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Lettera aperta a mio fratello che vive sugli alberi e tra i sentieri

Scritto da Francesco M.T.Tarantino il 1 gennaio 2017
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Caro amico, già fratello, di sospensioni e intrecci, di tracce che percorrono l’aria e lasciano scie, e tra l’argento delle tue particelle di cenere risplende alla luna il tuo inconfondibile sorriso tra le pieghe dei tuoi alberi o quando al mattino si scioglie la rugiada ai primi raggi del sole, tra gli echi delle acque dell’Argentino. Sai, ti ho rincorso quest’estate lungo le sue sponde, il mattino dopo quel sogno in cui m’invitavi a raggiungerti presso la cascata, ed arrivasti ferito appollaiandoti tra l’erba dove mi parlavi con gli occhi e ricevetti la notizia che un altro amico più giovane di noi aveva spiccato il volo per raccogliere e ritessere trame e spaccati di vita le cui tracce resteranno indelebili nel cuore della sua compagna e di chi gli ha voluto bene. Raccoglieranno gli angeli i fili degli intrecci che da voi diventano vite senza fratture e li disporranno in una concatenazione tale che ogni mano stringerà un’altra mano, come in un grande girotondo dove ci riconosceremo ma in altra essenza e ci rincontreremo. Nell’intanto ti scrivo, non per raccontarti, perché sai ogni cosa, ma per il mio bisogno di accoccolarmi tra i ricordi e le battute, la tua musica e i tuoi strumenti che ormai giacciono inerti in un assurdo e inconsistente luogo di non-memoria in oltraggio a chi ti ha voluto bene. Mi dicono che il cielo da quando ci sei tu gode di sinfonie e suoni incancellabili, inafferrabili, irripetibili, perfino le aquile e i falconi nelle loro ascensioni cavalcano i venti intrisi di melodie e ritmi sconosciuti a cui si lasciano andare per godere appieno, come non mai, la loro libertà in un volo sempre più sconfinato, e quando a sera si ritirano nelle loro alte dimore ti fanno l’inchino a mo’ di ringraziamento per aver esaltato le loro scorribande nel cielo al ritmo delle tue nuove tarantelle.

Eri un grande un tempo e lo sei di più adesso che volteggi tra gli alberi e i sentieri, adesso che mi manchi da morire e il tempo che passa non lenisce la pena di avermi lasciato senza musica e senza bandiere, in uno smarrimento continuo dove manca quella tua capacità di analisi che mi permetteva di leggere e interpretare gli eventi: ¿ti ricordi la nostra ultima conversazione sul libro di Varoufakïs  “Il Minotauro Globale”? Eri unico, capace d’introspezione e di saper leggere i cuori, capace di sorridere e di smascherare l’ipocrisia dei politici di turno, intrallazzatori, ignoranti, nuocenti al bene comune con gran sperpero di denaro pubblico e delle energie dei buoni.

Questi diciotto mesi passati ad aspettarti mi hanno fiaccato e immerso in una cornice di morte che respira morte e che mi prostra in una continua attesa di raggiungerti perché da quando non ci sei non ho più piacere in niente con l’aggravante di non avere la possibilità di consultarti telefonicamente, via mail, o venendo a Firenze. L’ultima volta ci sono stato ero con Francesco, in occasione della presentazione del tuo libro, ti assicuro che non la sento più come quando c’eri tu, infatti rifuggo le occasioni di andarci mentre prima, come ricorderai, le cercavo: un seminario, un convegno, un teatro, l’università; tutto adesso mi sa di niente! Vivo ormai come una monade prossima all’estinzione, anche le cose che avevo in mente di fare hanno perso qualsiasi interesse, e di questo te ne chiedo perdono perché non è ciò che avresti voluto ma so per certo che mi capisci, esattamente come hai sempre fatto in situazioni simili ogni qualvolta diventavi spalla del mio lamento.

Come vorrei ascoltare il calore della tua voce in questa notte di Natale dove per compagnia ho soltanto le tue foto e quelle dei miei cari, la fiammella di un lumino di cera che a differenza di quelli elettrici si consuma spegnendosi da solo a cera esaurita. Non ho avuto neanche voglia di cenare, sentivo il bisogno di scriverti per dirti quanto mi manchi e per ringraziarti dei segni che manifestano la tua presenza ogni qualvolta  ho chiesto il tuo parere, un consiglio, la tua approvazione, e non c’è stata volta che tu non abbia risposto, servendoti del vento a diverse intensità, delle aquile, dei corvi, di gufi, civette e barbagianni, oppure di un luccichio tra gli alberi lungo i sentieri quando a sera percorro le strade che tante volte ci hanno visto insieme con la luna rossa più luminosa che mai.

Mi conosci e sai che vado soggetto a nostalgie, rimpianti, rimorsi e sensi di colpa inescusabili, hai condiviso le mie tante amarezze donandomi sempre una forza di consolazione che m’induceva a guardare le cose, le delusioni, da prospettive alternative: quante volte sei stato grande nelle intuizioni e nei giudizi…! Da quando non ci sei non ascolto più musica aspettando che, in un modo o nell’altro, tu mi faccia dono delle tue ultime sinfonie e di tutto il lavoro lasciato a metà.

Non avrei voluto, e so che non lo volevi neanche tu, ma sono caduto nella trappola di portarti dei fiori da quando qualcuno, ignorando la tua volontà, ha osato, mancandoti di rispetto, esporre una tua foto sui marmi di famiglia accompagnata da una stupida e infelice scritta; ma che vuoi, non riesco ad ignorarti in quel luogo dove tu non volevi andare, e così mi perdonerai i fiori recisi e la rabbia che vado soffocando per questo sopruso.

Non serve raccontarti altro perché le cose che accadono le vedi da te e non hai bisogno di esprimere la tua indignazione e disapprovazione perché oramai riesci a vedere con distacco le meschinità delle cose terrene nella loro vacuità e deprimente insulsaggine che un tempo ti facevano incazzare e oggi non ti fanno neanche ridere: hanno rovinato la piana di Campotenese, che a te piaceva, con la posa in opera di un ammasso di legno prossimo a marcire che disturba il paesaggio e guasta il buon gusto e il senso dell’estetica. Quasi non bastava stanno innalzando una cupola di ferro pesantissima su una già precaria costruzione che sarà pubblicata insieme alla Katasta sulle più autorevoli riviste di architettura post-post-moderna ma che solo il buon Dio mosso a pietà potrà evitare la catastrofe. In più stanno innalzando una brutta costruzione a mo’ di chiesa alla periferia nord del mitico San Pio Borgo su un terreno vincolato idrogeologicamente dove un giorno tutti gli anziani si recheranno armati di bastone dopo un tragitto di 1000 metri circa da fare a piedi per ricevere le benedizioni di un improbabile prete che nei week end verrà, accompagnato dalla badante di turno, a benedire gli altrettanto improbabili pellegrini venuti da Milano o dalla Spagna di Balaguer per onorare il loro santo pagatore: non c’è limite alla follia bislacca e mercificatoria!

Ti voglio bene, mio fratello, amico e compagno. Ti abbraccio forte dal profondo del cuore chiedendoti perdono per il mio continuo bisogno di te e per il mio egoismo.

Fraterni saluti comunisti da estendere all’intero universo.

Tuo francuccio

 

 

One Response so far.

  1. Raffaella Fortunato scrive:

    Ogni cuore si esprime come vuole.