Qualcuno, dopo aver letto l’articolo “L’odore delle emozioni”, mi ha scritto incuriosito e un po’ incredulo. Le perplessità non si riferivano al supernaso del mio affettuoso Rocky o alla sensibilità della mia povera Tris, bensì all’affermazione per cui le api hanno un senso dell’olfatto che fa concorrenza a quello dei cani.
Ho approfondito l’argomento in questi giorni, meravigliandomi ancora una volta di quanto si possa imparare dal mondo animale e non solo confermo lo straordinario olfatto di questi operosi insetti ma ho scoperto alcuni risvolti molto curiosi e forse non così noti a tutti.
Innanzitutto, dovete sapere che un’ape sa rintracciare un odore nella misura di una gocciolina disciolta in una piscina olimpionica. Il processo di riconoscimento di un odore coinvolge dapprima un’antenna, quella destra, e successivamente quella sinistra, associata alla memoria olfattiva a lungo termine. Rispetto al cane, per natura giocherellone, l’ape è più facilmente addestrabile e seguendo un breve training, le sue antenne imparano presto a collaborare amplificando sia la sensibilità, sia la memoria olfattiva. Per educare l’operaia alata a rispondere agli stimoli odorosi, basta esporla a un odore specifico, offrendole subito dopo, come premio, dell’acqua zuccherata: dopo sole quattro esposizioni di pochi secondi, l’ape impara ad associare quell’odore al sapore dolce del cibo e la volta successiva essa reagirà istintivamente estendendo la linguetta alla sola esposizione all’odore, anche in assenza del cibo, perché si aspetterà di ricevere il gustoso premio. Si riproduce così lo stesso riflesso condizionato che Pavlov aveva studiato nei cani. La cosa incredibile è che le api, così piccole e apparentemente fragili, sono in grado di riconoscere qualsiasi tipo di profumo, da quello delle fragole mature a quello della cannella, dall’aspro degli agrumi al dolce della vaniglia ma anche odori meno gradevoli ed estranei al mondo naturale, come quelli delle droghe e degli esplosivi. Da qui, l’interesse degli uomini a sfruttare le potenzialità degli imenotteri a scopi del tutto estranei agli istinti naturali e non proprio piacevoli, immagino, per le poveri api così schiavizzate.
Un’azienda britannica, la Inscentinel, ha infatti costruito un prototipo di rivelatore, in cui vengono impiegate tre api chiuse in piccoli contenitori da cui fuoriescono solo le testine. Mentre un ventilatore sospinge aria odorosa verso le testine degli insetti, una mini telecamera registra il movimento della lingua delle api, inviando in diretta le immagini a un computer. In questo modo, si vede come i tre imenotteri si trasformino istintivamente in mini detective, reagendo vivacemente anche in presenza di sostanze volatili esplosive umanamente impercettibili. Questa scoperta renderebbe le api degli ottimi rilevatori all’interno degli aeroporti, per esempio, accanto ai pastori tedeschi che mi suscitano sempre tanta tenerezza con quello sguardo perso, drogato, votati a una missione che non avrebbero mai scelto. Onestamente, mi auguro che le povere api non facciano la stessa sorte e siano lasciate libere di regalarci quella dolcezza preziosissima, quell’energia insostituibile che è il miele.
Un proverbio dice ‘Dio ha creato le api, il Diavolo le vespe’ e forse le piccole api riusciranno ad evitare la sorte di cavie perché si è scoperto che anche le cugine vespe, istintivamente meno simpatiche, sono molto sensibili agli odori. Alcune vespe, infatti, depongono le uova nel corpo di bruchi di cui riconoscono la presenza grazie all’odore specifico che le piante emanano quando vengono intaccate da quei bruchi. Si è visto che anche le vespe sono istruibili e, sottoposte allo stesso esperimento pavloviano utilizzato con cani e api, hanno dimostrato di riconoscere i timbri odorosi di tritolo, cadaverina e putrescina rilasciati dai corpi in decomposizione, anche in piccolissime quantità impercettibili all’uomo. Tuttavia, la reazione delle vespe agli stimoli olfattivi è diversa da quella delle api. Le femmine, reagendo all’odore emesso dalle piante attaccate dai bruchi, danno vita a una furiosa danza a spirale, mentre al cospetto di un odore buono e appetibile, abbassano delicatamente le antenne. Seguendo i movimenti degli insetti rinchiusi in un contenitore dotato di mini videocamera, si possono quindi distinguere i vari tipi di odori recepiti dalle vespe a seconda dei loro movimenti reattivi: se ballano una rumba, siamo di fronte a un pericolo, se si abbandonano a un casquet possiamo stare tranquilli. Data la loro straordinaria reattività a certi specifici odori, sembra che una possibile missione umanitaria per le vespe sia quella di identificare la presenza di alcune malattie: ulcere, tubercolosi e alcuni tipi di cancro sono associati a questi particolari odori. Gli insetti potrebbero, dunque, identificarli prima di una diagnosi medica o della comparsa di sintomi palesi.
Prevale tuttavia un sentimento romantico sulla mia abituale ammirazione per la scienza e, pensando a questi esperimenti, provo un’istintiva pena per i laboriosi insetti, costretti a sgradevoli lavori forzati. Comunque, qualora fosse necessario, preferirei essere annusata dalla proboscide di un’ape o esplorata dalle antenne di una vespa piuttosto che dal naso di un ratto o di una pantegana! Sappiate, infatti, che anche altre specie di animali sono costantemente sottoposte a simili test olfattivi. E pare che i ratti giganti della famiglia dei Cricetomini siano stati addestrati per identificare la presenza delle mine, così come l’odore della saliva nei malati di tubercolosi. Ancora più incredibile è la notizia per cui alcuni pesci sembrano essere in grado di rilevare alterazioni nell’acqua potabile: un tipo di pesce persico, infatti, tossisce quando alcune tossine sono presenti in minime quantità nell’acqua in cui nuota e pare che un bacino idrico di New York abbia già testato con successo questo sistema di rilevazione naturale.
Per finire in dolcezza … spero che ognuno di questi animali possa continuare a fare liberamente l’animale e che l’uomo si limiti a studiarli con la delicatezza che meritano, sfruttandoli, se proprio necessario, nella maniera più rispettosa e naturale. Prima di arruolare sciami di api-segugio, sottraendole alla loro dolcissima missione, pensiamo un attimo a cosa rinunceremmo …
Il miele, nettare di Afrodite, dorato tesoro della Terra, è la miracolosa sintesi dell’anima dei fiori e il lavoro delle api addolcisce non solo i palati ma la vita stessa, da molto tempo prima che venisse scoperto lo zucchero. Il sapore e l’aroma del miele raccolto dipendono proprio dal tipo di fiore che le operaie alate hanno anelato, succhiato e meticolosamente depositato seguendo le vibrazioni del loro straordinario fiuto. Non sorprende, dunque, che un alimento così naturalmente denso di fiorita energia sia da sempre considerato un cibo sensuale e un potente afrodisiaco. Il miele, per l’elevato contenuto di vitamina B e C e di minerali, stimola effettivamente la produzione degli ormoni sessuali e rigenera gli amanti spossati dalle scorribande amorose ritemprando i corpi in tempi brevi, risvegliando il desiderio e invogliando i più arditi a nuovi giochi erotici. Cleopatra, per esempio, era solita preparare un composto di miele tiepido e mandorle tritate da usare come unguento per rendere la sua pelle vellutata e irresistibile al focoso tocco dei suoi amanti. E pare che Giulio Cesare e Marco Antonio ne deliziarono in abbondanza, tanto da ingrassare oltremodo non solo perché disdegnarono la rude vita delle caserme per i languidi piaceri della corte egizia, ma anche perché trovarono particolarmente gustoso suggere, come adoranti fuchi, il miele piccante dall’intima coppa della bella regina.
Sarà forse in virtù di simili leggendarie estasi che gli sposi novelli cominciano il matrimonio con una stimolante ‘luna di miele’? Non so, in ogni caso io consiglierei a tutti gli sposini di partire per il viaggio di nozze portando con sé tanto amore, passione e fantasia ma anche un bel barattolo di miele profumato con cui insaporire effusioni, carezze e baci perché, come diceva Cyrano de Bergerac (a proposito di nasi esperti):
“Un bacio è … il brivido del miele di un’ape che sfaccenda, una comunione presa al petalo di un fiore, un modo lungo e lieve di respirarsi il cuore e di gustarsi in bocca l’anima poco a poco …”