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Fumetti al femminile

Scritto da Carlo Di Stanislao il 1 agosto 2012
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Sono stato un grande lettore di fumetti, negli anni sessanta e settanta, soprattutto, quando alcuni autori restituiscono alla donna il potere sul proprio corpo, comprensivo di tutte le sue valenze erotiche che, quel corpo, trasforma da oggetto dell’universo maschile a soggetto attivo con diritto di conquistare anche il piacere sessuale.

Si chiama “Fumetta” ed è il primo fumetto tutto di donne, completamente on-line e disegnato Emmedi, con il primo numero (già in linea su http://www.namir.it/FUMETTA/FUMETTA.HTM), dedicato a “l’amore in bottiglia” ed i prossimi che saranno dedicati alle Donne Operaie e a Anna Magnani, grande donna e grande attrice.

Fumetta nasce per affrontare tutte le tematiche delle donne dal punto di vista femminile, attraverso grandi testi e intelligenti riflessioni.

A parte le bellone sessuose e pericolose, il fumetto ha presentato donne come la figura parossistica di Petronilla (Arcibaldo e Petronilla – Jiggs e Maggie di George McManus), che con le sue smanie da arrampicatrice sociale complica l’esistenza del povero Arcibaldo, sempliciotto e senza ambizioni.

E anche le altre trasposizione fumettistica del matriarcato americano la troviamo ancora più evidente in Li’l Abner (1935, di Al Capp), ove le avventure fumettistiche sono dominate dalla dispotica capofamiglia (Ma’ Yokum), ma anche dalla bellissima e statuaria Daisy Mae, eterna fidanzata del protagonista.

Mentre di una visione ironica e tutto sommato rassicurante della famiglia americana della middle class, si fa interpreta Blondie (Blondie and Dagwood, di Murat “Chic” Young, 1930), all’inizio svampita, ma, con il passare delle strisce, attenta esegeta del ruolo femminile nella famiglia statunitense, nonché equilibratrice del vaporoso Dagoberto (Dagwood).

Sempre in americana, patria e fucina instancabile del fumetto, rimangono sullo sfondo di uno scenario in cui domina l’intraprendenza eroica e virile della figura maschile, le immancabili “fidanzate” dei primi eroi avventurosi, che mietono copiosi successi negli anni Trenta del secolo scorso. Parliamo di Dale Arden (Flash Gordon), Diana Palmesi (l’Uomo Mascherato), Narda (Mandrake). Appiccicose, gelose e dotate di un’innata capacità di invischiarsi in guai colossali, le poverine vivono solo in funzione dell’eroe di turno.

Protagoniste certamente eterodosse, invece, in Italia, Satanik, creata negli anni ’70 da Max Bunker, che esordisce in edicola nel 1964, all’età di venticinque anni, risultando coetanea dei due giovani narratori delle sue mirabolanti gesta e Valentina di Guido Crepax, che dal 1965, attraverso i suoi incubi psicoanalitici, esprime anche la sostanziale inadeguatezza dell’essere umano di fronte a un repentino mutamento di prospettive sociali e morali. Queste due ultime eroine possono simboleggiare una evidente cerniera che apre il mondo del fumetto a una diversa rappresentazione della figura femminile, non necessariamente edificante quanto lo è stata sino a quel momento.

E che ora, certamente, Fumetta visiterà in modo più profondo o descrizione da dentro e non fatte con occhi maschili.

E il primo numero, dal titolo evocativo (“L’amore in bottiglia”), spiega con incanto e sensibile poesia, l’amore a chi amore non ha, per mancanza di coraggio o nascosto per paura, o perché non si riesce ad essere se stessi.

Sfogliandolo on-line, ho pensato ad uno dei più bei film sull’amore che mi è occorso di vedere negli ultimi tempi: “La sorgente dell’amore” di Radu Mihaileanu, autore già noto per film come “Train de vie”, “Vai e vivrai” e “Il concerto”; con un plot estratto da una storia vera, ambientata nei giorni nostri in un villaggio situato tra l’Africa settentrionale e il Medio Oriente, di un gruppo di donne che decide di ribellarsi ai propri mariti indicendo uno sciopero molto particolare, quello dell’amore, perché una tradizione vuole che siano loro a dover andare ogni giorno fino alla sorgente in cima alla montagna per prendere l’acqua, mentre i loro uomini se ne stanno in panciolle al bar a bere tè.

Anche in questo caso le donne non si arrendono e alla fine la si risolve con una loro crescita in riconoscimento ed identità.

A livello più metaforico, il film si ispira a Lisistrata di Aristofane, in cui una donna, di fronte all’indifferenza degli uomini, indice lo sciopero dell’amore per mettere fine alla guerra e far comprendere come l’amore, interamente vissuto, è il sentimento che rende gli uomini simili fra loro e smussa ogni supposta differenza.