“Un calvario snocciolato con pudore con una penna e tanti fogli di quaderno”: l’immagine diviene esemplificazione del lungo, tortuoso e difficile lavoro di introspezione portato avanti da Francesco M. T. Tarantino in maniera lenta e discreta quasi a voler obbedire ad un dictat che spesso ci imponiamo per non smascherare il nostro io dinnanzi agli occhi di chi ci scruta. Trovo che il verso sopracitato, collocato al termine di Noli me tangere, contenga e riassuma al suo interno i principali nuclei tematici rintracciabili all’interno delle poesie che ne affollano le pagine: il “calvario” che rimanda alla sofferenza e al tormento provocati dalla perdita dell’amata moglie Maria Teresa, alla durezza dei giorni fatti di “caccia e rancori contro scampoli d’umanità”, alla difficoltà di rintracciare “un altro possibile cammino”; il “pudore” cifra caratteristica dell’atteggiamento dell’autore nella costruzione del rapporto con l’interlocutore e nella descrizione quasi sussurrata di sentimenti ed emozioni; la “penna” e i “fogli” emblemi della fatica profusa nel tracciare quel cerchio poetico in cui confluiscono i motivi ispiratori della raccolta: l’amore, la morte e l’amicizia.
L’autore diviene dunque protagonista indiscusso di questo “diario” consegnato ai lettori con quella discrezione e quel pudore richiamati implicitamente dal titolo della raccolta Noli me tangere che, secondo quanto affermato nella prefazione, in psicoanalisi indica “la condizione di evitamento del contatto interpersonale”.
La diversità, l’isolamento, i “silenzi mattutini” a cui il poeta fa più volte riferimento, costituiscono nel contempo motivo di vicinanza e di lontananza dall’ “altro”.
La puntuale e scrupolosa descrizione dei soggetti incontratati durante il percorso di vita, siano essi amici o nemici, lascia rintracciare nei versi la presenza del poeta a volte solo apparentemente sovrapponibile alle loro fisionomie, perché fin troppo attento a non “confondersi” e a non farsi “contaminare” per non rinunciare alla sua libertà di pensiero.
Attraverso queste “fotografie” dell’altro, il poeta regala al lettore un ritratto della caleidoscopica varietà umana: l’“anima buona” conosciuta in atteggiamento “assorto” e in contemplazione, l’ amico “silenzioso e discreto” che nel momento della caduta è pronto a sollevarlo con “ineffabile discrezione”, la “presuntuosa” che preferisce “la vendetta e il rancore” sono solo alcune delle figure che mettono in evidenza l’acutezza dell’autore nel cogliere tratti caratteristici del comportamento umano.
La sensibilità del poeta si trasforma così in forte impulso vitale capace di fissare tra i suoi ricordi tutte le sfaccettature comportamentali dell’altro, abbandonandosi talvolta anche all’invettiva per trasmettere rabbia e delusione.
Le poesie che meglio restituiscono un’immagine nitida del poeta sono quelle dedicate all’amata Maria Teresa. È da questi versi che emerge il punto di osservazione dell’intera raccolta: l’uomo solo, perso, ferito dalla sofferenza che tenacemente resiste per evitare di essere sopraffatto da sentimenti così invalidanti.
Sofferenza interiore, tormento, senso di vuoto, smarrimento e paura sono elementi che consentono di volgere lo sguardo agli altri con grande umanità, procedendo a vere e proprie analisi introspettive. La spiccata sensibilità dell’uomo smarrito “in strategie perdenti” viene alimentata ancor di più dal distacco dalla moglie, dalla disperazione della perdita: si tratta di sentimenti che, rispetto alle due precedenti raccolte, appaiono meglio “sistematizzati”.
“E’ questo il tempo di rimettere le ali/ Ricomporre il volo che mi porta lontano […] Io non voglio seguirti dietro passi irreali […]”(da Nozze d’argento): da questi versi emerge la volontà del poeta di “emanciparsi”, di prendere le distanze da quell’immagine di un aldilà vagheggiato, in cui è possibile “prendersi per mano” e la rassegnazione di dover restare nel circolo della sua pazzia “sospeso in un mondo dalle strette maglie”.
Proprio a questa consapevolezza è dovuta una migliore sistematizzazione del tema della morte concepita come mistero e non più come dimensione consolatoria delle nostre sofferenze e della nostra incapacità di superare gli ostacoli frapposti da una separazione. Appurata questa nuova concezione della morte, il poeta sembra più disteso nel richiamare alla memoria i gesti, le fattezze e le movenze della sua amata e più lucido nel tener vivo il suo ricordo. La scrittura diventa così il modo per fissarne meglio l’immagine e serbarne il ricordo, nonché pratica salvifica in quanto permette di capire la “diversità” della dimensione in cui si trova.
Credo che da questa raccolta emerga la straordinaria capacità del poeta di saper guardare “oltre” e di sapere indagare con acume i moti dell’anima a cui spesso l’uomo contemporaneo non presta attenzione perché profondamente immerso nel vortice della caoticità che caratterizza i rapporti interpersonali.
L’autore ha dunque consegnato al lettore tanti “indizi” utili e necessari per la ricostruzione della propria identità: affrontando senza retorica temi differenti quali l’amore, la morte e l’amicizia, ha parlato soprattutto di sé e del suo variegato mondo interiore. Ritengo che la raccolta costituisca una buona occasione per dare voce a quelle emozioni che spesso proviamo e che non riusciamo ad esternare, per capire che tante sono le situazioni che accomunano gli uomini.
Trovo inoltre che i versi di Francesco Tarantino siano di forte attualità perché non perdono mai di vista il tessuto storico sociale in cui siamo immersi: l’ipocrisia, la superficialità delle relazioni, il declino del sistema economico-sociale si collocano infatti sullo sfondo di molte poesie, quasi a voler essere un monito per il lettore.