalla difesa del soldato passa a spiegare quali sarebbero state le cinque leggi fondamentali che sarebbero state promulgate in caso di vittoria della rivoluzione, tutte leggi per attuare la Costituzione del 1940. E spiega ai giudici quale peso abbia la povertà nel popolo cubano e come sia fondamentale una politica che sappia dare estremo impulso all’insegnamento. E su quest’ultimo punto, bisogna riconoscerlo, Fidel Castro Ruiz non hai mai cambiato opinione.

Prosegue l’avvocato smontando la tesi del complotto finanziato dall’estero e inizia ad attaccare il dittatore Batista. L’attacco a Batista serve a dimostrare che è lui che ha violato l’art. 148 del Codigo de Defensa Social e non solo quello. Ricorda di averlo denunciato per questo, ma sa che la “Forza” ha bloccato loro, i giudici, che “allora non poteste punire il colpevole, oggi siete costretti a condannare un innocente.

Si difende invocando l’art. 40 della Costituzione del 1940: “E’ legittima la resistenza proporzionata per la protezione dei diritti individuali garantiti anteriormente.” Spiega perché quella Costituzione, seppur apparentemente abrogata dal dittatore Batista, sia ancora in vigore. Sfida i giudici, ricordando loro l’articolo del Codigo de Defensa Social che punisce “Le autorità di nomina governativa e gli eletti che non hanno resistito all’insurrezione con tutti i mezzi in loro possesso.” e chiede se qualche magistrato è stato condannato per non aver fatto resistenza al golpe di Batista. Poi si avvia alla conclusione con una ventina di citazioni, da Sant’Agostino a Milton, passando per Rousseau e Locke, fino a

giungere alla Dichiarazione d’indipendenza di Filadelfia e a quella dei Diritti Umani francese.

Non chiede la sua assoluzione. Sa che il Tribunale dovrà condannarlo, ma ringrazia i giudici per la loro umanità e, soprattutto. il Presidente per aver fatto capire “la sua ripugnanza per lo stato di cose vigenti che lo obbliga a emettere una condanna ingiusta.”

Chiude con quella frase famosa, che di storia parla e che alla storia è passata.

 L’avvocato Fidel Castro Ruiz verrà condannato a quindici anni di reclusione, ma riuscirà in modo rocambolesco a far uscire dal carcere il testo della sua arringa. Il testo viene diffuso nel 1954 e sulla sua base si crea una fortissima pressione che costringe il dittatore Batista ad amnistiare nel 1955 Castro e gli altri condannati.

Passeranno altri quattro anni prima che Fidel Castro Ruiz, nel frattempo esiliato, abbandoni definitivamente il suo secondo cognome e la prospettiva di fare l’avvocato.

Corre l’anno 1959 e a Cuba anche per tutti gli altri avvocati cubani cambia la vita e di arringhe del genere non se ne sentono più o, almeno, non se ne ha più traccia.

MATER E MAFIA, PATRIARCA E POTERE

di Mirella Santamato

Che la mafia abbia anche etimologicamente origine nella parola “Mater” è fuori di dubbio. Quella prima sillaba così inconfondibile “ Ma’” sta ad indicare la provenienza del potere della “Mamma” negli antichi Clan preistorici. Infatti, a quei tempi, solo la mater era certa, per derivazione inconfondibile di sangue e quindi solo da lei proveniva la forza del legame che congiungeva tutta la tribù.

La seconda parte della parola “mafia” riporta al  filius a quel “picciotto” che quando “mamma comanda, va e fa’. “ come viene tramandato ancora oggi nei codici mafiosi.

Il legame strettissimo e inscindibile tra madre e figlio diventa, per le antiche popolazioni mediterranee, e non solo siciliane, il vincolo di riconoscimento dell’appartenenza.  I vari clan, la varie Famiglie si riconoscono e si distinguono l’una dall’altra grazie a questa consanguineità. Le lotte tra i vari clan o famiglie è spietata, perché è una guerra  di Potere e di supremazia. In tempi di scarsità di risorse come quelli preistorici solo il clan più forte, più indomito e più crudele riesce a sopravvivere.

Questa mentalità si è distillata nel DNA attraverso i secoli ed è tuttora esistente in tutti gli umani.

La sacralità della “Mamma” (detta, in gergo mafioso, appunto “santissima”) è data dal suo Potere dominante. Nulla a che fare quindi con la spiritualità elevata come la intendiamo noi moderni oggi.

Il Potere della Mater ha “funzionato” nei millenni indisturbato, fino a che le popolazioni erano molto esigue e i clan formati da poche decine di individui legati da vincoli di sangue.

Aumentando enormemente la popolazione grazie all’utilizzo dell’agricoltura e dell’allevamento, il Potere della Mater si ridimensiona nel solo nucleo famigliare, domestico, nel piccolo territorio, mentre si manifesta sempre di più l’esigenza di organizzare grandi gruppi di individui nel “fuori della casa”, nei nascenti Regni e Patriarcati.

Il Pater esercita il potere “fuori casa”, emanando leggi spesso ingiuste, come quelle matriarcali che privilegiavano solo i membri della famiglia, costruendo istituzioni e forti eserciti armati che vanno a conquistare i territori nemici e uccidono esattamente come la Mater ha insegnato, ma solo su più vasta scala.

La differenza tra i Potere della Mater e quello del Pater è quasi irrilevante nella struttura, perché sempre di Potere si tratta. La differenza consiste solo nella vastità dell’azione.

Ecco perché i due Poteri che qualche volta  apparentemente vanno in conflitto, in realtà non solo convivono allegramente, ma si infiltrano l’uno nell’altro in maniera inscindibile e non più separabile.

La politica, le istituzioni, le chiese di Stato e tutte le forme di Potere costituito, dall’antica Roma in avanti, sono solo  covi di corruzione e di favoritismi.

Il Potere della Mater, quindi, rimane solo nel “segreto dei palazzi”, come la casa è appannaggio storico del femminile, mentre il Pater esercita il suo Potere all’esterno, nella lotta tra le nazioni, facendo la Guerra e lanciando

bombe su popolazioni inermi. Che ci siano spesso delle “baruffe” tra Padre e Madre è cosa di tutti i giorni e così, anche nel macrocosmo del mondo, avviene la stessa cosa.

Un Potere, in realtà, trae forza e sostentamento interno dall’altro e quindi la deleteria “collaborazione” ( ovvero “collusione”) tra i due poteri mi sembra difficilmente annullabile.

L’unica energia che “annulla” il Potere, ovvero lo trasmuta, è l’Amore.

L’Amore, quello vero, è l’energia più sconosciuta all’umanità. Alcuni grandi, nel corso della Storia, si sono avvicendati proclamando che la soluzione si chiamava “Amore”, ma, nel migliore dei casi, non sono stati né ascoltati né capiti e, nel peggiore dei casi, sono stati torturati e crocefissi.

Quanti millenni ancora ci vorranno all’umanità per capire il grande inganno, la mortale trappola?

MADE IN EUROPE: UNA SFIDA PER CHI HA STOFFA DA VENDERE

di Paola Cerana

Lo scorso venerdì 15 febbraio si è svolto a Milano un convegno organizzato dalla Commissione Europea e dal Ministero delle Attività Produttive, in accordo con Euratex, l’Associazione che rappresenta l’industria del Tessile e Abbigliamento Europeo.

L’evento non ha avuto forse lo stesso rilievo mediatico delle sfilate pret-à-porter, che quasi contemporaneamente, come tutti gli anni in questo periodo, hanno catalizzato i riflettori milanesi. Ma è stato un appuntamento altrettanto importante e implicitamente legato a quel mondo appariscente che pone in primo piano la moda e i suoi patinati eventi mondani. Quindi, mentre davanti a passerelle affollatissime, sfilavano le modelle per Versace, Dolce e Gabbana, Valentino e Zegna, dietro le quinte un gruppo di imprenditori, venuti da tutta Europa, cercava di trovare accordi e soluzioni efficienti ai problemi di un tessile un po’ zoppicante.

La conferenza, intitolata “European Fashion: a Win-Win Formula”, è stata aperta dal vicepresidente della Commissione Europea, Gunther Verheugen, accolto con un efficace discorso, dal presidente di Euratex, Michele Tronconi e dal sottosegretario alle Attività Produttive, Sergio D’Antoni.

Il titolo riassume l’obbiettivo del meeting, ovvero la necessità che i Paesi europei approdino al più presto ad una formula di reciproco vantaggio, in cui gli oneri delle imprese si traducano automaticamente in vantaggi visibili e godibili attraverso i beni prodotti. Ciò significa che il rispetto per l’ambiente, la sicurezza sul lavoro, la salute dei lavoratori e dei consumatori dovrebbero rappresentare non solo dei doveri da rispettare ma anche dei meriti da premiare.

Il discorso andrebbe calato in un contesto più ampio, in cui entrano in gioco la globalizzazione e la concorrenza inevitabile di Paesi come la Cina e l’India, che oramai sarebbe meglio definire paesi emersi anziché emergenti. Le industrie tessili europee devono, infatti, confrontarsi con un mercato sostenuto da sistemi di regole e valori diversi dai propri, che si riflettono in forti differenze nei costi di produzione e, di conseguenza, sui prezzi al consumo.

E’ proprio questo il problema: i prodotti tessili europei sono spesso più cari di quelli provenienti dalla Cina o dall’India, è vero, ma dentro quel costo in più stanno proprio quelle garanzie che gli altri beni non hanno. Perciò pantaloni, giacche, camicie e scarpe made in Europe dovrebbero essere apprezzati non come più costosi ma come prodotti dotati di un maggior valore e di una maggiore qualità. Rispettare certe regole, quindi, non dovrebbe risultare penalizzante in termini economici, traducendosi in maggiori costi e minori introiti, ma al contrario dovrebbe portare un bel segno più sulla bilancia di chi si impegna a lavorare in maniera corretta e coerente.

La sfida e lo scopo del convegno erano proprio questi: cercare di trasformare gli obblighi in risorse competitive. E per ottenere questo risultato occorre innanzitutto informare ed educare i consumatori, affinché sappiano che cosa acquistano e perché scelgono di acquistare un prodotto magari più caro ma sicuramente di qualità, rispetto ad uno più economico ma intrinsecamente di scarso valore se non addirittura nocivo.

Purtroppo, spesso, si dà per scontato tutto quello che sta dietro un capo d’abbigliamento e ci si ferma solo davanti al cartellino del prezzo. Eppure, già da qualche anno, la maggioranza dei membri del Parlamento Europeo si è espressa a favore dell’obbligatorietà del “Made In” per le merci provenienti da Paesi extra – europei. Questo è un provvedimento molto importante che, se verrà approvato come si auspica,  tutelerà il diritto dei consumatori a conoscere la provenienza dei beni acquistati, rendendo l’offerta trasparente e la scelta consapevole.

E’ proprio questo il problema: i prodotti tessili europei sono spesso più cari di quelli provenienti dalla Cina o dall’India, è vero, ma dentro quel costo in più stanno proprio quelle garanzie che gli altri beni non hanno. Perciò pantaloni, giacche, camicie e scarpe made in Europe dovrebbero essere apprezzati non come più costosi ma come prodotti dotati di un maggior valore e di una maggiore qualità. Rispettare certe regole, quindi, non dovrebbe risultare penalizzante in termini economici, traducendosi in maggiori costi e minori introiti, ma al contrario dovrebbe portare un bel segno più sulla bilancia di chi si impegna a lavorare in maniera corretta e coerente.

La sfida e lo scopo del convegno erano proprio questi: cercare di trasformare gli obblighi in risorse competitive. E per ottenere questo risultato occorre innanzitutto informare ed educare i consumatori, affinché sappiano che cosa acquistano e perché scelgono di acquistare un prodotto magari più caro ma sicuramente di qualità, rispetto ad uno più economico ma intrinsecamente di scarso valore se non addirittura nocivo.

Purtroppo, spesso, si dà per scontato tutto quello che sta dietro un capo d’abbigliamento e ci si ferma solo davanti al cartellino del prezzo. Eppure, già da qualche anno, la maggioranza dei membri del Parlamento Europeo si è espressa a favore dell’obbligatorietà del “Made In” per le merci provenienti da Paesi extra – europei. Questo è un provvedimento molto importante che, se verrà approvato come si auspica,  tutelerà il diritto dei consumatori a conoscere la provenienza dei beni acquistati, rendendo l’offerta trasparente e la scelta consapevole.

E’ vero che la concorrenza è inclemente e non sempre corretta ma l’industria tessile europea, e italiana in particolare, ha un vantaggio: il gusto del bello, che trae ispirazione da un passato radicato e da una

tradizione estetica inimitabile. E questo lo si può vedere quotidianamente ovunque, non esclusivamente nell’industria tessile, ma anche nell’arte, nell’arredamento, nell’architettura e nell’artigianato. Almeno il buon gusto non può essere contraffatto.

CARBONE: TECNOLOGIE E STATO DELL’ARTE

di Nedo Biancani

Il prezzo sempre crescente del petrolio ha fatto tornare di attualità il carbone, un combustibile che si riteneva destinato ormai alla storia delle risorse energetiche, ed ha reso nuovamente di interesse economico numerosi progetti per lo sviluppo di tecnologie volte a rendere ambientalmente compatibile il carbone, mediante la riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera. In un contesto di domanda mondiale di elettricità che la vedrà raddoppiare entro il 2030 e triplicare entro il 2050 (Fonte: Agenzia Internazionale dell'Energia ), e di cui circa l’ 85% continuerà ad essere coperto da combustibili fossili (Fonte: WTO ), è pensabile che il carbone continuerà ad avere un ruolo importante nello scenario energetico dei prossimi decenni.

Ma il carbone è al tempo stesso una carta vincente e una carta perdente. La competitività economica è la vera carta vincente del carbone, in un contesto internazionale di "energia dai prezzi alti" e una fonte di energia “sicura” al riparo da rischi geopolitici , grazie alla equilibrata distribuzione tra le diverse aree geografiche delle ingenti riserve sufficienti a coprire, allo stato attuale di domanda, i prossimi 200 anni. La carta perdente è costituita dal fatto di essere una fonte inquinante, sia in termini di produzione di polveri sottili e metalli pesanti, che di emissioni di gas serra nell’atmosfera. Ogni kWh prodotto da carbone in una centrale elettrica tradizionale comporta emissioni di 800 grammi di CO2, mentre un moderno ciclo combinato a gas scende sotto i 400 grammi.

La concentrazione globale di CO2 in atmosfera ha subito un'accelerazione rispetto al valore dell'era preindustriale passando da 280 ppm a 379 ppm. E la crescita risulta essere molto forte, se si confronta l'incremento di CO2 degli ultimi 10.000 anni misurato nei ghiacciai con quello degli ultimi decenni. Il Consiglio europeo ha approvato por il triennio 2007-2009 il piano d'azione per la politica energetica europea(a cui devono seguire i piani nazionali dei paesi aderenti) che stabilisce il cosiddetto obiettivo 20-20-20: l'incremento entro il 2020 della produzione di energia da fonti rinnovabili fino al 20% del totale fabbisogno; il miglioramento dell’efficienza energetica con l'obiettivo di realizzare Il 20% di risparmio entro il 2020; il rafforzamento della ricerca scientifica nel campo delle energie rinnovabili e basse emissioni, fra le quali particolare importanza è data all'accelerazione delle ricerca sulle tecnologie CCS (Carbon Capture & Storage) per l'applicazione in nuove centrali energetiche basate su combustibili fossili.

La cosiddette tecnologie del “carbone pulito” (Clean Coal Technologies, CCT), unitamente all'aumento dell'efficienza delle centrali, nei prossimi anni potrebbero ridurre le emissioni di sostanze inquinanti e di gas che modificano  il clima. Le tecnologie CCT sono di tre tipi: l'eliminazione degli inquinanti (come il particolato, i metalli pesanti, gli SOX, e gli NOX), l'incremento dell’efficienza energetica (con la conseguente riduzione di CO2) e lo sviluppo dì tecnologie zero emission unite alla carbon

sequestration. E tre sono gli approcci delle ricerca scientifica nello studio delle CCS (Carbon Capture and Storage): pre-combustione (il carbone invece di essere bruciato viene gassificato e poi depurato da metalli

pesanti e sostanze inquinanti e climalteranti come NO2 e CO2),  post-combustione (i gas di scarico attraverso filtri vengono depurati e la CO2 viene separata a valle) e ossicombustione (il combustibile fossile brucia nell'ossigeno puro, producendo un gas composto principalmente da vapore acqueo e CO2, così che nei fumi la CO2 è già separata e dunque più semplice da catturare e stoccare).

Le CCT non sono sufficienti nella lotta alla CO2, ed ormai il legame con le CCS é sempre più stretto; queste ultime sono state impiegate per produrre CO2 pura da utilizzare nel settore alimentare e chimico. Le compagnie petrolifere l'hanno sempre separata dal gas naturale prima di immetterlo nei gasdotti. Anche per quanto riguarda le CCS le possibilità di applicazione si articolano a seconda che si tratti di cattura della CO2 precombustione, post-combustione e o ossicombustione. Le CCS permettono la cattura e la stoccaggio della CO2 emessa da impianti (termoelettrici, raffinerie, cementifici) in vecchi giacimenti di petrolio e gas esauriti o nelle miniere di carbone.

Ogni punto percentuale in più dì efficienza delle centrali si traduce in una riduzione di emissioni del 2%. I primi passi da intraprendere per ridurre gli inquinanti e i gas serra sono l'aumento di efficienza delle centrali già esistenti. Come efficienza si intende che, a parità o maggiore output elettrico, si utilizzi un quantitativo inferiore di carbone e relative emissioni. Nella media OCSE l'efficienza media si aggira intorno al 36%. In molti paesi l'efficienza delle centrali si aggira intorno al 30%, mentre i nuovi impianti supercritici ne presentano una del 43-45%. Gli impianti a carbone convenzionali PCC (Pulverized coal combustion) normalmente bruciano carbone polverizzato ad una temperatura di 1300-1700 gradi, a seconda del tipo di carbone immesso, allo scopo di produrre vapore per le turbine. Alcune opzioni già vengono adottate per ridurre la emissioni di gas serra e di agenti inquinanti. Ad esempio, la tecnica del coal cleaning (o washing) consiste nella frantumazione, filtrazione e la disposizione su letto fluido del minerale, dove avviene un'ulteriore separazione da materiali pesanti con notevole abbattimento delle emissioni: il contenuto di ceneri da carbone scende del 50%, come anche le emissioni di SO2 CO2, con l'aumento dell'efficienza termica della centrale da un minimo del 2 - 3% ad un massimo del 4-5%.

E’ possibile ridurre nella fase di uscita dei fumi le emissioni di particolato, con un efficacia del 99%, attraverso l'utilizzo di precipitatori elettrostatici, filtri, scrubber e sistemi di filtraggio dei gas caldi. Le emissioni di SO2 possono essere invece neutralizzate attraverso un procedimento di desolforizzazione dei gas di scarico mediante l'utilizzo di assorbenti, di solito calce o calcare che converte il biossido di zolfo in gesso. Per la riduzione di NO2, si utilizzano bruciatori a bassa emissione per minimizzare la loro formazione durante la combustione e in particolare con lo tecniche SCR (Selettive Catalytic Reduction) e SNCR (Selettive Non Catalytic Reduction) col trattamento post-combustione si raggiunge un 80 - 90% in meno di NO2 nel gas dì scarico, inoltre altre tecnologie avanzate sono state sviluppate. La FBC (Fluidised Bed Combustion), ad esempio, può ridurre SO2, e NO2, con percentuali del 90%, Con questo sistema il carbone brucia in un letto di particelle surriscaldate sospese in aria. Con una sufficiente velocità del flusso, il letto agisce come un fluido risultante dal vorticoso miscelarsi delle particelle, permettendo così una completa

combustione del carbone e temperature inferiori rispetto ad un impianto tradizionale. È un sistema altamente flessibile in quanto può essere utilizzato per bruciare qualsiasi materiale.

Il sistema ad oggi più promettente per il “carbone pulito” è la centrale combinata IGCC (Integrated Gasification Combined Cycle), che combina la gassificazione del carbone con le CCS. Gli impianti IGCC – nel mondo ce ne sono all'incirca 160 – adottano un sistema che fa si che il carbone non venga bruciato direttamente, ma il minerale reagendo con ossigeno e vapore produrrà un gas di sintesi, il Syngas,- che composto soprattutto da idrogeno e monossido di carbonio viene refrigerato e depurato da CO2 e zolfo per essere utilizzato come combustibile. Il carbone viene prima gassificato ad alte temperature per mezzo di ossidazione con bassi livelli di ossigeno e in presenza di vapor d'acqua, il che permette di lasciare le scorie sul fondo del gassificatore ad ottenere syngas pulito che, attraverso un ulteriore trattamento, produce, in presenza di vapore, altro idrogeno e CO2 (che in questa fase viene facilmente separata) pronta per il sequestro. Il syngas alimenterà una turbina a gas cui fumi saranno utilizzati per scaldare una turbina convenzionale a vapore. Il 65% di elettricità viene prodotto dalla turbina a gas, il restante 35% da quella a vapore. Con la combinazione dei due cicli si arriva a rendimenti termodinamici anche superiori al 50%, compensando in tal modo l’energia consumata nel processo di gassificazione e una produzione di fumi puliti e base di vapore con una  percentuale di CO2 bassissima. Si ha una produzione di scarti ridotta del 50% ed un utilizzo di acqua inferiore del 20-50% rispetto ad una centrale tradizionale. Si possono inoltre utilizzare vari combustibili: oli combustibili, petcoke e vari tipi di carboni. Il 100% di CO2 può essere appunto catturato dall'impianto e stoccato con costi molto inferiori rispetto ad una centrale che brucia carbone polverizzato. Per quanto riguarda lo zolfo, il 95% circa viene rimosso e gli NO2 sono al di sotto delle 50ppm.

L’aumento dei livelli di CO2 nell’atmosfera e la durata delle riserve mondiali degli idrocarburi liquidi e gassosi sono due facce di una stessa medaglia. Il pieno utilizzo del carbone consentirà di allungare la vita delle nostre riserve di idrocarburi. E dunque il nostro problema energetico a medio termine si concentra in un solo punto: come trattare la CO2. Per fare questo risulta di capitale importanza la tecnologia.

Si sta procedendo speditamente con la tecnica del reinterramento e riiniezione della CO2 in  giacimenti esauriti di gas che bene si prestano a fare da stoccaggi e sono molto ben noti in ogni loro aspetto, ma che non sono ovviamente presenti ovunque sul nostro pianeta, e poiché di CO2 se ne producono enormi quantità, in tanti punti dispersi, raccoglierla e convogliarla negli stoccaggi sotterranei risulta una operazione immane.

Quindi un approccio più pratico, partendo dall’idea che la CO2 è una preziosa fonte di carbonio, parrebbe una strada migliore da seguire. La chimica ci insegna che alla CO2 si può aggiungere idrogeno per produrre metanolo, che può essere utilizzato in un motore, o in un bruciatore; si produce quindi ulteriore energia. Oppure lo si può utilizzare come solvente chimico. Una centrale a carbone che realizzi come retrofit un impianto del genere darebbe luogo ad una centrale elettrica “pulita” che non inquina ed ha una doppia fonte di reddito. 

Poiché circa il 40% dell’energia elettrica prodotta viene dal carbone, ciò  significa che  grandi quantità di CO2 vengono prodotti in questi impianti e

grandi sarebbero i benefici ambientali ed economici che si possono realizzare, con l’aiuto delle tecnologie e del buon senso.

Il binomio carbone e ambiente è sicuramente complesso e difficile, ma non impossibile.


IO VOTO PER TOSCANI

di Silvia Garnero

Un "bravo" ad  Oliviero Toscani e la sua nuova campagna pubblicitaria

Buenos Aires 29-2-2008

Oliviero Toscani è tornato a generare una nuova polemica in Italia, dopo l'uscita della sua campagna contro la violenza sulle donne, nella quale si vedono due bambini, maschio e femmina, nudi e nella quale si presenta il bambino come “carnefice” e la bimba come ‘vittima'.

La campagna è stata pubblicata dal settimanale italiano “Donna Moderna” e ha l'obbiettivo di incentivare il compromesso sociale contro la violenza domestica, un dramma che affligge sette milioni di donne in Italia, come dice il cartello pubblicitario.

Diretto e frontale, Toscani usa comunque in questa occasione, la sottigliezza per presentare il suo messaggio , anche se non tutti la pensano come lui.

Secondo la rivista, il bambino si chiama Mario ed é bellissimo, di capelli neri, occhi azzurri. “Oggi é un bambino tenero e comunque già marcato. In basso alla sua immagine si vede la parola “carnefice”, il verdetto sul suo futuro di uomo adulto e maturo.

Invece, la bimba si chiama Anna ed é bionda e simpatica. Sotto la sua fotografia si vede un ‘altra parola che anticipa il suo destino, molto femminile, quello di vittima”, aggiunge il settimanale.

L' obbiettivo comunicazionale di Toscani è presentare “ due bambini innocenti, identici nella loro origine, ma destinati ciascun a un futuro diverso”, questo, per ricordare “agli adulti che la dominazione nasce dall' educazione e dai valori che vengono appresi in famiglia”, dice la rivista.. E' con questo circolo vizioso che la campagna di Toscani vuole rompere.

E condividiamo. Da Buenos Aires, "Italianos en América" gli invia un “bravo” a Toscani, per avere il valore di presentare agli italiani, realta' tanto crudele e negativa in tanti casi. Anche se quello non succede soltanto in quella società , ma anzi in quasi tutte. Ci sono alcune associazioni tradizionali italiane che hanno reso pubblica la sua opposizione, affrontando l'argomento secondo cui i protagonisti della campagna sono bambini.. Ma, da quella eta' della vita comincia l'educazione . O no?

In questi giorni, alcuni media destinati agli italiani all'estero fanno campagna elettorale con lunghi fogli e ore di radiodiffusione in favore di questo o quel  candidato. Mille di parole speranzose verso i temi che ancora non si è riusciti a modificare.  Senza pudore, io, personalmente direi…”voto per Toscani

L’ARMA FINALE

di Gianfranco Oliva

Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente ? Questo era il dubbio amletico di Nanni Moretti nel suo Ecce Bombo al fine di ottimizzare la sua visibilità nei confronti degli amici in una di quelle “feste” che si organizzavano a casa e non , come oggi , nelle discoteche e nei pub .

Qualcuno ha applicato alla lettera quanto sopra a riguardo la sua visita all’Università La Sapienza di Roma ottimizzando così la sua visibilità a livello planetario .

E ci risiamo ancora una volta con le elezioni e con i problemi ormai stucchevoli sulla visibilità al fine di racimolare qualche punto percentuale analizzando sondaggi a cadenza ormai giornaliera , mettendo da parte  del tutto, le ragioni del perché qualcuno , un tempo , ha inventato le elezioni .

E “arieccoci” , direbbero a Roma , con l’eterno irrisolto problema del conflitto d’interessi e con il condizionamento dei mass media (leggasi televisione) nei confronti della pubblica opinione .

William Randolph Hearst , magnate della carta stampata è considerato il precursore dell’editoria a larga diffusione e del giornalismo utilizzato come mezzo di condizionamento , appunto , della pubblica opinione.

Alla sua vita si è ispirato Orson Welles  nel 1941 , in quello che universalmente è considerato uno dei più grandi capolavori della storia della cinematografia , “Citizen Kane” (In Italia “Quarto potere”) .

William Randolph Hearst riuscì a limitare la circolazione del film , impedendone la recensione nei sui giornali e nelle sue radio ; provò finanche a richiederne la distruzione (delle copie e del negativo) , dietro lauto compenso alla casa produttrice , ma ,fortunatamente, senza risultato .

Oggi il metodo si è affinato , puntando direttamente sugli autori e non sulle opere, mettendo in condizione quest’ultimi di non nuocere allontanandoli dalle redazioni (secondo il pensiero dei Citizen Kane caserecci , all’amatriciana) . 

Il nuovo sistema di comunicazione di massa , la televisione , si va progressivamente concentrando nelle mani di pochi “magnati globali” (Rupert Keit Murdoch , Ted Turner) , più quelli  con campo di azione  a livello nazionale . 

Proprio questi ultimi , vedi i casi italiano e thailandese, sono riusciti ad estendere la  loro influenza fino alla gestione diretta del governo del loro paese .

La polemica sul possesso del mezzo risulta cronaca giornaliera costante rinfocolata da chi è

favorevole (in genere l’enturage , o meglio , i giannizzeri degli editori stessi) e da chi è contrario. 

La critica al mezzo televisivo si è sviluppata su vari fronti ; nel 1976 , esce “Network” (in Italia “Quinto Potere”) di Sidney Lumet , il primo film che  costruisce una requisitoria sui guasti prodotti dai mass media , e più precisamente , dal mezzo televisivo .

Mentre è del 1994 il saggio  di K.R.Popper e J.Condry  “Cattiva maestra televisione” , che riaccende il dibattito in special modo in Italia ove il Citizen Kane nostrano si appresta a diventare primo ministro .

Devastante risulta l’affermazione di Popper :

“Una democrazia non può esistere  se non si mette sotto controllo la televisione  o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà pienamente scoperto.

Dico così perchè anche i nemici della democrazia non sono ancora del tutto  consapevoli del potere della televisione .

Ma quando si saranno resi conto fino in fondo di quello che possono fare la useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose .

Ma allora sarà troppo tardi” .

A quasi venti anni di distanza , ognuno , sulla base delle risultanze e degli eventi trascorsi , è in grado di valutare se le parole di Popper siano state premonitrici e ancora oggi attuali .

Ma una delle più singolari ed originali critiche al mezzo televisivo viene da quella,  che a torto , è considerata una forma artistica minore : il fumetto.  

Nel 1969 il quotidiano romano Paese sera , inizia la pubblicazione delle strisce Sturmtruppen (alla lettera truppe d’assalto) disegnate e pensate da Franco Bonvicini , in arte Bonvi .

La novità risiede nel fatto che un fumetto di satira antimilitarista , ridicolizza quello che era stato uno dei più efficienti e spietati eserciti della storia, l’esercito tedesco del terzo Reich .

Nelle strisce che si susseguono sul giornale , gli ufficiali , i graduati , i soldati , vengono trasformati in ridicole marionette , che si esprimono in un tedesco maccheronico ottenuto aggiungendo la enne finale alle parole in italiano ed a volte sostituendo la ch con la k.

Nel prosieguo delle pubblicazioni , compaiono personaggi direttamente collegabili a quelli storici reali : il “Nobile aviatore del sol levante” riconducibile al kamikaze ; l’alleato “Galeazzo Musolesi” ovviamente riconducibile a Benito Mussolini .

E compare anche la notizia ripresa da generali e soldati , della realizzazione di una fantomatica arma finale del Doktor Goebbels ,  che il lettore associa immediatamente all’arma segreta di Hitler che avrebbe dovuto risollevare le sorti dell’ultimo conflitto mondiale a favore dell’esercito tedesco .

Le strisce si susseguono , nell’attesa dell’arma finale e finalmente quest’ultima compare : ma non è un’arma atomica : è semplicemente un televisore .

E’ esilarante vedere gli effetti dell’arma sulle cavie , che non sono altro che i poveri soldati semplici ; ma l’effetto è il medesimo anche per gli ufficiali .

Di seguito si ripropongono alcune di quelle strisce tratte dal volumetto “Sturmtruppen : bagatelle liete e no di un esercito di piccoli soldati”  , Editoriale Corno , del 1973 .

Gli anni trascorsi sono tanti : trentacinque . Ma quanto risultano attuali queste vignette  e  per di più , quanto evidenziano che nulla è cambiato in merito , purtroppo .

Quasi alla vigila di un ennesimo evento  elettorale  è sicuro che rivedremo , scientificamente dislocate, le corazzate televisive presenti nel nostro paese  .

Ed è disarmante l’espressione del soldato “fatto” per eccesso di uso di televisione che rivolgendosi al commilitone , così si esprime :

Pensare ? …che bisogno c’è ?! …..

IL COMPLESSO BANDISTICO
”CITTÀ DI MORMANNO”.

di Luigi Paternostro

Fino agli anni 30 a Mormanno vi erano stati due complessi musicali.

Il primo, la Banda della Stella ebbe come maestro il signor don Guglielmo Fortunato, stimato agrimensore, e il secondo, la Banda degli operai, il Maestro Giuseppe Papaleo di Orsomarso.

Tali complessi durante le feste patronali gareggiavano nell’eseguire nel miglior modo possibile i loro repertori.

La Banda della Stella era, per unanime valutazione, la migliore.

Don Guglielmo Fortunato, precorrendo i tempi, aveva ideato e realizzato una specie di commedia musicale intitolata La gita alla festa.

Si trattava di percorrere un itinerario partendo da un posto ideale per arrivare a Mormanno e partecipare alla festa che ivi si svolgeva.

L’itinerario prevedeva momenti musicali intervallati dalla descrizione dei luoghi che si attraversavano.

Quando, ad esempio, si fingeva di prendere il treno, per Sibari-Metaponto [1] ,  seguiva un idoneo commento sonoro che imitava lo sferragliare della vaporiera, e creava una ricostruzione scenica quanto più verosimile possibile. 

Fingendo poi di attraversare boschi e d’incontrare cacciatori si sparavano colpi di fucile.

Quando finalmente si arrivava a Mormanno, ecco giunti siamo qua, alla festa della Città, venivano eseguiti i migliori pezzi del repertorio che si concludeva con un Canzoniere.

Malgrado avessi cercato non ho potuto trovare le partiture di questa commedia musicale ante litteram.

Morti i maestri vi fu un lungo periodo di stallo.

Intorno agli anni 1934-35 si tentò di ricostruire un nuovo complesso.

A tale opera misero mano due vecchie glorie della Stella il signor Guglielmo Russo, ex suonatore di bombardino e il signor Domenico Concordia già suonatore di ottavino.

Non riuscendo nell’impresa, affidarono il compito ad un Maestro, tale Giuseppe Valeriano che però dopo un anno o poco più si dimise.

Il presidente, signor Vincenzo Savelli pregò allora il professor Attilio Cavaliere di voler risolvere il problema.

Don Attilio si rivolse al dottor Eduardo Pandolfi che allora dimorava a Bari.

Questi si recò al Conservatorio  di quella Città il cui direttore consigliò come maestro di banda il signor Elogio Oronzo (nella foto), ex suonatore di clarinetto nella fanfara militare ove aveva ricoperto pure il grado di sergente maggiore.

Il M° Oronzo venne a Mormanno ove fu assunto a contratto dal Comune. Organizzò una nuova banda che assunse il nome di “Complesso bandistico città di Mormanno”. Durò  fino alla morte del direttore (anni cinquanta).

Ancora per poco i suonatori continuarono ad essere uniti. Li guidò, dopo la scomparsa in guerra del capobanda Antonio Donadio, il trombettista signor Nicola Bloise [2] . Alla fine il complesso si sciolse. [3]

ABITUDINI CULINARIE SPAGNOLE

di Ileana M. Pop

Continuando la nostra indagine sulle abitudini culinarie spagnole, non possiamo non sederci a tavola con la famiglia madrilena al completo. Il menù del sabato è perfettamente intercambiabile con quello della domenica e in generale si preferisce aspettare che la famiglia sia riunita per preparare e consumare i piatti più tipici; questo anche a costo di trasferire al sabato i piatti pensati per la domenica e viceversa.

La colazione domenicale, quasi mai prima delle ore 11, prevede una bella tazza di cioccolata calda e un paio di churros, dolci fritti dall’aspetto allungato e ricurvo. Il madrileno DOC non resisterà alla tentazione di inzuppare il churro nella cioccolata e di usarlo praticamente come cucchiaino per gustarla... e con tutta probabilità non si limiterà a mangiarne solo due.

Ecco qui una ricettina veloce veloce per chi volesse mandare in estasi le proprie papille gustative:

Ingredienti: un bicchiere d’acqua bollente, un bicchiere di farina, un pizzico di sale. Mescolare il tutto fino a ottenere una pastella omogenea, abbastanza densa.

Intanto mettere a scaldare dell’olio d’oliva in una padella.

Versare il composto in una pistola per biscotti o in una tasca da pasticcere (qui usano la churrera, ma non credo che sia reperibile in Italia) e farlo scendere lentamente in padella. Lasciar friggere un paio di minuti, fino a raggiungere un colore dorato.

Preparare della cioccolata calda e servire con i churros spolverati di zucchero.

Visto che si pranza quasi sempre intorno alle 15, c’è tutto il tempo di digerire la bomba della colazione e di far posto nello stomaco per la pietanza spagnola più conosciuta.

La paella è il famoso piatto giallo a base di riso e zafferano che la Spagna è riuscita a espatriare con enorme successo e che riempie le pance di grandi e piccini. Ne esistono di vari tipi: di mare, di terra, mista, vegetariana e così via, anche se l’unica e originale è

la paella valenciana. Un po’ come la pasta, si presta a numerose variazioni sul tema e ogni famiglia trova la sua versione migliore di tutte le altre.

La preparazione non è rapidissima, ma una volta che si è presa la mano si va a occhi chiusi. A grandi linee si procede così:

si prepara un soffritto (aglio, cipolla, peperone rosso e verde, pomodoro sbucciato). Se si pensa di farla mista, cioè di terra e di mare, bisogna aggiungere la carne (pollo, maiale, coniglio) e i calamari a questo punto e si lascia cuocere il tutto circa dieci minuti. A parte, intanto, si preparano le vongole e le cozze.

A questo punto vanno aggiunti tanti bicchieri d’acqua quanti i commensali, più parte dell’acqua rilasciata dalle cozze e dalle vongole (mezzo bicchiere, più o meno).

Dopo circa 20 minuti di cottura si aggiunge un pugno di gamberetti e le vongole precedentemente preparate e si dosa il riso: un bicchiere ogni due bicchieri d’acqua (per una paella per 6 persone saranno 6 bicchieri d’acqua e 3 di riso). Mescolare bene il riso con il soffritto, aggiungere una bustina (o due) di zafferano e guardare l’orologio: in 20 minuti sarà pronta. Da questo momento in poi non mescolare e non aggiungere acqua almeno che non si presenti molto secca! La paella non è un risotto e il riso non deve rilasciare l’amido. Se inizia ad attaccarsi, cercare di rimuovere il riso dando dei colpetti alla pentola.

E qui arriva il trucco di molte casalinghe spagnole: per non farla attaccare alla pentola (l’ideale sarebbe usare una paellera, padella a due manici pensata apposta per la preparazione di questo piatto), dopo cinque minuti di cottura sulla fiamma, consigliano di trasferire il tutto in forno (a 200º) per altri 15 minuti (20 minuti in tutto, come abbiamo detto prima).

Prima di infornarla, disporre le cozze aperte sulla superficie del riso, qualche gambero e strisce di peperone rosso. Sfornare e lasciar riposare coperto con un panno per 5 minuti prima di servire. Si può mangiare spremendoci sopra del limone (a gusto).

E per concludere l’excursus culinario in terra spagnola, ecco uno dei piatti più gettonati all’ora di cena: la tortilla de patatas.

Un abbozzo di ricetta (la mia ricetta):

Ingredienti per quattro persone:

2 patate medie

5 uova

1 cipolla (c’è una vera e propria diatriba sulla presenza o meno della cipolla nella ricetta della tortilla, ma io la trovo più saporita così)

Sbucciare le patate e tagliarle in lamine sottili. Tritare la cipolla.

Mettere a scaldare in una padella due dita di olio d’oliva. Quando l’olio sarà tiepido, abbassare il fuoco e versare le patate e le cipolle con un pizzico di sale. Lasciar cuocere per 15 minuti, mescolando di tanto in tanto. Quando le patate si saranno ammorbidite, alzare il fuoco e farle dorare.

Intanto sbattere le uova in un recipiente capiente.

Quando le patate saranno pronte, toglierle dall’olio, farle sgocciolarle bene e unirle alle uova nel recipiente.

Togliere l’olio di cottura delle patate e versare il composto di uova, patate e cipolle nella padella. Non sarà necessario aggiungere altro olio: sarà

sufficiente la patina rimasta nella padella dall’olio precedentemente usato per friggere le patate e la cipolla.

Far cuocere a fuoco alto fino a quando i bordi della frittata non si saranno induriti. Girarla con l’aiuto di un piatto e farla cuocere sull’altro lato per un altro paio di minuti.

Gli spagnoli la mangiano volentieri sia calda che fredda, accompagnata sia da pane che da maionese, con le mani o con forchetta e coltello. Insomma, è un piatto estremamente versatile e non eccessivamente complicato da prepar are.

In bocca al lupo ai temerari che si accingeranno a provare queste ricette (e un grazie a mia suocera per aver condiviso con me e con Faronotizie i suoi segreti)!

SOTTO INTERROGATORIO

di Nicola Perrelli                   

Gli italiani, come è noto, sono un popolo di risparmiatori, più portati ad essere formiche che cicale. La loro propensione al risparmio è infatti proverbiale, solo i giapponesi a volte fanno meglio. Altrettanto grande però è la loro  impreparazione finanziaria.  Una lacuna  che si è mostrata in tutta la sua gravità solo dopo i recenti crack finanziari, i cui processi sono tuttora pendenti, e le ripetute crisi dei mercati finanziari, pagate in buona parte dalla miriade dei piccoli investitori.

Senza distinzione di latitudine e di scolarizzazione a centinaia di migliaia in questi ultimi anni hanno sottoscritto prodotti finanziari dei quali ignoravano spesso  caratteristiche tecniche ed  rischi.

Perché l’hanno fatto?  Perché a proporglieli era la banca o l’intermediario di fiducia.

Dopo tanti soldi buttati al vento finalmente  è entrata in vigore, a salvaguardia dei risparmiatori, la nuova normativa MiFID  (acronimo di Markets in Financial Instruments Directive).

La direttiva mira a realizzare  all’interno della Comunità Europea un mercato finanziario efficace, trasparente e competitivo.

Le principali novità riguardano l’organizzazione degli intermediari e le relative responsabilità degli operatori su questa delicata materia.

Dal 1° novembre scorso ogni intermediario (banche, uffici postali, promotori,ecc.)  è obbligato a fornire informazioni dettagliate al cliente-risparmiatore riguardo alla natura dei prodotti e servizi, dei costi, dei rischi e degli eventuali conflitti di interesse. Da questa data ad ogni cliente gli intermediari devono dare innanzitutto un’esaustiva spiegazione sui nuovi regolamenti e poi consegnare tutta una serie di fogli informativi ed esplicativi.

Dall’”interrogatorio” deve per prima cosa emergere in quale classe di rischio l’intermediario colloca il cliente , ovvero se lo considera un cliente al dettaglio, professionale o una controparte qualificata. La corretta classificazione  rappresenta quindi l’ elemento decisivo dell’applicazione della MiFID.  Da questa dipendono infatti i diversi tipi di obblighi informativi a carico dell’intermediario.

Un altro elemento che deve essere trattato in modo esauriente durante il colloquio riguarda la situazione finanziaria del cliente. Solo conoscendo idoneamente il profilo economico del risparmiatore o investitore l’intermediario può formulare un consiglio o una consulenza adeguata.

Quanto più approfondita e dettagliata è tale conoscenza, tanto più appropriata e finalizzata è, o dovrebbe essere, la consulenza finanziaria.

Per tracciare il profilo finanziario del cliente la direttiva MiFID prevede la compilazione, entro la fine di giugno, di un questionario articolato su tre punti fondamentali.

Il primo riguarda quello della “appropriatezza”, essenziale per definire  il grado di conoscenza dei diversi prodotti finanziari e per valutare l’esperienza del cliente in materia di investimenti; il secondo considera quello dell’ ”adeguatezza”, utile per stabilire gli obiettivi dell’investimento tenendo conto della situazione economico-finanziaria del cliente; il terzo e ultimo punto interessa solo coloro che hanno in portafoglio, o vogliono modificare, una linea di gestione patrimoniale, ed è importante per verificare se il cliente è a conoscenza che i “servizi di gestione” operano su mandato e che dall’ampiezza della delega data dipende la rischiosità dell’investimento.

Poiché la posta in gioco è il futuro del gruzzolo accumulato con lavoro e sacrifici, vale quindi  la pena di incontrare il proprio referente e sottoporsi all’“interrogatorio”, anche di mala voglia.

Un abbozzo di ricetta (la mia ricetta):

Ingredienti per quattro persone:

2 patate medie

5 uova

1 cipolla (c’è una vera e propria diatriba sulla presenza o meno della cipolla nella ricetta della tortilla, ma io la trovo più saporita così)

Sbucciare le patate e tagliarle in lamine sottili. Tritare la cipolla.

Mettere a scaldare in una padella due dita di olio d’oliva. Quando l’olio sarà tiepido, abbassare il fuoco e versare le patate e le cipolle con un pizzico di sale. Lasciar cuocere per 15 minuti, mescolando di tanto in tanto. Quando le patate si saranno ammorbidite, alzare il fuoco e farle dorare.

Intanto sbattere le uova in un recipiente capiente.

Quando le patate saranno pronte, toglierle dall’olio, farle sgocciolarle bene e unirle alle uova nel recipiente.

Togliere l’olio di cottura delle patate e versare il composto di uova, patate e cipolle nella padella. Non sarà necessario aggiungere altro olio: sarà

sufficiente la patina rimasta nella padella dall’olio precedentemente usato per friggere le patate e la cipolla.

Far cuocere a fuoco alto fino a quando i bordi della frittata non si saranno induriti. Girarla con l’aiuto di un piatto e farla cuocere sull’altro lato per un altro paio di minuti.

Gli spagnoli la mangiano volentieri sia calda che fredda, accompagnata sia da pane che da maionese, con le mani o con forchetta e coltello. Insomma, è un piatto estremamente versatile e non eccessivamente complicato da prepar are.

In bocca al lupo ai temerari che si accingeranno a provare queste ricette (e un grazie a mia suocera per aver condiviso con me e con Faronotizie i suoi segreti)!

UNA POESIA NEL DESERTO

di Paola Cerana

“La solitudine è come una lente d'ingrandimento, se sei solo e stai bene stai benissimo, se sei solo e stai male stai malissimo”.

Rubo a Leopardi questo pensiero, consapevole del piacere intimo che la solitudine può dare quando si è in pace con se stessi.

A me piace giocare con i miei pensieri e le mie fantasie. Mi piace non sentire l’esigenza di dover condividere a tutti i costi tempo e parole con un “altro” qualsiasi. Il mio silenzio è fatto di musica e colori, di ricordi che si vestono di festa, di sogni che corrono incontro ai desideri, solleticando l’attesa.

Ho fotografato la mia solitudine e a me pare magnifica. La vedo. La tocco. La respiro. E’ come il deserto che accarezza l’oceano. Una tavolozza di sfumature tenui e gentili che mascherano un’anima forte e indomabile. Un paesaggio che si odia o si ama, senza indecisioni, impetuoso come la passione. Io amo il deserto.

Chiudo gli occhi, lo sto attraversando in questo momento. Cammino a piedi nudi sulla sabbia che tradisce il suo segreto movimento. Duna dopo duna, a fatica perché ad ogni passo il mio corpo sprofonda e l’avanzata risulta lenta nonostante l’energia spesa. Se non fosse per le impronte lasciate alle mie spalle non potrei mai dire di essermi spinta tanto avanti. Eppure voglio andare oltre, camminare contro il vento che, prepotente, mi respinge e non mi invita a proseguire. Testarda. La sua sfida mi sprona, stimola la mia esuberanza e dà più gusto al mio vagare sotto il sole.

Provo un gran piacere, una sensazione di libertà quasi palpabile. Sento l’impulso di gridare, qui nessuno mi sente. Tanta grandezza mi dà le vertigini. Trovo sia miracoloso poter avere a disposizione tanto spazio tutto per me, solo per me. Da una parte il mare, infinito mare,  dall’altra un susseguirsi di dune e sabbia che si srotolano fino a incontrare il cielo. Un regalo alla terra.

Il vento gioca con la sabbia e trasforma le dune in un inseguirsi ritmico di brevi onde leggere, perfette, da fare invidia all’acqua.

Nel punto più lontano che raggiungo con lo sguardo, il mio orizzonte, si materializza un velo sottile tra cielo e terra. Una nuvola di mulinelli, infiniti granelli di sabbia, agitata e indecisa se rassegnarsi ad appartenere definitivamente alla terra o se disperdersi libera, senza legge, in volo.

Sospesa, come il tempo. Sembra tutto fermo nel deserto. Immobile anche se in costante mutamento. Guardo le ombre delle nuvole che corrono e si rincorrono veloci sulla sabbia. Un attimo è tutto luce incandescente, l’attimo dopo pare di guardare un negativo, una fotografia in bianco e nero.

Ma vince il sole. Amo il sole. Mi nutre, mi dà energia e speranza. Lo assorbo attraverso ogni millimetro della mia pelle.  Mi osservo allo specchio della mente e sorrido di me, perché mi vedo come un rettile, proteso con tutto il corpo nervoso verso l’alto, pigro, quasi immobile eppure pronto a scattar via in un battibaleno. Gli occhi socchiusi per assaporare meglio il fuoco e per non perdere nemmeno una briciola di calore. Nessuno può intromettersi in questa mia ipnotica simbiosi con la natura.

Eppure è proprio il sole a ricordarmi che il tempo esiste e che è ora di ripercorrere all’indietro il cammino, riattraversare quella beata, silente solitudine per affogare di nuovo nel frastuono nevrotico della civiltà.

Che peccato! Chissà, magari cammin facendo perdo l’orientamento. Niente di più facile nel deserto. Nessuna impronta più sulla sabbia a ricordarmi d’esser già stata qui. Il vento, credendo di farmi un dispetto, ha rubato  le tracce del mio passaggio. Non sa che in verità mi ha fatto un regalo.

Rischio di innamorarmi, inseguendo un miraggio. Inconsciamente spero di risvegliarmi in un’oasi di agavi e palme, ubriacarmi di profumo di datteri e cocco, salsedine sulla pelle. Sì, perché il mare arriva fin qui, è nell’aria. Mi ci immergo lentamente. I piedi accarezzano l’acqua che docile doma la sua forza, si inchina alla mia presenza e mi incoraggia ad unirmi al suo flusso. Il suo canto è un invito irresistibile. Tiepida sale fino ad avvilupparmi le gambe, le cosce e poi più su, fino a schiudersi in un abbraccio che ispira fiducia e mi corrompe circondandomi tutta.

Apro gli occhi ma resto qui, nel mio deserto. E capisco improvvisamente di non essere affatto sola. Il mio sperdermi continuo con la mente mi fa sentire in sintonia perfetta con l’universo, in un amplesso che non ammette ostacoli né intrusioni. Mi sento libera di prendere la mia vita tra le dita e plasmarla come sabbia. Ne faccio un castello, una fortezza, una piramide, ne faccio quello che voglio. Questo è il segreto piacere della solitudine.

Mi sento fortunata. Sorrido alla vita e ripenso a una breve poesia, Lo scopo, che un romantico poeta prosatore ha scritto, forse ispirato dallo stesso paesaggio celato nel mio cuore.

Il cielo

e il mare

si baciano

all’orizzonte

 per far contenti

i poeti.

Vittorio Salvati, Se ci diamo del tu il bacio viene meglio .


TUTTO SUL…GAMBERO

di Erika Scotti

Come molti forse non sanno l'Ecuador e' un grosso produttore ed esportatore di Gamberetti.

Per darvi un idea dell'importanza del crostaceo per il Paese posso dirvi che nell'aeroporto internazionale di Quito, assieme ai vari negozietti di souvenir troverete anche il rivenditore di gamberi; ebbene sì... se volete fare una sorpresa gastronomica ai vostri cari che vi aspettano, acquistate, giusto prima dell'imbarco, la caratteristica cassettina bianca e blu abbellita con il disegno di un bel gamberetti che vi sorride tutto felice di venir via con voi.

Non preoccupatevi di disturbare gli altri passeggeri con odori fastidiosi, perche' il tutto e' ben sigillato e mantenuto in ghiaccio in modo che il prodotto non si deteriori.

Insomma, lasciate perdere l'artigianato e stuzzicate l'olfatto e il palato di parenti e amici con un bel mazzo delle famose e profumatissime rose dell'Ecuador assieme ai suoi altrettanto famosi gamberetti.

Oh d'accordo!...vendete pure l'idea come vostra e diventate eroi in originalità!!

Ovviamente aspettatevi domande sul come e sul perchè di quel preciso regalo....e visto che non voglio vedervi fare scena muta con conseguente figura del somarello ecco qui alcune informazioni sulla coltivazione di gamberi che vi aiuteranno ad impressionare i destinatari di contenti doni.

Prima di tutto sappiate che nel mondo esistono, basicamente, due varietà di gambero, quello di acqua fredda e quello di acqua tropicale.

Si pescano quando ancora sono molto giovani per poterli poi coltivare in grandi serbatoi a meno di un metro di profondità.

Vengono fertilizzati artificialmente con urea e superfosfato triplo per aumentarne la produzione naturale di alimento e con l'aggiunta diretta di concentrati supplementari, di solito si usano le due tecniche assieme...questo e' forse un particolare che non volete condividere con i vostri ospiti a tavola.

Una delle condizioni indispensabili alla loro sopravvivenza e' una buona qualità dell'acqua , il gambero e' infatti molto sensibile alla concentrazione di ossigeno dissolto nell'acqua, pertanto i serbatoi devono essere lavati continuamente. Questo e' un problema che riguarda soprattutto le produzioni super intensive in cui l'alimento non consumato dai gamberi (principalmente pastiglie di farina di pesce, soya o altri sostituti proteici) si accumula sul fondo dei serbatoi pregiudicando seriamente le condizioni sanitario igieniche dell'acqua che sfociano spesso in epidemie molto difficili da controllare.

Il 90% dei gamberi venduti internazionalmente e' consumato da un pugno di grandi Paesi importatori: Giappone, Stati Uniti e alcuni Paesi dell' Unione Europea.

Giappone e Stati Uniti sono i principali consumatori di gamberi di acqua tropicale coltivati.

Anche se l'Unione Europea e' la maggior esportatrice di gamberi (principalmente la varietà di acqua fredda) e il Giappone e' il maggior importatore di gamberi di acqua tropicale, il più grande consumatore di gamberi al mondo sono gli Stati Uniti.

Per far stare tutti tranquilli menzionate il fatto che l'Ecuador mantiene un sistema di controllo qualità altamente riconosciuto.

Soddisfa in pieno i requisiti pretesi dalla  FDA, del Dipartimento di Veterinaria dell' Unione Europea, delle organizzazioni per la tutela del consumatore in Giappone e delle organizzazioni di ispezione del Canada.

Il 100% di tutte le industrie che processano gamberi sono perfettamente in regola con tutte le norme nazionali ed internazionali di controllo qualita', con il sistema HACCP ( Analisi di Rischi e Punti Critici di Controllo)  e con tutte le richieste dei compratori.

Quindi gustateveli tranquilli perchè non sarete svegliati da nausee o mal di pancia....a meno che non siate dei terribili cuochi.

A questo proposito..se proprio volete strafare eccovi qua una semplice ricetta tipicamente ecuadoriana che, nonostante la sua semplicità di preparazione vi farà fare un figurone, ve lo garantisco.

La ricetta in questione e' il famosissimo ''CEVICHE de CAMARON''

Ingredienti:

(per 4 persone)

1 Kg di gamberi di grandezza media

1 cipolla tagliata a rondelle fine

6 limoni verdi (si , sono 6, non e' un errore di battitura, sono quelli che in Italia chiamate lime)

2 pomodori ben maturi

½  peperone dolce verde

10 rametti di coriandolo fresco

3 cucchiai di salsa di pomodoro (detto volgarmente ketchut)

sale e pepe a piacere

preparazione:

Lavate e pelate i gamberi. In una pentola fate bollire i gusci per 10 minuti in pochissima acqua, ritirate poi i gusci senza lasciare residui e nella stessa acqua di cottura fate bollire i gamberi per 2 minuti facendo attenzione a ritirare la pentola dal fuoco immediatamente e versare il tutto in una ciotola lasciando raffreddare.

Mettete la cipolla tagliata finemente a rondelle in un contenitore coperte di acqua, aggiungetevi 2 cucchiai di sale e chiudete ermeticamente il contenitore per 15 minuti.

A questo punto lavate bene la cipolla con acqua fredda e riponetela nel contenitore spremendoci sopra i 6 limoni verdi. Chiudere ermeticamente per altri 15 minuti.

Non fate quella faccia ... e' quasi finito!!

A questo punto tagliate a julienne finissima il peperone, i pomodori a cubetti piccolini e sminuzzate bene il coriandolo fresco.

Per finire...(vi avevo detto che mancava poco..) prendete la ciotola dove avete precedentemente lasciato raffreddare i gamberi e versateci sopra la cipolla col succo di limone, il peperone, i pomodori, il coriandolo sminuzzato, il ketchut , sale e pepe.

Mescolate bene e lasciate riposare minimo un ora in frigorifero.

Trattasi ovviamente di piatto freddo che si puo' accompagnare a pane, mais tostato o riso bianco.

Ecco qua, avete portato a casa un regalo originale, aumentato la vostra cultura sui gamberi e infine, imparato a cucinare...mandate pure i ringraziamenti alla redazione che poi gentilmente me li passera'.

Buon appetito e...alla prossima!!


FESTA DEL PAPA’

di Francesco M.T. Tarantino

Non ho più un padre e me ne dispiaccio

È andato via il quinto giorno di dicembre

Ha chiuso gli occhi in un ultimo abbraccio

Ed ora la sua festa è quella del 2 novembre

Sono anni dispersi riassunti in un momento

Sconforti del cuore che ridisegnano l’anima

Nella rincorsa di angeli braccati dal vento

Il viso che si riga mentre scende una lacrima

Di celesti percorsi e di memorie cangianti

Sono fatte le stelle con il loro luccichio

Scrivono ancora le storie di anime erranti

Le raccontano al vento e le ascolto anch’io

Ed anche mio padre mi canta le sue radici

Intrise di terre e di sogni e di nuovi pascoli

Sognava di volare in aereo nei giorni felici

E approdò in Svizzera soltanto coi muscoli

Da un’infanzia percorsa tra fame e carità

Ad una guerra perenne tra schiavi e padroni

Hanno inventato la festa per un padre a metà

Che raccoglie i consumi e le sue frustrazioni

Ma tu eri vero ed ora non sei al mio fianco

Non c’è più nessuno che cura il mio giardino

Ti ho visto partire lento e col passo stanco

E non mi hai voluto vicino nel tuo cammino

Ora mi resta solo il peso della tua mancanza

E quel tuo orologio che continua ad andare

Segna il tempo inconsueto di un’ultima danza

Prima dell’ora che anch’io venga a riposare

DIVIDO L’ACQUA CON UN FIORE…

di Marilena Rodica Chiretu

Soffocate dalla nebbia le case respirano
il calore della vita tra i muri,
sulle ali dell’ aurora arriva il mattino
stingendo in pugno le ultime ombre,
mi sveglia il fremito del sogno notturno,
il sonno si scioglie nello splendore della luce,
le parole intrecciano le sillabe
accese nel cuore del sogno.

Si sveglia anche la stanza su un comodino
dove regnano le mie cose da nulla,
ma c’ è anche un fiore che dorme
con le foglie alzate e raccolte
nella famiglia dei suoi piccoli rami.

Quando scende la sera,
si stringono in un rossiccio abbraccio,
la mattina distendono i loro palmi in verde,
io guardo e scrivo affascinata il mistero
delle ore che scorrono nella luce diffusa;
appago la sete con l’ acqua di un bicchiere,
ma la divido con il mio piccolo fiore,
che ogni notte e giorno mi parla
del strano amore che mai più muore...

IMPART APA CU O FLOARE…

Sufocate de ceata, casele respira
caldura vietii intre ziduri,
pe aripile zorilor soseste dimineata
strangand in pumn ultimile umbre,
ma trezeste freamatul visului din noapte,
somnul se topeste in stalucirea luminii,
cuvintele impletesc silabele
apinse in inima  visului.

Se trezeste camera pe o noptiera
unde domnesc fleacurile mele,
dar acolo am si o floare ce doarme
cu frunzele ridicate si adunate
in familia crengutelor sale.

Cand seara coboara, se strang
intr- o rosiatica imbratisare,
dimineata isi intind palmele in verde,
iar eu privesc si scriu fascinata misterul

orele ce  curg, in lumina difuza;
imi potolesc setea cu apa dintru- un  pahar
dar o impart cu mica mea flore

care in fiecare noapte si zi imi vorbeste
de strana iubire ce nicicand nu moare...


SPOLVERANDO I RICORDI

di Luigi Paternostro

Saluto agli insegnanti del Circolo 13° di Firenze in occasione della cena d’addio alla carriera fatta il 17 giugno 1992

Quarant’anni. Passati in un baleno.

Un ritmo intenso, un pensier costante

alla scuola amata a tempo pieno

e tale affetto non tutto ripagante.

Da Savelli, Carrosa e da Mormanno,

con passi incerti, ma in tempi belli,

passai ad Assisi e quivi per un anno

sedetti accanto a giovani orfanelli.

Fui poi a Cerchiara ed a Laino Borgo

ove sperimentai filosofie

abolendo le scuole del sobborgo

rimescolando metodologie.

Giunsi a Firenze. Venni alla Pilati.

Trovai tutti impegnati in aspre lotte

perché allora i decreti delegati

rendeano amara a molti anche la notte.

Incontrando Sindaci, Assessori,

Quartieri, Segretari e Presidenti

insieme a tanti estrosi genitori

dovetti cavalcare molti eventi.

Né Gino, né Raffaello, né Petrarca  

tutti più volte a gran voce invocati,

mi dieder mano a reggere la barca

che percorrea mari mai solcati. [4]

Scansando scogli e tempestose rive,

affrontando i problemi ogni mattina,

senza incappare in troppe derive,

dirigevo una scuola fiorentina.

Giunsi poi alla Giotto. Con onore.

sono così con Voi da due anni

e lascio ora qui tutto il mio cuore

liberato da pene e da affanni.

Ed eccoci alla fine. Questa sera

tutti riuniti qui mi fate festa

per dimostrarmi in dolce maniera

che in fondo la vita non è mesta,

non è il passato. Un bel domani

a me Voi augurate. Altrettanto,

grazie infinite. Con un battimani

e sorridendo io Vi sono accanto.

Dell’operato mio Vi chiedo scusa

per quei no, a volte duri, inaspettati,

detti per rispettare, come s’usa,

la norma, mai a vanvera dettati.  

Se una via Vi ho saputo indicare

non certo è stata quella del bailamme,

ma dell’ordine, che, per farsi amare,

deve distruggere, come fan le fiamme,

le inefficienze e le banalità

per non restare nella morta gora

e per costruire, con tutta libertà,

basi migliori, più sicura aurora.

Dunque, coraggio! Oggi ce ne vuole

per applicare leggi, commi ed atti,

per non restare solo con parole

e litigare, come fanno i gatti.

Dunque, coraggio! Il vocabolario

arricchito com’è d’…ismi e di …zioni,

ha dato un calcio al vecchio abbeccedario

e s’è ripieno di programmazioni

tutte dirette, come per magia,

nel campo ...intellettuale dei docenti

tra cui non son più ammessi, e così sia,

i solitari con i cuori ardenti.

Oggi non è più tempo di maestrine:

le penne rosse sono tramontate;

la collegialità è il solo fine

ma anche mezzo per le...birbonate!

Non devo ora a Voi io rifare

nuovi trattati di pedagogia

né darvi il toccasana per cambiare

la vecchia con la nuova strategia.

Voglio semplicemente ricordare

che se vi sono volti di fanciulli

essi si devon tutti rispettare

senza perdere tempo nei trastulli.

Cosi dicendo, abbraccio forte tutti

e, racchiudendo i volti nel ricordo,

auguro alla scuola di non avere lutti

e a Voi d’andare sempre più d’accordo.

CAOS CALMO

di Carla Rinaldi

Anni fa, sfogliando una rivista, mi aveva colpito un’intervista allo scrittore Sandro Veronesi che si era stupito davanti alla notizia di un uomo, vedovo da poco, che aveva preferito cancellare tutta la posta elettronica della moglie piuttosto che aprirla. Da questa notizia lo scrittore aveva cominciato a lavorare ad un romanzo. Il risultato è stato “Caos calmo” diventato da poco un film diretto da Antonello Grimaldi.

Il cast vede in capo a tutti Nanni Moretti che interpreta il protagonista circondato da altri bravi attori come Valeria Golino, Alessandro Gassman, Isabella Ferrari, con la quale Moretti ha una scena di sesso bollente. La storia è quella di un uomo di mezz’età, con un buon lavoro, una figlia piccola, una moglie che durante una giornata tranquilla di villeggiatura, si butta dal balcone mentre il marito sta soccorrendo, insieme al fratello, due donne che stanno annegando. Il parallelismo è forte , le donne si salvano mentre la moglie muore. Da quel momento il protagonista decide di dedicarsi totalmente e fisicamente solo alla figlia. Si trasferisce davanti alla scuola della bambina e l’aspetta ogni giorno. Fuori l’istituto comincia a svilupparsi un mondo a sé, amici che vanno a trovarlo, dirigenti d’azienda che si confidano con lui, donne sconosciute che, furtivamente, trovando sexy questo gesto di totale dedizione, cercano di avvicinarlo.

Dal triste evento comincia  per lui a nascere una nuova dimensione, il dolore e la protezione che deve avere per la figlia, lo porteranno a razionalizzare il dramma e ad assaggiare, anche con ironia, questa nuova vita. Mangerà ogni giorno al ristorante di fronte la scuola, alla stessa ora passerà un bambino down che saluterà l’antifurto della sua macchina, coprirà il mondo a volte isterico di tutte la mamme dei compagni di classe della figlia.

Approfondirà il rapporto con il fratello scapestrato con il quale fumerà dell’oppio in una sera d’imprevisti, finirà a letto, proprio nella casa del mare, teatro del suicidio, con la donna che gli deve la vita. Il film è bellissimo, Moretti è bravissimo, gli altri attori anche, la panchina che lo ospita per tutta la durata della storia è la protagonista, un po’ ventre, un po’ rifugio, ma dalla quale, per richiesta della figlia, dovrà abbandonare per e riprendere a fare la vita di sempre.

Ecco una storia d’amore che non per forza deve avere come protagonisti un uomo e una donna ma, in questo caso, tra un uomo e una bambina.

POLDO

di Massimo Palazzo

La storia comincia con una terribile diagnosi:tumore ai testicoli,destinatario Filippo anni 18 giocatore di calcio. Una mazzata per lui e la famiglia ed un futuro scenario di paura   e programmi messi seriamente in dubbio. Dopo l’ intervento e un primo ciclo di chemio il panorama psichico e fisico annientano la volontà. La famiglia duramente colpita si adopera in tutto per agevolare la convalescenza si rivolge anche ad uno psicologo che oltre ad un sostegno morale consiglia l’acquisto di un cane.

Arriva Poldo, buldogg inglese buffo nell’aspetto, nel comportamento ma buono e in poco tempo  capace di ridare sorriso e coraggio per respingere questo vigliacco attacco alla vita di Filippo. Proseguono con alti e bassi le cure, con il passare del tempo Filippo migliora fino a ritornare ad una vita prima normale quindi normalissima con la ripresa dell’attività calcistica e  lavorativa .

Sono passati sette anni,Filippo è completamente guarito ma nel frattempo ad ammalarsi di tumore è Poldo che viene a mancare proprio il giorno della maledetta diagnosi al suo padrone. Un passaggio di consegne che addolora e lascia sgomenti. Prima che dal veterinario mamma e papà lo portano dai parenti  per un ultimo commovente saluto.

Non lo danno a vedere ma gli animali capiscono meglio di noi con uno spirito molto più nobile il loro destino. Viene cremato insieme alla foto scattata con il suo padrone quando era malato. Sorge spontaneo ripercorrere un velocissimo itinerario dove il destino ha voluto in un contorno quasi fiabesco confrontarsi con la realtà.

Addio caro Poldo hai dato tanta gioia,serenità,compagnia,ti sei preso la malattia,il dolore e te ne sei andato senza mai lamentarti lasciando commozione e un grande vuoto.

POLLO INTERO ALLA SASU

di Elisabetta Coniglio

Il pollo alla Sasu sembra una ricetta molto semplice ma non fatevi ingannare, solo concentrandosi in una corretta manipolazione del pollo con gli aromi e nella giusta proporzione degli ingredienti, otterrete un pollo al forno davvero speciale….parola di chef Sasu!

Procedimento:

posizionare il pollo intero in una teglia appena più grande del nostro volatile, ungerlo con olio extra vergine di oliva e nel massaggiarlo con cura (dentro e fuori) aggiungere tutti gli ingredienti finemente tritati.

Mettere il pollo in forno (possibilmente elettrico ventilato) e lasciarlo cuocere a 160° per circa un ora; durante la cottura sara’ necessario rigirare il pollo più volte in modo da ottenere una cottura perfetta.

Attenzione: il pollo anche se dorato non è necessariamente ben cotto quindi abbiate pazienza lasciatelo cuocere a lungo e aspettate che cominci a rimpicciolire (segno evidente della fase terminale della cottura).

Buon appetito!!

UN GIORNO DI FEBBRAIO

di Marjatta Kulla

Su una stradina quasi deserta in campagna nel centro della Finlandia si incontrano due amiche Hilkkae Päivi. Le nuvole pendono in giù, come se potessero cadere in qualsiasi momento in terra.

Il clima è troppo mite per essere febbraio, è da tempo che il termometro segna sopra lo zero.

Le due amiche si sono fermate  vicino alle piste da fondo per scambiarsi due parole.

-Terve (salve) come va?

-Ehi  (ciao).. non c’é male, ..ho  un giorno di ferie .. e tu?

-Aah, si...anch’io ho un pomeriggio libero, i miei figli sono a scuola e  mio marito ha il turno serale..

-Pensavo di andare a sciare. ..ma guarda la pista ..ci vorrebbero gli sci d’acqua ! mentre appesi al muro di casa abbiamo diversi sci.. ma da neve!

-E’ vero, è una pista di sabbia,.. è febbraio e piove ! Il libro del tempo è in disordine.. ho già rinunciato allo  sci di fondo; del resto l’anno scorso ho sciato soltanto tre volte.

-Infatti:quando uno ha tempo di sciare...manca la neve. Che noia !

-Proprio cosi... sembra che l’effetto serra sia vero.. l’inverno passato era  simile... la neve  é caduta però in marzo e tanta…ricordi?

-Certo, me lo ricordo bene. Mio marito è dovuto salire sul tetto per spalare via la neve bagnata e pesante...ma almeno i bambini si sono divertiti facendo bei castelli di neve e pupazzi.

-Ma il fenomeno è globale, ha effetti dappertutto. Come  sai per mancanza neve hanno dovuto annullare Tapaninpäivänhiihdot e anche a Kalajoki, la gara di motoslitta.

-Tanto che mio marito sta pensando di vendere la sua motoslitta...dice che non vale la pena andare fino in Lapponia per guidarla e divertirsi..

-E’ prevedibile che ai negozi sportivi gli affari andranno male.

-Se il tempo continua cosi e mancherà la neve i nostri figli potrano imparare a sciare?

-Se i nostri nonni  nascevano con gli sci ai piedi...oggi i bimbi nascono con il  mouse in mano... ha ah ahaha..

-A proposito,ieri sono stata  al fiume per controllare se era possibile  fare del nuoto invernale...ma non c’é nemmeno il ghiaccio..

-Peccato.. ma senza ghiaccio non si può nuotare, vero? Non é  nuoto invernale!!

-Ti ricordi invece che parecchi anni fa abbiamo fatto un buco nel ghiaccio, spesso addirittura 80 cm., e poi nuotato?

-Si...ricordo bene...e come ci siamo divertite...era molto rilassante e curava bene la salute.

-Ti ricordi una volta che faceva molto freddo..-20 gradi e noi siamo andate a nuotare ...e i nostri dicevano: siete pazze ! Morirete lì !

-Si..mi ricordo...era un esperienza magnifica ..l’acqua nel fiume sembrava più calda dell’aria.. e ci si sentiva bene: in quel inverno non ho avuto nemmeno un influenza.

-Peccato che non possiamo andare al fiume per nuotare.. ma che ne dici se andiamo alla piscina della palestra?  Il tempo l’abbiamo, anche se l’effetto non è lo stesso.

-Buona idea ! Andiamo ...io vado a prendere la macchina e ci vediamo vicino  all’ Abete grande tra una mezz’oretta. Ti va?

-D ´accordo..mi va benissimo ..ma  pago io l’ingresso per tutte e due..

Comincia a piovere e la stradina già scivolosa diventerà  ancora peggio. Questo tempo pazzo  continua con i suoi capricci.

Hilkka e Päivi, si separano e la pista acquosa e sabbiosa rimane senza gli sciatori anche oggi, poi domani, dopodomani..

L’ANTICO COMPROMESSO: LA NOVELLA INSOFFERENZA

di Francesco Regina

Sin da sempre nella letteratura ci si è serviti degli animali per vituperare i vizi degli uomini o per lodarne ed esaltarne le virtù.

Famose furono nell’antichità le favole di Esopo e di Fedro maggiormente per la loro immediatezza e semplicità.

Nell’ottocento modesta risonanza ebbe il poema Gli animali parlanti con cui l’autore G. B. Casti intendeva cantare “…  gli usi, i costumi, le vicende e l'ire animalesche, e di nemiche brutali schiere le battaglie orrende che furo al tempo che le bestie antiche possedean la ragione e la loquela, cose che a noi dei tempi il buio cela”, la cui scoperta quasi casuale non mi ha lasciato indifferente, tanto più perchè mi è parsa la proiezione perfetta di un simpatico e significativo racconto mormannese a me noto da tempo.

La perizia dell’autore del poema e la fantasia creativa e descrittiva dell’ideatore del nostrano racconto, vanno ricercate non tanto nello stile, ma nella capacità sopraffina di avvolgere nel velo dell’allegoria ardite verità diversamente indicibili.

La versione originale del racconto viene di seguito proposta fedelmente tradotta dal dialetto locale e parafrasata.

<< Sottoposta ad un grosso e pesante masso giaceva una serpe, impossibilitata ad ogni tipo di moto >>.

Questo incipit voleva essere probabilmente un richiamo a quello della grandiosa poesia Il Natale di Manzoni, facendo riferimento ad un corpo immoto che per variare il suo stato ha bisogno di una forza amica!

<< Capitò nelle vicinanze un passante, al quale la serpe si rivolse con voce disperata: “Ti prego buon uomo, liberami dal peso di questo tremendo macigno!”

Fu così che il buon uomo, mosso a compassione, con un notevole sforzo sollevò la pietra favorendo così la fuoriuscita dello spaventoso essere, che disse al buon uomo: “Adesso ti posso mangiare!”.

Stupito, l’essere umano si affidò alla sua intelligenza e ribatté con sicurezza: “Lascerò che tu mi mangi, aspettiamo tuttavia che passi una

seconda persona cui raccontare l’episodio, e lasceremo giudicare a lei”. La serpe acconsentì.

Passò dopo poco un asino ricoperto di piaghe su tutto il corpo a causa delle percosse del padrone, l’uomo gli chiese: “Questa serpe era intrappolata sotto quella pietra che io ho rivoltato rendendola così libera, e come ricompensa mi vuole sbranare!”.

L’asino rispose: “Fa bene! Perché l’hai liberata? Non avresti dovuto, cos’altro ti saresti potuto aspettare da una serpe!”

La serpe sorridente stava per avventarsi contro l’uomo, quando questi – comprendendo intanto le ragioni del padrone dell’asino - le disse: “Non vorrai negarmi almeno un’altra possibilità! Aspettiamo il passaggio della terza persona, dopo di che non accamperò più scuse!”. La serpe sicura di sé e sprezzante del pericolo, si lasciò convincere per la seconda volta.

Passò allora una volpe, la quale dopo essere stata messa al corrente dell’accaduto, fu chiamata ad esprimere il suo parere.

L’astuta volpe disse: “Non mi sento di giudicare se non dopo aver visto con i miei occhi come stavano esattamente le cose!”.

La serpe fu quindi invitata a collocarsi nell’impronta che il macigno aveva prodotto nel suolo, cosicché l’uomo riposizionò l’animale così come lo aveva trovato al suo passaggio.

La serpe rivolgendosi alla volpe disse: “Vedi, mi trovavo proprio in questa posizione quando lui mi ha visto!”.

La volpe rispose sorridendo: “E adesso restaci!” e rivolgendosi all’uomo: “Credo che adesso che ti ho salvato dalle fauci di quella serpe mi meriti una scorpacciata di galline!”.

L’uomo rispose: “Naturalmente, adesso stesso ti porterò nel mio pollaio!”. E i due si congedarono così dalla serpe.

Giunti in prossimità della casa dell’uomo, questi disse alla volpe: “Voglio che mia moglie conosca chi mi ha salvato la vita, passeremo prima da casa e poi andremo nel pollaio”.

Entrato, si rivolse alla moglie dicendo: “Metti l’acqua sul fuoco perché oggi facciamo festa!”. La volpe disse: “E quest’acqua?”

Per metterti a cuocere!” rispose l’uomo.

“Raccontiamo allora gli eventi a tua moglie perché sia lei a giudicare e son sicura che mi rimprovererà per non averti lasciato mangiare dalla serpe!” soggiunse la volpe “proprio come l’asino sosteneva!”

L’uomo infine, convinto dalla moglie, accompagnò la volpe nel pollaio >>.

I) Qual è la morale della favola?

Quando al termine del racconto mi venne rivolta questa rituale domanda,  già percependone l’insidia e temendo una contro risposta ad effetto, avevo risposto il contrario di quanto subitaneamente pensato, sostenendo la convenienza a seguire gli istinti della volpe (inesauribile risorsa di soluzioni pronte ed efficaci) piuttosto che agire secondo la razionalità umana (che molte volte deve fare i conti con l’ingratitudine), nella ferma convinzione che comunque nella risposta corretta si facesse riferimento ad aspetti propriamente legati soltanto all’uomo ed alla volpe.

Risposta sbagliata: non consentire mai alla serpe di fuoriuscire dall’originario luogo di collocazione, per evitare l’ingenerarsi di tutto il seguito; nell’alternativa farla ritornare sotto il masso.

II) Chi è stato il migliore dei personaggi?

Certamente la volpe, risposi d’impulso, che ha saputo essere subito convincente risolvendo con facilità una situazione di estrema difficoltà.

Risposta sbagliata: il miglior personaggio è stato l’asino che conosceva evidentemente la morale della favola, tuttavia l’importante è sempre e comunque far ritornare la serpe dalla sua provenienza.

Volendo fare delle considerazioni finali, lungi dal volersi erigere a censore o giudice , si affidano le sintetiche conclusioni alla penna del citato Casti, anche nella speranza di destare nel lettore interesse per un autore non troppo conosciuto:

“ Scortica chi governa i governati

Scortica i compratori il mercadante,

Scortican conscienze i preti e i frati,

E scortica li sudditi il regnante,

Gl'imbelli il forte, ed i babbei lo scaltro;

 E in somma ognun che può scortica l'altro”

(Gli animali parlanti, Canto XI stanza 87)


ATTACCO DI CUORE

di Massimo Palazzo

Stai rincasando in macchina da solo dopo una dura giornata di lavoro. Sei stanco,stressato e nervoso…..improvvisamente senti un forte dolore al petto che inizia ad irradiarsi verso il braccio sinistro e sale verso la mascella. Ti trovi a meno di dieci km dall’ospedale della tua zona. Disgraziatamente ti rendi conto che non sai se riuscirai a raggiungerlo….

COSA FARE

Magari hai seguito delle lezioni di pronto soccorso (x gli altri) ma nessuno ha pensato di insegnarti come soccorrere te stesso!!!!!!!!

Come puoi sopravvivere ad un attacco di cuore quando sei solo?

Molti subiscono attacchi di cuore “in solitario”. La persona il cui cuore inizia a pulsare irregolarmente o che sente i dolori descritti,solitamente dispone di non più di 10 secondi prima di perdere il controllo della situazione.

COSA FARE, ALLORA  ??

Non farsi prendere dal panico,ma iniziare a tossire ripetutamente e vigorosamente.

Una profonda ispirazione deve essere fatta prima di ogni colpo di tosse,colpo che deve essere profondo ed intenso come quando si deve espettorare.

I profondi respiri ed i colpi di tosse devono essere ripetuti in sequenza ogni 2 secondi, senza mai smettere, finché si ottiene assistenza o finché si sente che il cuore ha ripreso un battito ed un ritmo normali.

Le ispirazioni profonde portano ossigeno nei polmoni (e nel sangue) ed i colpi di tosse comprimono il cuore,costringendo il sangue a circolare.

Le compressioni ripetute sul cuore,inoltre,lo aiutano a riprendere un ritmo normale. In questo modo,la vittima di un attacco di cuore può arrivare all’ospedale.

IL SOGNO DI UNA VITA

di Miriana Vadalà

                                                                                  (seconda parte)

Questi pensieri affollavano la sua mente mentre quel giorno andava a prendere Luigino all’uscita dal ginnasio. Luigino non sempre era contento quando lei andava a prenderlo a scuola, perché ormai si sentiva adulto e un po’ lo infastidiva il fatto che ancora alla sua età la mamma si curasse così tanto di lui. Ma quel giorno la contentezza gli si leggeva in faccia al punto che Graziella vedendolo gli chiese il perché di tutta quella felicità e quell’entusiasmo. Lui non le disse niente, mormorò parole a vanvera, una compagna che scivolando a terra aveva perso il reggicalze, un compagno che invece di tirar fuori dalla cartella la grammatica latina aveva preso altri giornalini…classiche scuse da ragazzi.

Quando dopo un appagante pranzo mediterraneo si sedettero sulla verandina, ad assaporare l’aria salmastra diluita nell’aroma di un caffé, Luigino tirò fuori dalla cartella due biglietti e le chiese di provare a indovinare cosa fossero. Graziella distratta non ci fece neanche caso, aveva in mente altri pensieri, credeva fossero le figurine dei calciatori. Allora Luigino, per attirare a sé la sua attenzione, cominciò a parlare a voce alta, fingendo di leggere brani di un libro.

“Matilde Conti de Angelis, figlia dei marchesi Conti de Angelis, è una ragazzina molto simpatica, e più grande di me che già frequenta già il Liceo. Siamo amici per via del Cineforum, al quale sia io che lei prendiamo volentieri parte e di sovente ci scambiamo i nostri commenti sui film visti. Sua mamma si assenta spesso per lavoro e quando non è in casa Matilde rimane con i domestici a studiare e col gatto Alfonso, che io ho visto in fotografia.

Si dà il caso che fra due settimane a Roma c’è una sfilata di moda molto importante, cui prenderanno parte diverse manechen francesi e molti attori e i cui proventi andranno in parte distribuiti per aiuti ai bisognosi. Matilde e i suoi genitori sono stati invitati, però il caso vuole che questa sfilata venga fatta proprio lo stesso giorno in cui i Marchesi inaugurano l’ala est di Villa Ortensia e avendo circa 150 ospiti non possono proprio mancare.

Così questa mattina Matilde è venuta a trovarmi in classe e mi ha fatto vedere i biglietti che ho qui, chiedendomi se potessero interessarmi.  Naturalmente io non mi sono fatto perdere l’occasione e le ho detto di sì senza neanche pensarci.  Lei mi ha spiegato che a causa di questa coincidenza, né lei né sua madre possono prendere parte alla sfilata, pur

avendo i biglietti per i posti in prima fila, e che al posto loro, possono andare altre persone.

Io penso, mamma, che coi piccoli risparmi che abbiamo da parte, potremmo farcela ad andare a Roma, così tu saresti contentissima e io il tuo accompagnatore”.

Graziella non riusciva a crederci. Fece un salto di gioia che per poco non ruppe il lampadario. Un sorriso a 60 denti, non smetteva più di ridere. Cominciò a mettere a soqquadro l’armadio per trovare il vestito più bello, le scarpe coi tacchi e la borsa con gli strass, usata per il matrimonio di una sua cugina. Chiamò tutte le sue amiche e la zia Rita per comunicare la notizia e cominciò a fare il conto alla rovescia per il giorno della sfilata. Che finalmente dopo due settimane arrivò.

Graziella e Luigino erano bellissimi. Seduti in prima fila, lei dentro il lussuoso abito bianco che aveva sempre sognato, tacchi alti e borsa con gli strass; lui, il suo accompagnatore, il suo vero gioiello, in abito scuro e papillon e la brillantina sui capelli. Un momento di vera gloria per entrambi. 

La sfilata si svolse come da programma, con le ragazze in passerella ed un viavai di abiti colorati, chiari, scuri, a fantasia, di diverso stile e per diversi corpi. I giurati segnavano le loro scelte, gli spettatori applaudivano e i nuovi arrivati, un po’ smarriti, si lasciavano guidare dall’immaginazione.

Alla fine dell’evento due stilisti dalla passerella ringraziarono gli spettatori e tutti coloro che avevano contribuito alla realizzazione di questo evento e diedero la parola ai presentatori per la seconda parte della serata.

Un ricco e distinto signore, che aveva osservato Graziella e Luigino per tutta la durata dell’evento, d’un tratto venne a trovarsi sul palco tra i medici portavoce dell’ospedale, a cui parte dei proventi dello spettacolo erano stati devoluti. A quel punto Graziella ebbe un sussulto: era lui o no l’uomo che aveva cercato e ricercato e che non rispondeva mai a tutte le telefonate che lei con mille difficoltà gli aveva inoltrato? Era lui o no Rodolfo, l’uomo che l’aveva sedotta quando aveva 17 anni e che poi era svanito nel nulla, come neve al sole? Non lo sapeva e forse non voleva neanche saperlo. Ormai non sarebbe cambiato nulla. Luigino era quasi un uomo e le sedeva accanto come un adulto, e lei era fiera di tutto ciò e ancor più fiera del fatto che era stata lei a tirarlo su da sola e pur con mille difficoltà aveva ottenuto un risultato per lei eccellente. Dal palcoscenico l’uomo con disinvoltura continuava a fissarla imperterrito. Lei abbassò lo sguardo.

Del suo improvviso dubbio non disse niente a Luigino. Se lo tenne per sé in silenzio e continuò a godersi il prosieguo di una serata che aveva sognato per tutta la vita e che adesso felicemente le si era presentata.

VENEZUELA-ITALIA, 50 anni fa e il sangue italiano…

di Violetta D’Addario

Il 9 febbraio 2008 scorso, mia mamma ha compiuto 50 anni di essere arrivata qui, in Venezuela.

Sembra molte volte detto, o ripetuto, ma non sono cinque, ne dieci, ne venti...sono cinquanta. Con la ‘C’ Maiuscola.

Il dettaglio interessante e che, quando mia mamma arrivó qui, e stato lo stesso giorno e quasi allo stesso momento che arrivo Rómulo Betancourt dopo il suo esilio dal Venezuela.

Il 23 gennaio 1958 e caduta la dittatura di Marcos Perez Jimenez, e il 09 febbraio arrivó mia mamma, insieme ad un personaggio con il cappello e il luogo pieno di giornalisti nella parte Internazionale che ora forma parte dalla parte vecchia dell’attuale Aeroporto di Maiquetia.

Mammina si era sposata un mese prima per procura in Italia, e il 12 febbraio, giustamente un mese  dopo si sposerebbe qui conoscendo a mio papá finalmente in persona, dopo tante lettere...

Non dovrebbero ricordarsi i fatti personali in base gli avvenimenti politici che succedono nei paesi, ma chissá e un buon inizio per ricordare i cambi che sono successi da cinquanta anni nel mondo e per tutti quelli che sono usciti dall ´Italia di postguerra per migliorare le loro vita.

Gli avvenimenti che marcano la storia nel mondo dovrebbero essere ricordati per esempio, per i Mondiali di Calcio, e non prima o dopo tale e quale stupida guerra, ma prima o dopo chi ha vinto il Mondiale, come miglior riferimento.

Nel 1958 un Brasile con un ragazzino sconosciuto vinse, nel 62 in Cile, un Brasile giá conosciuto, e cosi via, i cambiamenti e i personaggi senza nominare mai una guerra o tali i quali cittadini sono scappati e andati a finire chissá dove.

Come adesso seguita incredibilmente a succedere senza che uno possa dire o fare niente e nemmeno nominare un Mondiale di calcio in questi nuovi paesi, con nuove storie e nuovi emigrati. Con tutto quello che implica e significa.

Sicuramente ce ne saranno tanti emigrati dall ´Italia  che dopo tanti anni, (non cinquanta e anche), di stare in altri paesi, se ne sarano ritornati in Patria.  Ma hanno preso due Patrie e sono ritornati con le esperienze che nutriscono il loro Paese di nascita, mai in negativo.

Ce ne saranno altri emigrati che dopo essere rimasti fuori il suo paese di nascita mai piú sono ritornati, perchè sono morti la, in qualche paese dove la fortuna gli abbia portato, o da piccoli o da grandi...

Ce ne saranno altri, che anche dopo essere stati piú di quaranta anni anche cinquanta fuori, saranno emigrati per altri Paesi, ma mai ritornati in Patria.

Eppure sono italiani, amano l´Italia, hanno fatto discendenza inmensa ed hanno trasmesso i suoi origini, la loro cultura.

E anche altri che, avendone poca di quest´ultima, per ragioni diverse, perchè sono usciti bambini, porgo come esempio, figli di genitori che non hanno potuto studiare, ne lá ne qua, e neanche parlare bene gli italiano,. perchè non hanno avuto la fortuna di studiarlo, sono rimasti negli altri paesi, quelli che gli hanno accolti

Ma ai loro discendenti, sí gli hanno fatto studiare, e hanno potuto imparare le differenze fra il paese dove sono nati e quello di origine dei suoi genitori.

E chissá hanno scelto altri paesi da emigrare, perchè questo, o altro, non rappresentano proprio il Paese avanzato, dove volevano seguitare e migliorare le loro vita, ma non sempre hanno scelto l’Italia.  Perché?

E ce ne saranno altri i cui figli conoscono l´Italia, alle cittá grandi e paesini da dove erano originari i suoi antenati, e sono andati a vivere di nuovo in Italia (non si puó parlare di ritornare, anche se nel sangue esiste anche quello), ma non sono rimasti, e di nuovo, sono ritornati nei loro Paesi di nascita, in via di sviluppo, eterno o no ???. Perché?

Ma di tutti i casi che possano esistere, e le sue variazioni, e anche le emigrazioni posteriori di Italiani, mi voglio concentrare in quelli che sono emigrati ed hanno, per esempio, tardato piú di vent´anni  (come mia mamma), ed  anche trenta per ritornarne in Patria e rivedere tutti gli amici e familiari che hanno lasciato da giovani, non da bambini (di questo caso non mi occupo), per rivedere tutta la vita che hanno lasciato, e che oramai, non gli appartiene piú.

Mi voglio concentrare nei pochi che ancora possono raccontare quella esperienza e seguitano a vivere quá o la, nei loro paesi di accoglienza, che adesso e parte della loro vita, piú parte della loro vita vissuta fuori che dentro l´Italia.

Ma la cultura, l´amore, l’arte lo hanno inculcato, anche senza volerlo, a tutti i suoi discendenti, senza alcun sforzo, con amore.

E chissá nella visione che ho visto io stessa e seguito a vedere o sento parlare in TV e notizie, dall´Italia, e ormai dai vari giovani in Italia che hanno poca o non hanno idea di ché vuol dire emigrare e cambiare paese e tutta la loro vita, per farsi una vita e farne altre.

Molti emigrati hanno fatto lo stesso, ma in altri Paesi.

Basta leggere e viaggiare ad altri paesi, e questa storia si ritrova tanto, perche erano gli anni che si cercava un mondo migliore da vivere.

Oramai, quasi tutti  i figli di emigrati che viviamo fuori e amiamo l´Italia, ci domandiamo sempre lo stesso, dove rimanere, e perché? Il sangue e uno solo, nel mio caso, e di tanti altri come il mio, italiano puro.

Ma anche se ci fosse la mescolanza, (cinquanta anni fa era meno probabile che ora), il sangue italiano c’è sempre, bolle sempre, sente sempre.

Nel caso mio, tutto quello che succede in Italia e la riguarda, mi affetta, mi interessa, e anche tutto quello che mi ha fatto essere come sono, imparato in questo fresco e diverso paese.

Ma ché ci puó piacere di più? Seguire le basi che gia aveva fondato l´Italia nella storia e cercare di fare sempre il meglio lavorando molto, come hanno fatto i miei genitori, e come sicuramente hanno fatto tanti italiani emigrati dall´Italia, lavorare tanto.

Anche vale per tanti paesi, e non credo che ne esista uno che dica che esiste un italiano che non lavora.

Allora, risalto il bello di sapere che parte del mondo seguita ad essere costruito dall ´Italia, e cercherei di risaltarlo, con tutti i valori positivi che sempre ha, anche se per molti sembrerebbe il contrario.

Il fatto del emigrazione e della política non dovrebbe influire sul emigrazione italiana in qualsiesi paese che gli abbia opitati. (essere importante per chi e  venuto a lavorare in ogni paese al che sia arrivato).

Ma cinquanta anni di storia sono tanti, non solo fare figli o ‘fortuna’ per chi l´ha fatta e ha potuta fare, ma misurare quale é stata la vera fortuna

di emigrare, indipendentemente della Politica di ogni paesi dove sono arrivati.

Questo vale per tutti coloro che ancora oggi devono cambiare paese per decisioni mal prese che affettano loro, e che sono per gli interessi degli altri.

Nel caso degli emigrati italiani, cercavano la pace, arrivavano e hanno fatto del meglio.

Quando mio padre arrivó qui, ebbi la fortuna di lavorare e di chiamare mia mamma senza conoscerla solo per foto, fra altri dettagli.

Si, era 15 ani più grande di lei. Lei si sposo a 19 anni. Venne qui a 19 anni. Gia studiata, e senza sapere niente di questo paese, sólo amava l’ avventura.

In questo paese, papá intanto, lavorando, ha pure deciso gia con tre figlie di studiare qui, pure guadagnando di meno, anche lui, aveva studiato ragioneria ed diventato ragionere in Italia, e anche vinto una medaglia quando era giovane nella atletica leggera a Roma.

Ed anche qui, i miei genitori hanno dovuto imparare lo spagnolo, ho ancora dei libri senza immagini di niente, che fanno vedere cóme si studiava prima e come fosse difficile imparare un altra lingua.

Ma ancora con i cambi, rimanere e sognare sempre di ritornare in Italia. Mia mamma ritornó in Italia dopo venti anni, gia con cinque figlie.

Mia nonnina e nonnino venivamo nella nave e tardarono sei anni in rivedererla, quando già mamma aveva fatto tre figlie...

Nel frattempo, il mondo cambiava, il Petroleo sorgeva, Venezuela e Juan Pablo Pèeerez Alfonso fondarono insieme ad altri Paesi l’ OPEP...

Il successo interessante e che questo personaggio con la classica paglietta, Romulo Betancourt divenne Presidente della Reppubblica nel 1960, per seconda volta, e da lui ce ne sono stati pochi altri come, Raul Leoni, Rafael Caldera, Carlos Andres Perez, Luis Herrera Campins, Lusinchi, di nuovo Carlos Andres, Rafael Carldera di nuovo e Chavez, in una succesione di bipartitismo, con i suoi pregi e difetti in ogni caso. Intanto, le generazioni degli italiani crescevano e studiavano.

Non tanti, e alcuni ripetuti, se si può dire cosi, ma con ‘grossi’ cambiamenti nel Paese, dalla creazione dell Opep per Juan Pablo Perez Alfonso, dalle costruzioni innovatrici in America Latina come la ripresa del Guri, dalla Nazionalizzazione del Petroleo, e dai bravissimi scrittori che ancora oggi sono ricordati, Andres Eloy Blanco, con il suo ‘Pintame angelitos negros’ (Pitturami Angioletti Neri) , Arturo Uslar Pietri, famoso anche per la sua frase ‘ Sembrar el Petroleo’ (Seminare il Petroleo), Romulo Gallegos, anche per la sua Doña Bárbara...tanti altri fra musicisti e professionisti, e tante cose e progetti chissá mai conosciuti dalla stessa Italia, senonché dai parenti che potevano venire qua e conoscere. Prima era difficile sapere qualcosa, si dipendeva sólo dalla posta e della sua efficienza per avere rapporti con quelli amati lasciati in Patria. ...

Da qui escono e sono usciti molti venezuelani che hanno fatto importanti innovazioni, ma con il sangue, non sempre puro, come dite voi, fatto da emigrati e no, ma sempre con l´animo di andare avanti.

Il bello era ed é la pace e la natura che c’è sempre stata, e sempre volendo la pace.

Indipendentemente di tutto quello che possa succedere, la politica mai dovrebbe cambiare la residenza a nessuna persona del pianeta, ma se cosi fosse, gli altri paesi dovrebbero cercare di eliminare le guerre con la sua accettazione a quelli che scappano per sopravvivere o per trovare un mondo migliore che quello che hanno sofferto loro, per il loro figli.

Italia rappresenta quello, per molti europei o no che vanno cercando un mondo migliore, e vedono l’Italia come la nuova porta al miglior mondo per loro e le loro famiglie.

Cosi come lo ha rappresentato allora Venezuela, e non risalto le cose che per ignoranza si dicono o fanno ancora oggi.

Ma rinnegare ad altri perchè, o non sono nati in Italia, o sono di una altra razza, non favorisce a che la lingua e la cultura italiana prevalgono nel tempo. 

Questo paese non gli ha  proibito a mio papa che ha fatto due carriere qui di studiare e non gli ha  chiuso le porte, essendo lui straniero.

Dovendo lui rinnegare dopo il suo origine italiano per poter seguitare a lavorare qua come grande professionista che si era fatto.

Mio zio, ingegnere dell´aviazione italiana, fu prigioniero degli inglesi nella seconda guerra mondiale. Ed e finito qui, ed ha aiutato a fare autostrade che ancora esistono, contribuendo con la sua professione a fare questo paese, come tanti altri, cinquanta anni fa. E papá e mio zio hanno finito anche la loro vita in Venezuela, e stanno sotterrati qui.

Insegnare xenofobia e rinnegare ad altri per me, non farebbe che l´Italia crescesse, e molto meno lo farebbe rinnegare agli italiani all´estero.

Tutti quelli che vogliono  lavorare dovrebbero avere l ´opportunità, che non sólo l’ erroneamente chiamata America (ma Stati Uniti), sembrava di dare e dava.

Perché é vero l ´America, ha accolto a tanti italiani, ma tutta l ´America. Come gi Stati Uniti ha dato accoglienza a quelli che sono andati la prima degli anni cinquanta.

Altri paesi dell ´America, come Venezuela, lo ha fatto, e non solo agli italiani.

La pace deve prevalere sempre e si deve insegnare che non importa quanti politici vogliano giocare con quello, si deve accettare ad altri in problemi, ed espandere cosi, la bella cultura italiana, unica al mondo.

Non escludere a paesi che sono del terzo o quinto mondo, perche sembrano selvaggi, o che non sono cosi sviluppati come l ´Italia, come mi hanno detto in persona a me alcuni italiani in Italia, tristemente.

Se tutta l´Italia capisse quello, gli italiani all´estero non solo sarebbero e sono italiani all’ estero, sono italiani arricchiti con le loro esperienze all’estero che possono aiutare a chi non ha avuto ‘la fortuna’ di sopravvire una guerra o altre in altri paesi, e che ritengono quella gran forza, che io chiamo degli antichi romani (belli gladiatori) che lottavano contro tutto e costruivano meraviglie ancora oggi in piede. Ossia, potrebbero aiutare agli italiani in Italia, per esempio.

Insegnare la persistenza italiana, si porta nel sangue, e quell sangue e quello che si deve far bollire per cercare di ritrovare a tutti, nuovi e vecchi ormai lontani, ormai che non ritornano piu in Italia, ma che hanno esteso lo stivaglio con nuove forme di altri paesi, aggiunti tutti per formare un solo corpo: l´ ITALIA.

Quando uno scrive tutto quello che sente, a uno lo guida e tutto va cambiando chissá come non si immaginava nemmeno che potessi esprimere. Quando uno sente e fa altre cose, succede anche lo stesso, c´è qualche forza strana che lo guida. Agli italiani, per gli italiani c’è sempre una forza che ci guida, non importa dove stiamo e rimaniamo, il sangue.

A 'SCUOLA DI BARZELLETTE' CON ANGELO BELGIOVINE

di Rossella Regina

Intervista ad uno degli autori della celebre trasmissione televisiva 'La Sai l'Ultima?'

 Campano, 49 anni, Angelo Belgiovine è uno degli autori del celebre format televisivo targato Gigi Reggi, 'La Sai l'Ultima?', balzato recentemente agli onori delle cronache mondane per l'inattesa chiusura anticipata (4 puntate anziché 10), causa share. Vincitore dell'edizione del 1993 contro gli allora non particolarmente celebri Enrico Brignano e Carmine Faraco, Angelo Belgiovine, padre dei così definiti 'barzellettieri d'Italia', rappresenta il vero e proprio deus ex machina della risata televisiva. Dalla selezione dei candidati alla loro formazione: queste alcune delle non sempre semplici mansioni dell'autore partenopeo che, coadiuvato da una brillante squadra di colleghi, ha regalato e, ci auguriamo, continuerà a regalare, milioni di sorrisi ai tanti (sebbene così non sia stato nel 2008) fans della barzelletta all'italiana.

Seleziona gli aspiranti barzellettieri e poi li forma nel corso di un vero e proprio workshop di cabaret della durata di 4 giorni ca. Ci dica, ma è davvero necessaria tutta questa preparazione per raccontare una barzelletta?

Assolutamente! La modalità esecutiva della barzelletta detta in televisione non è da confondersi con espressioni finalizzate per altri scopi.

Quale sarebbe la differenza, perdoni l'ignoranza…

La barzelletta è un piccolo monologo e quindi va costruita secondo una modalità espressiva legata all'immagine, al colore, al calore, al soggetto, alla portante ed alla chiusa. In questo caso abbinandola con i tempi televisivi giusti. Tempi televisivi dettati dalla scaletta del programma che dedica un tempo preciso per l'esecuzione della stessa. Sicuramente non si bada al secondo in più o in meno, anche se questo secondo in più o in meno ti può fregare. "In che senso?" - mi chiederà la pacifica intervistatrice - nel senso che costruendola, come dicevo prima, noi programmiamo un percorso di scrittura ben preciso, con una modalità espressiva che va centellinata con l'uso delle parole appropriate affinché possano dare l'immagine di ciò che si vuol raccontare, aggiungendoci anche una gestualità misurata che possa accompagnare, come un vino appropriato, questo pranzo. Quindi il secondo in più o in meno, può portarti fuori da questo percorso e far distrarre chi ti segue. Non dimentichiamoci dell'iniziale analisi del testo e dell'eventuale percorso comico che è alla nascita della barzelletta…perché ricordo che la barzelletta viene scritta da persone che fanno il mio mestiere e non è quindi manna caduta dal cielo che può essere raccolta per sfamarsi senza dire neanche grazie a chi di dovere…dicevo, dell'eventuale percorso comico che, alla nascita della barzelletta, l'autore dà.

 Come si articolano le 4 giornate durante le quali forma i barzellettieri?

C'incontriamo in una sala per riunioni, dove dalle 9 fino alle 22, salvo la pausa per il pranzo e per la cena di circa 1 ora e 30 entrambi, si raccontano le barzellette che un concorrente crede di avere in un proprio repertorio che altro non è che la storia, ovvero il percorso comico, di ogni barzellettiere. In base a questo percorso io scelgo le barzellette che credo possano andare bene per il programma e se per caso non ne individuo alcuna, le scrivo io o gliene do' di mie. Poi si va anche in studio per provare le uscite e gli ingressi, le posizioni per l'esecuzione della barzelletta, le posizioni per essere votati dallo studio, le posizioni per essere votati da casa, quasi sempre queste posizioni non sono mai le stesse. S'individuano le telecamere dove bisognerà guardare per raccontare la barzelletta, si cerca di abituarsi all'idea che una barzelletta raccontata normalmente agli amici nelle condizioni più disparate, ora deve essere raccontata, con la stessa tranquillità e semplicità, ad un occhio nero, freddo e inespressivo che è dato dalla telecamera. Stabilite tutte queste cosucce, non resta altro che studiare, studiare e ancora studiare. Mi fermo qui, perché credo che la pagina del giornale sia già completa.  

Non crede che tutta questa 'cura del dettaglio', sottragga alla barzelletta la sua genuinità?

No! Perché la sicurezza di ciò che dici è data dallo studio e non dall'improvvisazione. Se ti appropri di qualcosa in maniera forte, se la maceri con tutto te stesso e la rendi parte integrante di te, la genuinità nasce spontanea ma non prevarica mai il percorso e la struttura della barzelletta, anzi l'arricchisce. Per poter parlare e quindi dire qualcosa di sensato e giusto, non bisogna solo aprire la bocca, ma prima si mette in moto il cervello…il resto, segue.

 Tra i barzellettieri in gara, diversi, se non la maggior parte, sono già attori, cabarettisti…gente del mestiere, insomma! Ciò sembra suggerire che, in assenza di una 'base' su cui lavorare, non si viene ammessi ai casting?

No! E lo affermo con tutte le mie forze. Tutti possono fare il casting, non ci sono limiti e veti. Basta telefonare all'ufficio casting e prenotarsi ed il gioco è fatto. Sicuramente ci si gioca una carta con il provino, migliore è, maggiori sono le opportunità di far parte della trasmissione. Non crediate che l'essere attori agevoli, anzi, ho visto bravi professionisti cadere alla grande nella semplicità esecutiva di una barzelletta, mentre " Luigi il macellaio " raccontarla divinamente. Il provino è solo la punta dell'iceberg, reggere il ritmo delle prove non è tanto semplice, molti concorrenti cedono alla pressione e chiedono di andare via.

 Se le chiedessi quale sarà la sua 'Ultima'?

Teatro Acacia a Napoli, 18-19-20 aprile il mio adattamento comicissimo dell'Anfitrione.

L’ITALIA NEL FONDO

di Francesco Aronne

Sfoglio un libro di altri tempi, di Naboru Muramoto, che trovo sempre attuale: “Il medico di se stesso”. Scrive Giorgio Bert nella prefazione che “Racconta una tradizione orientale, assai spesso citata, che un tempo vi era l’uso di pagare il medico per ogni giorno di salute e di sospendere il pagamento in caso di malattia.”  E come lo scarabeo che ispirò a Jung la teoria della sincronicità, in contemporanei condivisi frangenti, il TG3 Calabria apre il consueto sipario dello scarno teatrino sulle quotidiane oscenità di questa nostra martoriata terra. Echi ridondanti che tradiscono la finta meraviglia costernata del giornalista narratore: l’ospedale di Vibo Valentia (tristemente noto per gli accaduti che lo hanno portato alla ribalta delle tetre cronache nazionali) ma potrebbe essere anche un altro qualsiasi, non ha più siringhe; l’ospedale di Melito Porto Salvo, ma potrebbe essere anche un altro qualsiasi, “finalmente chiuso!”. Descrizioni fugaci e tragiche che, immagino, fanno sprofondare il rassegnato telespettatore, a volte (più volte) anche paziente, nelle cupe atmosfere dei paesaggi dell’inferno dantesco illustrate da Dorè o nelle realisticamente venefiche esalazioni respirate dalle narrazioni di Benigni.

Provo a vagheggiare sulle conseguenze della citata tradizione orientale, immaginata applicata ai nostri giorni ed adattata in questa vituperata ed offesa terra. Schiere di medici costretti a vivere chiedendo l’elemosina… Il paradosso anacronistico, figlio di una logica parallela ma contrapposta, che viviamo ai nostri giorni, è di come la malattia del malato provoca la ricchezza del medico. Aggiungasi a ciò che lo stesso medico a seconda del contesto in cui opera (pubblico o privato) cambia visione del mondo e  della sua arte di curandero. A riprova, un altro servizio del TG3 Calabria che elogiava l’efficienza delle strutture sanitarie private. Fiumi di denaro che evaporano in tortuosi percorsi o vengono inghiottiti senza fragori da tremendi e bui orridi. La insana e malsana sanità pubblica giace in queste province (ed in quelle vicine) come un cadavere putrescente. Orde di famelici e voraci vermi di ogni livello, accalcati a contendersi con putride mosche, l’orrendo pasto fatto di  brandelli di oramai maleodorante carne su spolpate ossa… Anime spente, senza motivazione e orgoglio, frustrate nella eterna sudditanza ad analfabeti governanti e capibastone, o forse solo incapaci, messi  in appagante remunerato parcheggio. Illetterati vincitori di concorsi farsa che, forti dell’emblematico spot televisivo del “Ti piace vincere facile?”, sentono di aver assolto ogni obbligo professionale con un abbonamento elettorale o con un rosario di signorsì. Fantocci ignari ed indifferenti al loro compito che arraffano quel che possono senza dare nulla in cambio. Microbi e parassiti che godono di connivenze ed impunità garantite dai degni compari annidati nel palazzo.

Inguaribili ed ipocriti vagabondi, incapaci di guardarsi allo specchio, hanno sostituito inimitabili parole crociate con ipertecnologici e ludici telefoni cellulari, per passare il tempo sul luogo di lavoro o meglio sul luogo di retribuzione. Dottori, capisala e barellieri autoesonerati da ogni dovere,  blaterano in automatico frasi fatte sulla crisi economica e sull’incapacità di arrivare a fine mese, come se alla ricchezza della nazione dovessero concorrere solo gli altri… Gli altri chi? Tutti gli altri! Tranne loro naturalmente. Memorie attuali di Povera Patria: “Affonda lo stivale dei maiali…”

Fugaci e mesti pensieri vanno alla frustrazione dei tanti, che pur ci sono, con elevato senso del dovere e dell’onestà, costretti a lavorare fianco a fianco (ed anche al loro posto) con questa tumescente cancrena che tutto impesta e distrugge. Quante battaglie solitarie ed atti di eroismo a noi ignoti si svolgono in una non saputa e sofferta quotidianità, sui luoghi di lavoro di questa disastrata terra.

Cosa penserebbero di questa odierna Calabria i viaggiatori del Gran tour, di quel fenomeno culturale settecentesco che indusse élites europee, e americane a cimentarsi per svago o divertimento in viaggi di istruzione e formazione, a volte avventurosi? O anche quanti vennero da queste parti in altre epoche.

Pagine che, scritte con inchiostri di diverse tinte, sono accomunate dal fascino di una terra con aspetti paesaggistici ma anche sociali straordinari. Pagine che descrivono tortuosi itinerari di infaticabili e curiosi viaggiatori. Per citarne solo alcuni E. Lear (Diario di un viaggio a piedi, 1873), Luigi V. Bertarelli (Insoliti viaggi, 1897) Norman Douglas, (Vecchia Calabria, 1915), G. Isnardi (Del paesaggio calabrese, 1953), G. Piovene (Viaggio in Italia, 1957), ed inoltre i disegni straordinari di M.C. Escher (Morano Calabro, ma anche altri luoghi suggestivi del paesaggio meridionale).

Tra tante righe, quelle profetiche e antiche attribuite ad Edward Lear celebrano il noto nonsense del suo autore e immergono in arie gotiche i luoghi da cui scriviamo: "Calabria!", appena il nome è pronunziato, un mondo nuovo si presenta alla nostra mente, torrenti, fortezze, tutta la prodigalità dello scenario di montagna, cave, briganti e cappelli a punta, la signora Radcliffe e Salvator Rosa, costumi e caratteri, orrori e magnificenze senza fine! “.

Cronache odierne ci dicono che il deserto avanza, nel Mediterraneo sguazzano pesci di mari più caldi. Qualche folle ha proposto di trapiantare i nostrani ulivi e aranci in Piemonte… La percezione del deserto che avanza la dà la piazza vuota, le case deserte e abbandonate del centro storico, porte che si chiudono e non si riaprono, i manifesti mortuari, un senso lento e progressivo di svuotamento che avviluppa chi rimane. Flussi migratori mai interrotti riprendono vigore, vitali energie emigrano in una emorragia senza fine e trasversale a diverse generazioni.

Rileggo, quasi incredulo, le parole con cui Luigi Bertarelli rendicontava cinque giorni di escursioni ciclistiche tra Calabria e Basilicata che lo videro attraversare e brevemente sostare nel nostro borgo. “….giù per la china, per un’amenissima valle, entro in Mormanno. Qui c’è illuminazione elettrica e una specie di osteria-caffè. Avete da mangiare? Si, cosa volete? Era proprio il caso di domandare! Non c’era che del salame. Chiedo dello zucchero e delle ova e si debbono mandare a prendere. Intanto si affollano nel bugigattolo quante persone ci stanno, e fuori se ne assiepano centinaia (era di domenica). Tutti mi interrogano. La mia forza è di non capire nulla e di poter mangiare loro sul naso senza curarmi delle loro apostrofi.(…) In dieci minuti sbrigo il pasto della belva e riparto. Tutto Mormanno – certo non meno di 1000 persone – si è riversato all’uscita donde la strada discende, sospesa sulla valle a grandi muraglioni, in pendio dolce del quattro percento (…) Gridi di ammirazione e di allegria mi giungono alle spalle: è la sorpresa di questa velocissima corsa, che non hanno mai visto alcun cavallo a fare e non concepiscano possa un uomo raggiungere, è l’incosciente entusiasmo di vedere un volo, di cui soltanto l’uccello può fornire il pari!(…) voltandomi di tanto in tanto, vedo il muraglione gremito di gente: una lista nera come un piccolo squarcio nella montagna.”. Correva l’anno 1897. Improponibile un paragone demografico coi giorni nostri almeno dalla percezione letteraria del racconto…

Ed intanto qualche sclerotico fermento si affaccia nella piazza con facili presagi che annunciano imminenti primavere ed elezioni. Finisce anticipatamente il letargo di assonnati ed impreparati politicanti bruscamente risvegliati dalle inattese vicende elettorali.  La natura risorge, ma anche l’imbecillità: c’è chi reagisce all’inedia del mite inverno facendo il tiro a bersaglio con il Faro… Schioppettate rimaste ignote, silenziate dall’indifferenza generale.

Ogni tanto abbandono, per brevi frangenti, conversazioni ordinarie e quotidiane con gli amici: distrattamente mi perdo nello sguardo dei giovani superstiti che, fuori dei bar affacciati sulla piazza o nei paraggi, aspettano ancora un Godot-Lucignolo peregrino e in transito che passi a prenderli per mano e li porti lontano, assecondandone i sospesi moti del cuore.

Penso senza ipocrisie ai miei trascorsi in questo muto orto solingo, alla rabbia ed allo sconforto di giorni che si rincorrono uguali in attesa di una qualsiasi occupazione, alla voglia di fuga, alla voglia di andare in un altrove qualsiasi che sale incontenibile, al rifiuto istintivo per ogni forma di sottomissione, alla infamante, opprimente ed illegale melma che tutto insozza e che sembra trasudare da ogni pietra, alle paludi sparse qua e là nelle cui sabbie mobili non c’è giorno senza vittime, ad altri mondi diversi tante volte immaginati ma pur sempre inaccessibili e distanti, ai sentieri tracciati da altri emigranti che ho seguito con determinazione, entusiasmo ed inconsapevolezza. 

Mi sembra di leggere in quegli spontanei volti in ibernante attesa queste parole di Jean Michel Folon: “…Sogno una valigia, una valigia immaginaria che in realtà è una finestra le cui sbarre sono state tagliate per permettere che uno possa scappare via…perché emigrare vuol dire liberarsi e scappare per cercare un mondo migliore, più felice…”.

Si, emigrare vuol dire anche questo, e mi dico che io, almeno io, non posso non capirlo….



[1]   Questa era a quei tempi la tratta ferroviaria più conosciuta.

[2] Il signor Nicola Bloise (1900-2002) pur non riuscendo a leggere, come spesso diceva, una nota musicale, era dotato di un orecchio eccezionale. Basti dire che appena sentiva un motivo lo eseguiva alla perfezione. Suonò quasi tutti gli strumenti. Eccelse anche in quelli a corda, specialmente nella mandola e nella chitarra. Fu per lunghi anni organista della chiesa di Santa Maria del Colle. E’ stato un personaggio simpatico e di lui si raccontano tanti aneddoti. Ne voglio riportare uno raccontatomi da Salvatore Maradei, suo compagno di banda e suonatore di clarinetto. “In una serata a Lauria, Nicola ebbe un tal mal di testa da farsela legare con un fazzoletto. Così bendato eseguì la migliore Traviata di tutta la sua carriera”.

[3] Nella foto del Complesso bandistico Città di Mormanno vediamo: in prima fila dall’alto e da sinistra: Luigi Rogati, Fedele Perrone, Giuseppe Grisolia, Mario Fazio, Mario Leone;  in seconda fila: Francesco Barletta, Luigi Pagliaro, Candido Perrone, Rocco Bloise, Salvatore Regina, Pasquale Diurno, Gennarino D’Alessandro, Carmine Sangiovanni; in terza fila: Nicola Cantisani, Rocco Cavaliere, Antonio La Terza, Settimio D’Agostino, Olimpio Racca, Carlo Armentano; in quarta fila: Francesco Cavaliere, Paolo Castrovillari, Antonio Regina, Vincenzo Rotondaro, Giuseppe Cantisani, Mario Piragino, Salvatore Maradei, Cristoforo Capalbi, Raffaele Gallo; in quinta fila: il maestro Oronzo, il presidente Savelli e il capobanda Antonio Donadio.

[4] Gino Capponi e Raffaello Lambruschini 

FARONOTIZIE.IT  - Anno III - n° 23, Marzo 2008

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