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Povera Italia

Scritto da Carlo Di Stanislao il 1 agosto 2012
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La soglia di povertà relativa per una famiglia di due componenti è pari a 1.011,03 euro e, secondo l’ISTAT, in Italia, nel 2011, 8 milioni di persone, l’11,1% delle famiglie è risultato “relativamente povero”, con una povertà assoluta del 5,2%, pari a 3,5 milioni di individui.

Il rapporto appena pubblicato, evidenzia anche ”segnali di peggioramento, che confermano i risultati già commentati per la povertà relativa. Aumenta l’incidenza di povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento non occupata (dal 5,9% al 6,6%), in particolare se è ritirata dal lavoro (dal 4,7% al 5,4%) e, in assenza di redditi da lavoro, almeno un componente è alla ricerca di occupazione (dall’8,5% al 16,5%)”.

Un peggioramento si osserva ”anche tra le famiglie con a capo una persona con basso livello professionale (operaio, dal 6,4% al 7,5%) e con basso titolo di studio (con al più la licenza elementare dall’8,3% al 9,4%, con la licenza di scuola media inferiore dal 5,1% al 6,2%). Infine, peggiora la condizione delle coppie con un figlio (dal 2,9% al 4%), in particolare se minore (dal 3,9% al 5,7%).

Quindi, da noi, più di una famiglia su dieci è povera e a soffrire è, al solito, soprattutto il Mezzogiorno, con quasi due milioni (un milione 863mila) famiglie che vivono in condizioni di povertà relativa, pari al 23,3% di tutti i nuclei residenti nel Meridione.

Una condizione diffusa soprattutto tra le famiglie più ampie, con tre o più figli minorenni, che si conferma anche in associazione con bassi livelli d’istruzione e bassi profili professionali.

Dal documento Istat emerge inoltre che al Sud aumenta anche l’intensità delle povertà, passata dal 21,5% del 2010 al 22,3% del 2011: un dato che indica quanto la spesa media mensile equivalente delle famiglie povere si collochi al di sotto della linea di povertà.

Nel caso delle famiglie del Mezzogiorno, nel 2011, la spesa media mensile equivalente è stata pari a 785,94 euro contro gli 827,43 del Nord e gli 808,72 del Centro.

Nelle regioni settentrionali sono “povere” meno di 5 famiglie su 100, nelle regioni meridionali lo sono 23 su 100.

E le differenze si vedono anche nella sanità pubblica: Piemonte, Valle d’Aosta, Trento, Veneto, Emilia Romagna e Toscana sono le regioni che presentano i più elevati livelli di qualità dell’assistenza, Campania e Sicilia i più bassi.

C’è anche uno scarto di 500 euro a persona fra quanto speso tra la provincia autonoma di Bolzano, che spende 2.191 euro per ogni residente, e la Sicilia, che ne spende 1.690 euro.

Già l’analisi di Bankitalia per i bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2010, non restituiva l’immagine di un Paese in salute ed ora l’ISTAT ci dice che l’Italia è un malato grave e la crisi sta erodendo passo a passo il benessere raggiunto dalla società italiana nel corso del tempo.

E a rileggerlo ora il rapporto di Bankitalia di 18 mesi fa, c’è da farsi venire i brividi se, come appare evidente dai numeri, i debiti delle famiglie italiane, a tutto il 2010, ammonta al 27,7% dei nuclei familiari e il ricorso a finanziamenti e prestiti (soprattutto per acquisto e ristrutturazione di immobili) risulta maggiormente diffuso tra le famiglie a reddito medio-alto, con capofamiglia di età inferiore ai 55 anni, lavoratore indipendente o con elevato titolo di studio.

D’altra parte, le retribuzioni dei lavoratori italiani sono rimaste ferme dal 1993 e se gli occupati sono aumentati (+7,8%) dal 1995, la gran parte di loro è al Centro Nord, mentre il Sud ha visto i suoi occupati diminuire da 6,4 a 6,2 milioni. Con in più una riduzione del potere d’acquisto del 5% dal 2008.

Ancora, il tasso di disoccupazione, o inoccupazione, è altissimo tra i giovani sotto i 30 anni: nel 2011 in Italia 2,1 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni non studiavano né lavoravano.

Anche in questo caso al Sud la cifra raggiunge il picco del 35% in Sicilia e Campania. Di conseguenza cresce il numero dei giovani che restano in casa: il 41,9% dei giovani tra 25 e 34 anni vive ancora in famiglia contro il 33,2% del 1993-1994.

Si calcola che in generale il tasso di disoccupazione raggiungerà il 9,5% nel 2012 (dall’8,4% del 2011), salendo ulteriormente al 9,6% nel 2013.

Sempre secondo l’ISTAT, il Nostro è anche il Paese con la crescita più bassa tra i 27 dell’Unione Europea: dal 2000 al 2011 la crescita media annua è stata dello 0,4%.

Male anche il prodotto interno lordo, che nel 2012 subirà una contrazione dell’1,5% per poi aumentare dello 0,5% nel 2013 grazie alle esportazioni. Caleranno soprattutto i consumi e gli investimenti, rispettivamente -2,1% e -5,7%, mentre, certamente, crescerà l’impoverimento.

Resta altissimo, invece, il valore del sommerso, stimato fra 255 e 275 miliardi, cioè fra il 16,3% e il 17% del Pil del 2008.

Non c’è da meravigliarsi se oggi, in questo nostro “povero Paese”, siamo arrivati al punto di dover fare una trasmissione televisiva (“Il contratto”, andata su La7), che è una di gara tra disgraziati, per avere un posto di lavoro a tempo indeterminato, una ignobile competizione tra reietti per la sopravvivenza.

Centoottanta anni fa Gioacchino Belli scriveva questi versi, ancora terribilmente attuali e che poniamo come chiusa e commento:

“Mentre ch’er ber paese se sprofonna
tra frane, terremoti,innondazzioni
mentre che sò finiti li mijioni
pè turà un deficit de la Madonna

Mentre scole e musei cadeno a pezzi
e l’atenei nun c’hanno più quadrini
pè la ricerca, e i cervelli ppiù fini
vanno in altre nazzioni a cercà i mezzi

Mentre li fessi pagheno le tasse
e se rubba e se imbrojia a tutto spiano
e le pensioni sò sempre ppiù basse

una luce s’è accesa nella notte
dormi tranquillo popolo Italiano
a noi ce salveranno le mignotte”
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