Il mio articolo non ha la pretesa di analizzare il Disegno di legge sulla riforma della scuola ,ora all’esame del Parlamento, ma di evidenziarne le palesi incongruenze con l’ottica di chi ha lavorato per anni nel Centro di iniziativa democratica degli insegnanti(CIDI).
Lo sciopero del 5 maggio 2015 è storico per due motivi: ha avuto una massiccia adesione dei docenti e ha visto i Sindacati della Scuola combattere uniti con lo stesso obiettivo: cambiare il testo della riforma Renzi. Mai era accaduta una tale mobilitazione convinta, perlomeno nei miei ricordi di docente che spesso si ritrovava con pochi colleghi ad aderire agli scioperi. Temo che la molla che abbia fatto scattare l’ira degli insegnanti sia stata l’idea del Governo di affidare ai Presidi il ruolo di valutatori e il potere di scegliere i docenti aggravando la situazione esistente fra scuole cosiddette “buone” e quelle indicate come “ cattive”. Il Preside che ha la funzione, ora sempre più sbiadita di coordinatore del lavoro dei docenti e di moderatore dei conflitti esistenti, si trasformerebbe in un super manager, alla Renzi del “tanto decido tutto io”, di fatto annullando il confronto e anche lo scontro, talvolta necessario, per migliorare la quotidianità della scuola. Il rapporto tra preside e docente non può essere quello fra un capo e un sottomesso ma tra due persone che condividono le stesse responsabilità, pur nelle diversità di competenze. A che cosa serve un Preside con super poteri per risolvere i problemi reali ? Forse solo ad ampliare le divergenze tra docenti seguendo le sue personali preferenze e inclinazioni…
IL Presidente Renzi, che non può affermare di non conoscere le difficoltà , dato che ha moglie e suoceri insegnanti ha applicato alla scuola il suo modello di società : vince la corsa chi fa in fretta, chi ha più poteri, il super docente valutato dal super Preside. Ha dimenticato il Presidente l’applicazione degli articoli 3, 33 e 34 della Costituzione, ha dimenticato le vere criticità del processo di insegnamento-apprendimento, ha dimenticato i tagli enormi di circa 8 miliardi subiti in passato ed ancora la diminuzione del personale scolastico e le classi troppo numerose difficili da gestire soprattutto nella primaria ; a tutto questo ha risposto alimentando il ruolo individuale e quello del fai da te , privo di un modello veramente educativo. E’ necessario un progetto di scuola e non la scuola dai mille progetti spesso poco significativi e svolti senza cogliere l’essenziale cioè una progettualità volta al cambiamento. Bisogna sperimentare e ricercare per giungere ad una seria autovalutazione , è necessaria una formazione continua in servizio che sia parte costitutiva della professione insegnante e non solo i 500 euro(ben vengano) per l’aggiornamento personale da spendere come si vuole nel libero mercato della cultura ma che da soli non basteranno mai per comprare libri e per seguire significativi corsi di aggiornamento. Il premio dei 500 euro e quello al “buon docente” che merita sta fuori di un’idea della scuola come comunità educante e potenzia un paradigma diverso in cui domina la dimensione individuale. E’ la scuola di Renzi ma non la buona scuola. La cultura della decisione e il dirigismo non hanno nulla a che vedere con l’idea di formazione . E gli alunni, parola dimenticata da Renzi, ne avranno beneficio? Soprattutto gli ultimi, quelli che abbandonano gli studi, saranno penalizzati ancora di più da queste scelte così divisive. Ne è prova l’opzione di privilegiare i genitori che mandano i figli nelle scuole paritarie , frutto di una visione che non considera la scuola come laboratorio dell’inclusione, che non dà a tutti le stesse opportunità e costringe i genitori delle pubbliche a pagare contributi “volontari” mentre detassa quelli che scelgono le private. In moltissimi Istituti soprattutto nel Nord Italia oggi i genitori finanziano le attività extracurriculari dei figli oppure semplicemente la manutenzione dell’edificio, dal più banale dei sussidi non didattici alla pitturazione delle pareti. L’idea del 5 per mille da donare alla primaria o secondaria del proprio figlio mi sembra un escamotage preoccupante che aggraverebbe il divario tra Nord e Sud , fra istituto e istituto e non risolverebbe i problemi di un ‘Istituzione che ha bisogno di riavere il maltolto da altri Governi.
E i docenti? Sono loro i più motivati , competenti ed entusiasti che corrono il maggiore rischio: quello di chiudersi nelle proprie aule e di non alzare gli occhi dalla loro cattedra per esperire, cogliendo opportunità che migliorano la scuola “vera” e non quella che appare .Queste scelte del Governo spingono i docenti ad amare la propria scuola e solo quella, abbandonando la fatica dell’educazione interculturale e della ricerca , rinunciando a cooperare ai processi che riguardano tutte le istituzioni. Se il dirigente potrà scegliere gli insegnanti in relazione al piano formativo dell’Istituto , la valutazione sarà affidata ad un curricolo e ad un colloquio e non a un piano nazionale e sarà comunque arbitraria. Tot(Quot) capita(homines), tot sententiae.
Dal quadro delineato sembra che questa legge non abbia nessuna possibilità di miglioramento e che non contenga niente di positivo; non è certo così. Rafforzare l’autonomia è importante ma come si può fare se non si investe? Ribadisco che l’impianto è sbagliato: un unico provvedimento per tanti temi complessi, la fretta , il dirigismo, la disattenzione verso il dettato costituzionale e la scuola di tutti e di ciascuno nessuno escluso sono i madornali errori del Governo.
Se lo sguardo fosse rivolto alla dimensione dell’insegnare e dell’apprendere, a modelli culturali innovativi come il curricolo verticale, al valore della cultura e della conoscenza, a intendete l’autonomia come mezzo e non come fine: questo sarebbe l’inizio di una vera riforma della scuola.
Personalmente mi spaventano le parole di Renzi e la sottovalutazione degli studi classici a vantaggio dell’alternanza scuola –lavoro, proposta a ordinamento che non tiene conto dei contesti territoriali. Concludo con l’invito di Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere a studiare il latino e il greco -” …Non si imparava il latino e il greco per parlarli, per fare i camerieri, gli interpreti, i corrispondenti commerciali. Si imparava per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presupposto necessario della civiltà moderna cioè per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente” ( riportato in L’utilità dell’inutile di N. Ordine). Le fondamenta della nostra civiltà sono in queste due lingue antiche , le parole che usiamo quotidianamente sono radicate nel latino e nel greco: un popolo che dimentica le sue radici o se ne allontana nega la sua identità e la sua storia.