www.faronotizie.it - Anno XIX - n. 215 - Marzo

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E se le belle principesse delle fiabe, d’un tratto, si rivelassero crudeli torturatrici delle loro brutte sorellastre?

E se, passeggiando fra i pennuti delle fiabe di tutti i tempi, d’improvviso, i brutti anatroccoli si dimostrassero orgogliosi di non somigliare ai loro ordinari perfetti fratelli?

Pare che le antiche fiabe siano passate di moda, che si siano evolute con noi, in un’epoca che viene narrata come quella del progresso.

Eppure, le immagini televisive e quelle ormai intrufolatosi nella corrente mentalità collettiva, sono meno all’avanguardia di quanto si possa pensare.

Giovani e prestanti premier ancora stupiscono, proclamando utopie di nazioni libere e ricche;

quelle del mulino bianco sono ancora famiglie dalle quali non ci aspetta altro che sorrisi e propositi luminosi.

E così i cattivi brutti restano da una parte, i belli buoni dall’altra, ai margini delle storie gli uni degli altri, in un cerimoniale di scontati bianco e nero.

Potrebbe essere che, invece, l’avanguardia nasca nel non aspettarsi necessariamente dalle cose che si rivelino sempre come appaiono.

Chi ci assicura che la Penelope omerica attendesse con amorevole nostalgia il suo adorato Ulisse?

Monterroso parodisticamente racconta che, probabilmente, lei iniziava a tessere affinchè, lui, sfinito, andasse via di casa. Così da poter civettare con i suoi pretendenti. E non che lei tessesse sperando che Ulisse vi facesse ritorno.

Ma un Omero un tantino assonnato non poteva prestare attenzione a certi dettagli.

Dunque, chi dice che vada necessariamente seguita questa istituzionale divisione fra bene e male, bello e brutto? Che i cattivi, forse, non siano altro che inermi capri espiatori e i buoni, dal canto loro, perennemente impuniti carnefici, travestiti da principesse?

E così l’incanto svanisce e si torna alla realtà: che è una fiaba, più lunga, magari letta da un bel principe, ubriaco.