www.faronotizie.it - Anno XIX - n. 216 - Aprile

Note a margine

Scritto da Francesco M.T.Tarantino il 1 maggio 2015
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Campo degli ulivi

 Il ben tristemente noto Campo degli Ulivi (Getsemani), nei pressi di Gerusalemme è il luogo dove ebbe compimento, con un bacio, e per trenta denari, il tradimento di Gesù Cristo ad opera di Giuda Iscariota, uno dei suoi dodici discepoli.

Narra il Vangelo di Matteo al cap. 26, verso 36:
“36Allora Gesù andò con loro in un podere chiamato Getsemani e disse ai discepoli: «Sedete qui finché io sia andato là e abbia pregato»  

 L’evangelista Luca nel suo Vangelo al cap. 22, versi 47-48; scrive:
47 Mentre parlava ancora, ecco una folla; e colui che si chiamava Giuda, uno dei dodici, la precedeva, e si avvicinò a Gesù per baciarlo. 48Ma Gesù gli disse: «Giuda, tradisci il Figlio dell’uomo con un bacio?»

Ironia della sorte alla periferia di SanPioburgo c’è un insediamento di mangiaterra, sventratori di montagne, abbattitori di alberi, cementificatori di valli e prati e boschi dove un ulivo te lo puoi solo sognare (tant’è che ne hanno dovuto portare uno loro), che è stato denominato con tanto di indicazione stradale. “Campo degli Ulivi”.

Cosa dire!? Ci sarà un motivo!? Forse non lo sanno neanche loro ma…

Ho voluto riportare i versetti dei vangeli per richiamare alla memoria il luogo del tradimento di Cristo il quale da e per duemila anni viene tradito, deriso sbeffeggiato dai Giuda di turno con una folla pronta a seguirli e il prezzo del tradimento se ieri era trenta denari, oggi è trenta mascalzonate.

Si tradisce la legge, si tradisce il contratto di lavoro, si tradisce la dignità e il rispetto del lavoratore, si tradisce l’ambiente, si tradisce l’etica del lavoro e del vivere civile, si tradisce il popolo, un esercito di povericristi costretti a mendicare un posto di lavoro ricevendo un calcio-in-culo se non appartieni alla loro lobby o parrocchia. Si tradisce l’etica, la politica, il sindacato. Si tradiscono i contribuenti che coi loro soldi finanziano lavori inutili, quanto meno discutibili. Si tradisce l’Italia, il paese dove ognuno ha il diritto di vivere e lavorare dignitosamente e non in subappalti di subappalto. Al di là dell’insegna di un fantasioso nome (chi glielo avrà trovato!?) i lavori li svolgono altre imprese(ntabili). Si tradisce perfino Dio e suo figlio Gesù Cristo.

Effettivamente non c’era nome più appropriato, chissà! Chi ha avuto l’idea, forse è stato ispirato.

Come abbiamo letto Giuda pensava con un bacio di addolcire la pillola che Cristo stava per prendere, ma Gesù lo smascherò senza mezzi termini: Con un bacio tradisci un amico? È quanto di più infame si possa compiere: fottere la gente con raggiri e compromessi! Ci sarà anche per voi un cristo, magari povero ma libero, disposto a morire, non più sulla croce ma in galera, che prima o poi vi smaschererà.  

Concludo con il seguito del Vangelo di Matteo il quale al cap.27, versi 3-4-5; ci racconta:
3 Allora Giuda che l’aveva tradito, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì, e riportò i trenta sicli d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, 4dicendo: «Ho peccato, consegnandovi sangue innocente». Ma essi dissero: «Che c’importa? Pensaci tu». 5Ed egli, buttati i sicli nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi”.  

Non aspetto che qualcuno vada ad impiccarsi, ma sicuramente spero in un ravvedimento, un ripensamento, quanto meno una riflessione perché, come con Giuda, i detentori del potere un giorno gli diranno allo stesso modo: che c’importa?


È dura recalcitrare

Ostinarsi ad affermare la cattolicità del Borgo è veramente penoso, eppure non dovrebbe appartenere agli uomini di cultura l’ostinazione, nel caso di specie poi non dovrebbe appartenere al sociologo visto che una cosa sono le convinzioni intrise di speranza (perché io capisco che il desiderio di un cattolico è che gli altri lo siano),  e un’altra sono i fatti reali che dimostrano l’opposto, ma se uno proprio ci tiene e non osa, per motivi che non sto qui a considerare, andare oltre il suo pensiero basato su niente, mi arrendo, recalcitro io al suo posto lasciandogli la beatitudine di pensarla come vuole.

Ora capisco perché i mafiosi grandi, medi e piccoli sono così devoti e cattolicissimi, tanto che lo sono che perfino i santi e le madonne (le statue) gli fanno l’inchino se si trovano a passare sotto la loro casa con l’approvazione di quelle autorità ecclesiastiche che dietro laute prebende li seppelliscono pure nelle chiese cattoliche con tanto di cappelle e marmi: beati loro! Come abbiamo letto per essere cattolici basta un’adesione così (rinvio ai diversi punti elencati sotto la certezza che il Borgo è sicuramente cattolico, di più: cattolicissimo, alla prossima puntata già annunciata sarà anche sicuramente civile, di più: civilissimo!

Forse è bene vivere con gli occhi chiusi, con le bocche cucite e con le orecchie tappate. Ci si può rifugiare in ciò che non è e si vorrebbe che fosse: vivere quietamente sicuramente allunga la vita.

 

 Le vene aperte dell’America Latina

È il titolo di un grande libro, uscito nel 1971 scritto da Eduardo Galeano, uruguaiano, morto il 13 aprile scorso in un ospedale di Montevideo all’età di 74 anni. Di questo libro, Heinrich Böll, Premio Nobel per la Letteratura 1972, disse: «Negli ultimi anni ho letto poche cose che mi abbiano commosso così tanto».

Hugo Chávez fece dono di questo libro a Barack Obama dicendogli: «Presidente, se vuoi capire qualcosa di America Latina, leggiti questo libro». È lecito dubitare che il Presidente degli States l’abbia mai letto.

Ma torniamo a Galeano: i suoi libri, i reportage, le sue narrazioni sono veramente straordinari di denuncia e di resistenza, una storia in controcanto che ha saputo far parlare chi non aveva voce o non riusciva a farsi ascoltare.

Di lui ha scritto anche Isabel Allende: “Galeano ha percorso l’America Latina ascoltando anche la voce dei reietti oltre che quella di leader e intellettuali. Ha vissuto con indios, contadini, guerriglieri, soldati, artisti e fuorilegge; ha parlato a presidenti, tiranni, martiri, preti, eroi, banditi, madri disperate e pazienti prostitute. Ha patito le febbri tropicali, ha conosciuto la giungla ed è sopravvissuto anche a un grave infarto. È stato perseguitato sia da regimi repressivi, sia da terroristi fanatici. Ha combattuto le dittature militari e tutte le forme di brutalità e sfruttamento correndo rischi impensabili in difesa dei diritti umani. Non ho mai incontrato nessuno che abbia una conoscenza di prima mano dell’America Latina pari alla sua, che adopera per raccontare al mondo i sogni e le disillusioni, le speranze e gli insuccessi della sua gente”.

È giusto che la sua gente lo pianga come l’intero continente perché la sua voce ha dato dignità all’America Latina.

Eduardo Galeano scriveva anche per il manifesto e curava una rubrica dal titolo “Finestre”, in una delle sue Finestre possiamo leggere:


IL LEONE E LA IENA

I poeti e gli artisti del pennello da sempre amano il leone, che vibra negli inni, sventola sulle bandiere e custodisce castelli e città, ma a nessuno è venuto mai in mente di cantare la iena, e neppure di immortalarla su tela o sul bronzo. Il leone dà il nome a santi, papi, imperatori, re e plebei, ma non c’è notizia del fatto che qualcuno si sia mai chiamato o si chiami Iena. Secondo gli studiosi della vita degli animali, il leone è un mammifero carnivoro della famiglia dei felini. Il maschio si dedica a ruggire. Tocca alle femmine procurare il cibo, un menu di zebra o di cervo, mentre il maschio aspetta. Quando arriva il cibo, il maschio si serve per primo. Di quello che avanza mangiano le femmine. E alla fine, se qualcosa rimane ancora nel piatto, mangiano i cuccioli. Se non resta niente, s’arrangiano.   La iena, mammifero carnivoro della famiglia dei canidi, ha altre abitudini. È il signore che porta il cibo, e lui mangia per ultimo, dopo che i cuccioli e le signore si sono servite. Per elogiare diciamo: È un leone. E per insultare: È una iena. Di che cosa ride la iena?  Ride di noi?

 

 25 aprile 2015

Vada per gli altri anni ma questo 25 aprile Festa della Liberazione, a settant’anni esatti, pensavo che almeno un semplice manifesto in piazza a cura dell’Amministrazione Comunale, a costo zero (bastava rivolgersi a qualunque sezione dell’ANPI o della CGIL), l’avrebbe fatto affiggere:

NIENTE!

Certo, non era la festa di Perciavutti, non c’erano le Cantine, non era La Festa del Bocconotto, né La Notte Bianca, tantomeno Ferragosto o San Rocco era semplicemente il settantesimo anniversario della Liberazione dal fascismo, dall’oppressione, dal dominio della Germania nazista e antisemita nonché anticomunista: era la fine della guerra!

Era l’inizio della libertà, quella stessa libertà di essere ignoranti, arroganti, utili idioti ma non per questo perseguitati, imprigionati, uccisi!

PRIMO MAGGIO

 Vedi sopra!