Riceviamo e pubblichiamo il testo della relazione tenuta da Stanislao Donadio in occasione della presentazione del Libro di poesie di Francesco Fucile:
Innanzitutto ringrazio Francesco per la tripla opportunità concessami , fra l’altro fidandosi ad occhi chiusi, invitandomi , prima di tutto, a scrivere la postfazione del libro, ad ospitare, cosa rara, all’interno dello stesso volume, una mia poesia dal titolo emblematico “Poesia della casa di Francesco” e infine a presentare, in questa calda serata di bellezza e cultura, la sua preziosissima opera letteraria.
Nella postfazione appena citata a un certo punto scrivo: “ Nella mia vita ho letto poeti importanti, imponenti nei loro tomi di parole infuocate, braci a bruciare polpastrelli e labbra, vino da bere ad ogni capoverso”. Ecco, io penso che si possa partire da qui e considerare Francesco un poeta importante , una penna che traccia uno stile decisamente personale ma che in alcuni tratti ricorda le grandi stagioni della cosiddetta POESIA D’AMORE.
A pag. 35 del libro leggiamo:
Talvolta basta un esile filotto di parole/ uno sguardo complice che afferra tutto/ un sorriso sfiorato con la punta delle dita/ e le bruciature della vita non fanno più paura / e il silenzio che ci avvolge è braccia senza mura / e bruciamo le ore con la stessa voracità della fiamma che ci ha acceso / e tutto quello che so di me è che ho bisogno di te e tutto quello che sai di te è che hai bisogno di me /
Quanta verità! Francesco penetra nell’indole più profonda del suo essere uomo e diventa un tutt’uno con la propria amata che invoca, chiama con la voce dell’anima , evoca, in un’ amalgama necessario che sfiora quasi l’assoluto , la foglia che si sposa al ramo, l’ape a confondersi col fiore sbocciato sotto il sole maturo della primavera inoltrata. Francesco utilizza parole semplici che fanno parte del nostro lessico quotidiano per sorprenderci nella non / sorpresa: le bruciature della vita, le braccia senza mura (che bello!) , la fiamma che ci accende , il bisogno reciproco che ognuno ha dell’altro. Quella di Francesco è una poesia viscerale, riflessiva, carica di pathos interiore dove eros e passione si muovono di pari passo, intersecano, si cuciono addosso l’abito perfetto , sono il bottone e l’asola che chiudono la giacca. L’amore come religione del suo tempo, di ogni tempo, l’amore come sentimento universale , l’unica cosa per cui vale la pena vivere. Ed è questo il filo conduttore che percorre l’intero volume , il concetto primordiale che dà il titolo al libro , oriente e occidente pronti a intrecciarsi e fondersi come cielo e mare nella calura meridiana e all’imbrunire, quando tutto si spegne piano piano . E la poesia che porta lo stesso titolo a pag. 97 chiarisce le intenzioni del poeta in maniera inequivocabile :
Amare è tutto
Per non passare in mezzo agli altri con distacco
Per non spintonarli per non disprezzarli
Per spingerci verso tutte le altezze e le profondità
Per non lasciare libri che si impolverano nelle biblioteche
Per seminare un po’ d’amore attorno a noi
Per impedire al cuore di spezzarsi
Perché l’amore non sia superficiale e banale
Perché l’amore per la donna amata
È il più dolce e il più caro di tutto il resto
Per capire le vere domande che segnano la vita
E ci impediscono di andare alla deriva
Per ardere e vivere
Perché non amare sarebbe una tragedia
E comunque Francesco ne sa una più del diavolo, forse due, non demorde, non butta la spugna proprio perché la forza di quell’amore verso tutti lo rende marinaio esperto nella tempesta , che sia di vento o di neve, che sia di sale o di sole, lui , capitano e mozzo di una nave fragile e fortissima , difficile da affondare:
“Ogni difficoltà, recita, è un’occasione / una possibilità / per cambiare/ per migliorare/ per crescere, per guardarsi dentro/ per riscoprirsi nudi/ per ricominciare” . Quanta caparbietà! Quanta testardaggine!
E reitera : “ Non smettere mai di lottare e di sperare / neppure quando tutto sembra perduto/ perché si può sempre ricominciare”.
Francesco raccoglie le briciole del sonno e ne fa un cielo di stelle a rompicapo, ne fa una collana di pulci sui crinali delle nostre storie e delle nostre scorie, ricolma ogni buca del cuore, attende le rondini al varco e ne sfoglia le pagine, come un menestrello sotto ogni balcone, come un canestraio col suo cesto di vimini sul finire del giorno.
La peculiarità dei versi di Francesco sta proprio qui. Suscita nel lettore attento quella complicità sussurrata a bassa voce , non gridata, quasi meditata. Ci sono poesie che rompono gli schemi, ce ne sono altre troppo melense e piene di cicatrici, da cestinare al primo approccio. I versi in questione appartengono alla prima categoria, intrigano, tagliano a fette il pane, versano il vino nei bicchieri della vita. Leggerli non costa fatica, scorrono come acque chiare dei torrenti d’alta montagna, mandano segnali di speranza, di futuro, per l’uomo di questo nostro tempo travagliato e intriso di dolori diffusi, ipocrisie latenti e di basso fondo, ipocondrie stagnanti. Francesco rifugge da tutto questo, si sgancia come paracadute dalla pancia malsana dell’aereo in volo sopra le nostre macerie, intorno alle nostre miserie.
Fabrizio De Andrè, nell’incipit della struggente “Verranno a chiederti del nostro amore”, scritta per la prima moglie, in pratica la madre di suo figlio Cristiano e tratta da un album pubblicato nel 1975 dal titolo “ Storia di un impiegato”, canta testualmente: “ Quando in anticipo sul tuo stupore verranno a chiederti del nostro amore a quella gente consumata nel farsi dar retta un amore cosi lungo tu non darglielo in fretta “.
Già, un amore cosi lungo, quasi infinito, anche se poi finì , ma questo verso è bellissimo, immortale.
A pag. 55, Francesco scrive : “L’infinito non si può imbottigliare/ Ciò che conta è non dimenticare/ l’ultimo sguardo/ l’ultimo bacio/ l’ultimo ti amo/ l’ultimo tutto di noi/ e se non avrò più occhi per vedere e mani per scrivere/ poco importa / saranno i tuoi occhi e le tue mani il mio infinito” . Eccolo qui, l’amore così lungo, una vita , due vite, mille vite. L’amore che non muore , che non può finire, se è vero come è vero che il mondo continua proprio all’infinito.
E che dire della leggerezza con cui parla della figlia Delia. Qui indossa il vestito classico di padre che emozionato e schivo, fra cento ballerine, vedrà solo lei danzare come su un carillon in un crescendo d’estasi.
Il figlio, la figlia, l’amico , i nonni e quella casa rivelatasi col passare degli anni un nido sereno, un rifugio sicuro, un tetto d’acciaio dove ignaro studiava filantropia. Sentimenti leggeri, ripeto, come piume di pettirosso, friabili come biscotti nel latte, ma veri, autentici, medaglie con una sola faccia.
Nazim Hikmet , uno dei più grandi poeti della letteratura mondiale, scrive:
Anima mia
Chiudi gli occhi piano piano
E come s’affonda nell’acqua
Immergiti nel sonno
Nuda e vestita di bianco
Il più bello dei sogni ti accoglierà
Anima mia
Chiudi gli occhi piano piano
Abbandonati come nell’arco delle mie braccia
Nel tuo sonno non dimenticarmi
Chiudi gli occhi pian piano
I tuoi occhi marroni
Dove brucia una fiamma verde
Anima mia
Notate quante somiglianze, quanti richiami, strade che sembrano identiche, ciliegie colte dallo stesso albero.
E nonostante tutto ciò Francesco è conscio che la poesia non salverà il mondo, eterna diatriba fra ottimisti e contrari. In una splendida appendice finale recita:
La poesia non cambierà il mondo
Il mondo non appartiene a chi lo rende migliore
Resterà muta ad ogni assalto
Sospenderà ogni pensiero
E le parole nate e trafugate moriranno
Cesseranno di avere significato
Nello scandire silenzioso delle ore
Oltre ogni distanza
Nel linguaggio oltre il linguaggio
Nella continua lotta dei miei esami di coscienza
Nelle limpide acque dei tuoi occhi
Mai bevuti abbastanza
Nei giorni in cui sono aperto e chiuso
A me stesso
Ma la poesia, aggiungo io, è un’arma micidiale che può veramente cambiare il mondo, lo può stravolgere , è quella rivoluzione a cui molti hanno aspirato e non è mai arrivata. La poesia vince su tutto. E Francesco sa bene tutto questo.
Mi piace chiudere con l’esortazione finale della mia postfazione: “ Vai, Francesco, vai. Fermati solo quando decidi di non fermarti, porgi l’orecchio sinistro a quel vento che porta solo buone notizie, l’altro orecchio tappalo e tagliane il lobo dentro ogni sogno perverso. La notte non prevarrà sul giorno (mi sembra di averlo sentito da qualche altra parte) e i tuoi versi faranno da colonna sonora a questo giorno eterno.