www.faronotizie.it - Anno XIX - n. 216 - Aprile

Natura madre, o forse matrigna

Scritto da Raffaella Santulli il 1 novembre 2015
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Prima era la natura.

Le cime arrotondate dei vecchi Appennini, i campi di neve immacolati fino alla tarda primavera ricamati dalle tracce delle lepri; querceti maestosi, il respiro del vento fra le trine delle fronde giovani, lo scricchiolio dei patriarchi secolari.

E acqua: sorgenti tra cuscini di muschio e tappeti di foglie brune.

E animali: proiettili di falchi e richiami di lupi.

Poi fu la natura con l’uomo.

Piccoli paesi arroccati sulle pendici assolate abitati da uomini semplici, capaci di riconoscere l’importanza del soprannaturale che prendevano dalla natura soltanto quello che era necessario, in un rapporto difficile ma equilibrato, animato da un profondo senso di proprietà e di rispetto.

Poi venne la natura abbandonata dall’uomo.

Le cime costellate di ripetitori e tralicci; le pendici segnate dalle ferite indelebili inferte a colpi di ruspa, le sorgenti strozzate, i boschi combusti o rasi al suolo, gli animali uccisi per il gusto di uccidere.

E la natura annacquata, violentata, dispersa.

Poi venne la natura dei sogni-nuovi-dell’uomo.

Venne l’apparente desiderio di riscoprire storie e tradizioni.

Venne l’apparente impegno di trarre insegnamento dal passato per costruire un futuro migliore dove essere e avere fossero in equilibrio in modo stabile e duraturo.

E la natura madre trafitta, sgomenta, sconfitta, stremata, sorprende con sdegno: nella rivolta delle acque, nell’anarchia delle stagioni, nella sua irrefrenabile furia.