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Tifiamo ancora per Crialese

Scritto da Carlo Di Stanislao il 4 ottobre 2011
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Ci era già riuscito  nel 2006, con “Nuovomondo”, poi non giunto in finale ed ora, dopo aver vinto il premio speciale della giuria al LXVIII Festival di Venezia, con “Terraferma” Crialese batte Moretti e Martone,  Massimiliano Bruno, Michele Placido  e Alice Rohrwacher e nella selezione dell’Anica, viene scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar 2012. Se il film (una storia ambientata su un’isola siciliana investita dagli arrivi dei clandestini e dalle nuove regole di respingimento), interpretata da Donatella Finocchiaro e Beppe Fiorello, entrerà realmente in lizza, lo si saprà soltanto il 24 gennaio, quando saranno rese note le cinquine. Crialese, che ha a lungo vissuto in America,  ammette che il suo modo di fare cinema è molto lontano da quello hollywoodiano, ma dice pure che agli americani piacciono le storie con forti contrasti e, forse, “Terraferma” ce la può fare. Il film, prodotto da Cattleya in collaborazione con Rai Cinema e in associazione con la Regione Sicilia, non sta andando troppo bene nella sale e non è piaciuto alla più parte della critica, ma è invece una pellicola forte, ispirata ed estremamente originale, che entra nel cuore di un problema a cui si guarda spesso con indifferenza o con vera diffidenza. A Toronto, qualche settimana fa, è molto piaciuto ed è attesissimo sia  al Rio Cine Festival che al London Film Festival ai primi di ottobre. Intanto sono arrivati alcuni altri verdetti dall’Europa. Pedro Almodòvar, con il suo La pelle che abito, è stato messo da parte per fare posto a Pa negre (Pane nero) di Agustì Villaronga, dramma ambientato immediatamente dopo la Guerra Civile Spagnola, che ha già vinto numerosi premi (Goya come Miglior film spagnolo). Già questo film  sarà davvero un terribile avversario e, come detto, dovremo attendere fine  Gennaio, con l’annuncio da parte dell’Academy dei 10 film finalisti per i soli 5 posti disponibili nella categoria, per tirare un primo sospiro prima della “lunga notte” degli Oscar. Ora bisogna lavorare di distribuzione e poiché è vietato presentare in DVD i film, fare in modo che esso vada in tutti i Festival Californiani, affinché i giurati dell’Accademy, possano vederlo e apprezzarne rigore formale e poesia narrativa. Per Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema, “Terraferma è un film che sa parlare anche a un pubblico internazionale, come ha dimostrato l’importante riconoscimento che la giuria della recente edizione della Mostra del Cinema di Venezia gli ha voluto assegnare. Credo che oltre alle qualità artistiche indispensabili per ambire ad entrare nella cinquina e, auspicabilmente, a concorrere all’Oscar, il film riesca con grande maestria a trattare temi delicati e universali come quelli della migrazione e dell’accoglienza. Temi di grande attualità che un artista sensibile come Crialese riesce a raccontare senza retorica e con immagini di grande bellezza”. Speriamo i giurati americani concordino con lui. Quarantinquenne romano, Crialese ha studiato cinema alla  New York University, dove si è laureato nel 1995. Dopo aver girato diversi corti, esordisce con un lungometraggio nel 1997, Once We Were Strangers, prodotto (il che ricorda Chabrol) con i soldi ricavati dalla vendida di un paio di preziosi orecchini di pregevole fattura siciliana, ricevuti in eredità dalla bisnonna. Anche se riconosco in Crialese una certa debolezza narrativa rispetto alla grande forza descrittiva, con dialoghi didascalici o convenzionali, o momenti che sfiorano pericolosamente la fiction televisiva, anche per via di alcune interpretazioni incerte e non sempre giustificate dalla scelta antinaturalistica e “pasoliniana”; “Terraferma” resta un film di forte suggestione, che affronta ai massimi livelli espressivi, il complesso fenomeno della migrazione, con in più immagini che lanciano potenti suggestioni. E’ già da Oscar per me, il fantastico incipit (l’inquadratura sottomarina della rete da pesca che poco a poco imprigiona lo schermo), per non parlare della meravigliosa plongée dell’ultima inquadratura, che schiaccia un’evasione sulla superficie del mare: una barca che sembra volare schiaffando sulle onde, ma il cui moto “ascensionale” è negato proprio dall’inquadratura verso il basso scelta (appunto, una plongée). Immagini intorno a cui  si condensa la metafora di un’isola archetipica, terraferma-di-mezzo tra la terraferma continentale e il mare, fra i nostri ideali e la loro cinica e sistematica distruzione, nella vita di tutti i giorni. Il fascino di questo film (per cui continuamo a tifare), sta proprio nelle ambiguità che suggerisce, sul punto di confine, limen dove si incrociano, senza conoscersi, tre condizioni di vita (gli isolani, i turisti e i migranti) che restano per lo più straniere a se stesse. La scelta finale del giovane protagonista rappresenta una scelta alternativa che si smarca dall’influenza paterna: il finale aperto e la plongée ne suggerisce un esito incerto e precario, ma non per questo privo di speranza. Speriamo non sia troppo ardito per il pragmatismo americano.