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Il bazooka di Draghi

Scritto da Antonio Masullo il 1 febbraio 2015
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Il 22 gennaio è stata una data storica per la zona euro; dopo un lungo periodo di incertezza e di cupe previsioni sulla sopravvivenza dell’euro è arrivato l’annuncio  sul quale pochi sarebbero stati disposti a scommettere solo qualche settimana fa.

Mario Draghi, il presidente della Banca Centrale Europea, ha  ufficialmente dato il via ad una manovra straordinaria di creazione monetaria di 60 miliardi di euro al mese fino al settembre 2016, mediante l’acquisto di titoli di stato dei paesi aderenti all’euro e di alcune istituzioni europee. In totale  1140 miliardi di nuova liquidità  in 19 mesi;  una quantità molto elevata e superiore alle più rosee previsioni.

L’obiettivo della manovra –  Quantitative Easing (QE) –  termine coniato dalla Federal Reserve  americana che ne ha fatto largo uso, è quello di riportare l’inflazione europea al 2%, invertendo l’attuale  trend dei prezzi che sta pericolosamente scivolando  nella deflazione, l’anticamera della depressione economica.

Nel terzo trimestre del 2014  il PIL reale dell’eurozona è cresciuto solo dello 0,2% e la disoccupazione, già elevata, ha continuato ad aumentare; non si poteva più aspettare, nonostante i mal di pancia delle autorità tedesche per le quali la bassa inflazione dipende quasi esclusivamente dal forte calo del petrolio!

Se nel settembre 2016 l’obiettivo non sarà stato raggiunto il programma potrà continuare; pertanto tutta l’operazione non ha un tetto sia per quanto riguarda l’ammontare complessivo e sia per la sua durata temporale.

Questa manovra può essere paragonata al famoso  “ costi quel che costi” che il presidente della BCE  pronunciò  3 anni fa allorquando comunicò la sua volontà di intraprendere  qualsiasi iniziativa  a difesa dell’euro; grazie a questa energica dichiarazione  Draghi fece si sgonfiare la pericolosa spirale rialzista degli “ spreads”  sui titoli di stato dei paesi  in difficoltà fra i quali soprattutto il nostro!

Per  ammorbidire l’ostruzionismo tedesco Draghi ha dovuto però pagare un prezzo politico : la ridotta “mutualizzazione” del rischio (risk sharing) insito nei titoli di stato oggetto del programma di acquisti.

La BCE si fa carico solo del 20% di questo rischio il resto  è accollata alle banche centrali dei paesi della zona euro, ciascuna per i titoli di propria pertinenza .

La soluzione ottimale sarebbe stata condividere il rischio ponendolo  tutto a carico  della BCE, in tal modo il carattere definitivo e permanente dell’unione monetaria sarebbe  stato ribadito in modo inequivocabile, ma finché le politiche fiscali e di bilancio dei paesi euro saranno separate non sarà possibile avere una politica monetaria e un sistema finanziario realmente integrati.

Bisogna riconoscere, tuttavia, che Il Risk Sharing, a prescindere da considerazioni esclusivamente  politiche, non è fondamentale per il successo dell’operazione in quanto  l’ipotesi di default sui titoli di stato da parte di un paese è ritenuto molto poco probabile e, pertanto, si tratta solo di un contentino per i tedeschi, olandesi e lussemburghesi.

In definitiva i mercati avevano bisogno di una sferzata, anche psicologica, e l’annuncio del QE europeo gliel’ha fornita!

Un effetto positivo  si è già concretizzato fin dai giorni precedenti all’annuncio del QE : l’euro  ha consolidato il trend discendente nei confronti del dollaro e della altre principali valute e le ricadute positive sul nostro export non dovrebbero tardare a manifestarsi; a questo punto parlare di parità fra euro e dollaro non è poi così fantasioso…

Inoltre dovrebbe continuare la riduzione dei tassi di interesse, che già sono a livelli storicamente minimi,  e ciò favorirà soprattutto i paesi con elevato debito pubblico ( ogni anno  il nostro bilancio  subisce una emorragia di 70 – 80 miliardi di euro per il pagamento degli interessi); ancora : le cedole che saranno incassate dalla Banca d’Italia sui titoli acquistati rientreranno, come dividendi, nel bilancio pubblico ( 6 miliardi di euro circa fino a settembre 2016)  riducendo di fatto il nostro pesante onere per interessi sul debito!

Si rilevano comunque anche potenziali criticità. Il QE della BCE è stato attivato, forse, troppo tardi; negli USA, dove oggi la ripresa economica si è finalmente consolidata,  la FED iniziò il suo programma di acquisti subito dopo lo scoppio della crisi nel 2008, quando i tassi erano più alti di quelli attuali nella zona euro, e per importi di gran lunga maggiori di quelli annunciati da Draghi.

Bisogna considerare, inoltre, che le  economie e i mercati finanziari USA e europei sono difficilmente comparabili; negli Stati Uniti l’immissione della nuova  liquidità da parte della FED è arrivata in modo quasi diretto al mercato, mentre in Europa, caratterizzata da un sistema “bancocentrico”, il canale di trasmissione della liquidità è soprattutto quello bancario, quindi sono le banche  che decidono se e come allentare le maglie del credito ( e in Italia questa peculiarità è ancora più marcata).

Draghi, a questo punto, ha fatto tutto quello che poteva fare, utilizzando gli strumenti convenzionali e non a sua disposizione. Il raggiungimento dell’obiettivo di una inflazione al 2%  ha una  fondamentale importanza, ma resta pur sempre un obiettivo strumentale  di breve termine al quale, per uscire dalla stagnazione economica e abbattere la disoccupazione, devono affiancarsi le riforme strutturali di lungo periodo  finalizzate  all’aumento dell’efficienza dell’economia e  della  pubblica amministrazione

Il bazooka di Draghi presto inizierà a sparare, ora sono  i governi che devono passare all’attacco!