FARONOTIZIE.IT  - Anno II - n° 15,  Giugno 2007

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Direttore responsabile Giorgio Rinaldi

 

COMA PROFONDO

Editoriale del Direttore,  Giorgio Rinaldi

Abusiamo di un’espressione abusata: la giustizia italiana è in coma.

Ma, in Italia gli abusi passano nell’indifferenza più totale, tanta oramai è l’assuefazione delle persone ad un andazzo che definire scandaloso è solo un doveroso e compassionevole  eufemismo.

In un paese senza giustizia, gli abitanti sono più prossimi al branco che alla nazione, per l’inevitabile declino alla stato animalesco che certo può fare a meno di ogni civiltà.

In un Paese che è stato la culla del Diritto, faro di civiltà in tutto il Mondo, assistiamo –inerti- alla rivincita della barbarie.

Il vigente modello di giustizia civile, per esempio, è stato concepito in -e per- un tempo dove i trasporti erano affidati alle carrozze, gli avvocati erano dei parenti prossimi del manzoniano Azzeccagarbugli, i magistrati si collocavano tra i Beati e i Santi e i Tribunali erano pressoché luoghi di culto dove bisognava bardarsi di nere toghe (a più alti livelli di potere: rosse e con la pelliccia di ermellino) per le consuete e relative liturgie.

Il Malcapitato che si rivolgeva ad uno di questi luoghi sacri per avere ragione delle proprie ragioni, era considerato solo un elemento accessorio, ma necessario, sulla testa del quale altri disquisivano con incomprensibili “latinorum”.

Pensate che oggi qualcosa sia cambiato?

Non illudetevi!

I meccanismi che regolavano la macchina della giustizia sono sempre quelli, sempre gli stessi.

Centinaia di migliaia di cause, che inutilmente intasano i tribunali, potrebbero essere risolte in poche settimane, tanta è la ovvia semplicità delle questioni di cui si contende.

Solo qualche esempio: la stragrande maggioranza delle cause riguarda i risarcimento danni da sinistri stradali.

La stragrande maggioranza di questi riguarda la quantificazione del danno o banali interpretazioni del codice della strada per quanto a responsabilità: c’è bisogno di mettere in moto un complesso e costoso procedimento giudiziario per risolvere questioni dove basta una banale perizia per stabilire il prezzo di un parafango o il danno permanente alla cervicale o la responsabilità in un tamponamento?

Per non dire delle cause che si trascinano per anni e anni per poi essere definite con una sentenza che ti dice che non era competente a decidere quel giudice ma un altro, e quindi devi ricominciare tutto dall’inizio.

Non sarebbe  più ovvio ed elementare che la questione, nei rarissimi casi in cui non fosse chiara (cosa che ad oggi non è) venisse risolta immediatamente “in limine litis”, cioè all’inizio della causa?

Questi, ovviamente, solo alcuni piccolissimi esempi di una situazione che, purtroppo, trabocca di incongruenze ed inefficienze.

Una cause civile, che mediamente dura una decina di anni a causa di inutili rinvii tra un’udienza e l’altra  di dodici, ventiquattro o più mesi, potrà mai assicurare giustizia alle parti in causa, vittoriose o meno che siano?

Certo che no, ma le riforme o non si fanno o si fanno solo per aggravare lo stato delle cose, come quelle riforme che hanno previsto un diverso tipo di rito per fare una data causa e che non hanno fatto altro che aggiungere confusione a confusione (oggi abbiamo ben 37 riti alternativi diversi!); oppure, la neonata riforma fallimentare (per la quale è già in cantiere una nuova riforma!) che premia oltre ogni più spudorata previsione gli imprenditori delinquenti a danno dei malcapitati loro onesti clienti!

E, le così dette beghe condominiali?

Altro filone di cause che va a contribuire all’ ingolfamento giudiziario.

Invece di creare “un codice del condominio”, il legislatore ha lasciato che quella trentina di articoli, che inizialmente regolavano la materia, diventassero invece l’innesco per furibondi litigi tra chi, in un Paese dove quattro persone in pizzeria non si trovano d’accordo neanche nella scelta della pizza, ha la forzosa comproprietà della cosa comune.

Eppure, ci sono riforme a costo zero, di cui non v’è necessità di alcuno scienziato del diritto per essere attuate, perché il meccanismo funzioni e perché venga assicurato che in uno stesso tribunale, per uguali questioni, non vi siano decisioni diverse.

Per esempio: gli inquilini di uno stesso stabile sfrattati dallo stesso locatore che, a seconda del giudice che tratta la causa, hanno -in identica situazione processuale- provvedimenti differenti; oppure, più violazioni amministrative commesse da una persona in giorni diversi  per medesime infrazioni, che vengono diversamente decise da giudici diversi   appartenenti allo stesso ufficio.

E, la giustizia amministrativa?

Concepita per tutti i contenziosi tra cittadini e pubblica amministrazione e tra pubbliche amministrazioni stesse, è diventata una sorta di elitario buco nero dove tutte le cause si concludono di fatto alla cosiddetta udienza di decisione sulla sospensiva.

Cioè a dire, se l’atto della pubblica amministrazione che per legge è immediatamente esecutivo, non viene sospeso dal TAR in attesa di una decisione sul merito della vicenda, la causa si può ritenere definita, perché il merito sarà affrontato dai giudici amministrativi solo dopo qualche decina di anni.

Intanto, quella strada sarà stata fatta, quella casa non sarà stata costruita, e via di questo passo.

Però, il legislatore pensò bene di far lavorare i giudici amministrativi demandando loro decisioni sui provvedimenti di espulsione di clandestini: vi lascio immaginare quanto ad un clandestino avrebbe potuto interessare la costosa decisione di un collegio di giudici della Repubblica Italiana.

Questione oggi demandata ai Giudici di Pace, residuando, a miglior confusione, ai giudici amministrativi le decisioni sui dinieghi di rinnovo dei permessi di soggiorno! 

Ma, la perla delle perle è la giustizia penale italiana.

La gioia dei malfattori!

Giova premettere, che il sistema processuale penale tutto considera fuorché le vittime dei reati: hai avuto la sfortuna di essere oggetto delle attenzioni di un delinquente?

Peggio per te!

L’Italia è il Paese di Bengodi per i criminali.

Difficilmente li beccano, e se proprio li scoprono, tra primo e secondo grado di giudizio, cassazione, giudice di sorveglianza e quant’altro, una eventuale condanna difficilmente sarà scontata, se mai sarà scontata, per intero.

In Italia non c’è la certezza della pena, come nei ristoranti non c’è certezza del conto finale.

Solo che nel primo caso sarà sicuramente inferiore al quel che la legge prevede, nell’altro sarà certamente superiore all’approssimazione del menù!

Se il delinquente è straniero, non trova Paese migliore per scorazzarci.

Questo è un Paese totalmente incapace di assicurare protezione ai suoi cittadini, incapace di dotarsi di un minimo di leggi degne di questo nome per combattere la criminalità, anzi dove la maggior parte delle energie sono spese a trovare soluzioni (indulti, etc…) che possano premiare chi delinque.

Basti per tutti il caso del pregiudicato onorevole Previti: due condanne passate ingiudicato ma evita la galera per una legge fatta apposta per lui dal governo del suo amico, che l’aveva nominato anche ministro, onorevole cavalier Berlusconi.

Previti, ancora oggi, sedie ancora in parlamento perché la giunta degli onorevoli componenti a decidere sulla sua decadenza non trova il tempo, e ogni tanto non ha il numero legale, per decretarne l’espulsione, lasciando così l’onorevole pregiudicato nella condizione di continuare a percepire, a spese di noi tutti, stipendi, prebende, privilegi vari e maturare maggiori importi per la sua rendita vitalizia, in barba a chi invece non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena!

In Italia, la legge penale sfiora spesso il comico, l’assurdo, il paradossale, la follia.

Gli stranieri non riescono a capacitarsi, figuriamoci gli italiani: nel nostro Paese un delinquente può dichiararsi colpevole, patteggiare o godere una ridottissima pena che, in genere, non sconterà mai e poi…impugnare la sentenza!!!

Si, perché la pena che ha patteggiato, cioè quella frutto di un accordo con il magistrato dell’accusa e con la benedizione e il suggello del giudice che avrebbe dovuto giudicarlo, non gli sta bene e vuole che un altro giudice gliela cambi, farà ricorso in cassazione, e così, in attesa di supreme decisioni, o per chi ha scelto il “rito abbreviato” prima la decisione  in appello e poi quella della cassazione, passerà tanto di quel tempo che un indulto, un’amnistia, una prescrizione, prima o poi arriverà… e tutto si azzererà !

Ma, che razza di Paese è mai questo, dove non esiste la certezza del diritto, dove tutto è suscettibile di essere modificato a piacere ?

Solo, però, se non si è sfigati.

Se lo si è, allora il meccanismo della legge sarà spietato e ti stritolerà (andare con la memoria al “caso Enzo Tortora” è d’obbligo).

E, pensate, a parte la pletora dei nostri legislatori (tra nazionali e regionali un migliaio), un numero enorme di esperti, consulenti, cultori etc., sono lì, con compensi da favola, a coadiuvare il distratto legislatore nel suo lavoro preparando testi di leggi e leggine.

Visti i risultati, non ci si può non chiedere, però, in che cosa siano veramente esperti gli esperti.

I giudici, gli avvocati e i conoscitori del diritto che affollano Parlamento e Ministero della Giustizia, avranno mai messo piede in un Tribunale ?

Avranno mai seguito l’iter di una causa ?

La risposta al lettore, assicurandogli che la faremo nostra… qualunque essa sia!

Però, è d’obbligo dirlo, abbiamo anche organismi che funzionano e sono il nostro fiore all’occhiello: il Tribunale delle Acque Pubbliche, il Commissariato per la liquidazione degli Usi Civici, il Tribunale Supremo Militare.

I più ne ignorano l’esistenza.

Alla domanda: a che servono. la risposta è facile: non servono praticamente a nulla.

Ma, hanno sedi, cancellerie, segreterie, auto di rappresentanza, vetture di servizio, personale, fotocopiatori, telefoni e chi più ne ha, più ne metta, con gli immaginabili stratosferici costi per la collettività.

Mentre nei Tribunali ordinari manca, addirittura, la carta per stendere i verbali di causa.

Senza la buona volontà di alcuni tra giudici, personale di cancelleria e  avvocati, la macchina giustizia si fermerebbe nel giro di 24 ore, con immani e nefaste conseguenze per tutti.

Non v’è bisogno di alcun professore universitario perché vengano introdotte norme per far si che uno straniero, se commette una violazione al codice della strada, sia costretto a pagarne la sanzione, invece di garantirne l’impunità.

Solo dopo anni e anni gli scienziati del ministero si sono accorti che negli altri paesi, senza i contanti o la carta di credito per pagare la levata sanzione dopo una violazione al codice della strada, ti sequestravano la macchina, e così hanno introdotto –finalmente- la stessa norma in Italia.

Molte brutture e storture del sistema sono davanti agli occhi di tutti, così come molte ovvie soluzioni.

Eppure, nulla si fa.

Perché ?

VOTA ANTONIO LA TRIPPA

di  Giorgio Rinaldi

La tornata elettorale si è conclusa.

Anche in questa occasione gli interessi di bottega di molti hanno prevalso su una sana competizione che avrebbe dovuto, invece, farla da padrone, mettendo al primo posto lo spirito di servizio e l’amore per il bene comune.

A Mormanno i conti non sono tornati, e neanche i marchesi.

Sulla carta, ciascuna delle due liste contrapposte avrebbe dovuto stravincere, mentre le somme finali danno importi deficitari.

Complessivamente, però, è andata bene così.

Il Sindaco entrante, unico caso al mondo di interista appoggiato da torme di juventini, si è battuto bene.

E’ un uomo con pochi grilli per la testa ed è innamorato del suo paese.

Si può certo ritenere che saprà fare bene il suo lavoro, con onestà e necessaria abnegazione.

Molte saranno le sirene che “amichevolmente” gli diranno cosa dovrà fare.

E’ in queste occasioni che ciascuno di noi può provare, specialmente a se stesso, quanto si sia Don Abbondio e quanto Frà Cristofaro.

Guglielmo sa, dovrebbe sapere, o saprà,  che avrà come compagni di viaggio alcuni personaggi, sia in loco, sia nelle più “alte sfere”, il cui unico ideale politico è rappresentato dal proprio già pingue conto in banca, che potrà lievitare grazie a qualche interessata alchimia di potere.

Guglielmo sa, dovrebbe sapere, o saprà, come dovrà regolarsi, perché alla fine la gente si ricorderà solo di lui, di quello che di buono o meno avrà fatto.

Auguri di buon lavoro !

Onore delle armi a Gianluca, che come nei film degli anni ’60 si è battuto “solo contro tutti”.

Questa volta, però, qualcuno gli ha scaricato la pistola e lui non l’ha controllata.

Il suo limite, forse, è stato quello di fare una vecchia politica, di seguire sentieri che appartengono al passato.

La sua voglia di politica e la sua dedizione potranno, però, trovare altre idonee collocazioni.

La politica non è fatta solo di poltrone pubbliche.

Anzi.

Anche a lui gli auguri di un buon lavoro di opposizione, di stretto controllo dell’altrui operato, in modo implacabile ma leale.

Alla lunga, il suo encomiabile entusiasmo troverà il giusto premio.

Ora che gli echi della gara  sono scomparsi, è preminente riflettere sul che fare per questo paese che  si sta lentamente spegnendo, sul che fare per fermarne questo processo.

E’ l’ora di tirarsi su le maniche, di ridare un po’ di lustro a Mormanno e speranze ai suoi abitanti.

MORMANNO: elezioni  amministrative del 27 e 28 maggio 2007

di Nicola Perrelli                   

Dopo alcune settimane di campagna elettorale siamo giunti al dunque. Nelle giornate di domenica 27  e lunedì 28 maggio, calda e soleggiata la prima, piovosa ed eccezionalmente fredda in serata la seconda, gli elettori di Mormanno, in massa come da tradizione, si sono recati alle urne per assegnare la “poltrona” di sindaco, occupata in questi ultimi   cinque anni da Gianluca Grisolia.

Due in questa tornata i candidati a sindaco. Da un lato l’ uscente Grisolia, il quale convinto del buon lavoro fatto si è ripresentato agli elettori appoggiato dalla Lista n. 2 “L’alternativa del buon governo”. Dall’altro  il consigliere uscente  Guglielmo Armentano, il quale soddisfatto dell’opposizione propositiva fatta dai banchi della minoranza e forte di una ampia coalizione si è presentato al giudizio dei votanti sostenuto dalla Lista n. 1 “ Insieme verso il futuro”. 

La campagna elettorale che ne è seguita, a parte qualche  occasionale sfogo rabbioso, è stata insolitamente pacata e misurata. Verrà sicuramente  ricordata per l’assenza di accese polemiche tra i due candidati a sindaco. Evidentemente perché si è capito che è meglio argomentare i programmi e renderli credibili ai cittadini che scagliarsi  in vicendevoli critiche e accuse.

Dopo i comizi, le riunioni, gli incontri e la valutazione dei candidati, il momento decisivo, quello più delicato, è arrivato, nelle urne gli elettori hanno espresso liberamente la propria volontà.

Lo spoglio delle schede si è svolto naturalmente in un clima di palpabile tensione. I dati attribuivano margini troppo risicati. I due contendenti, come leoni in gabbia, si muovevano nervosamente avanti ed indietro per le sezioni.  E’ stato fino alla fine un testa a testa mozzafiato.

A scrutinio finito, intorno alle 21,00, è  Guglielmo Armentano il nuovo sindaco di Mormanno.

Eppure la sua era stata una candidatura sofferta, suggerita dal suo partito, il PDM, ad una coalizione un po’ perplessa, ma alla fine l’appello all’unità ha funzionato e Guglielmo Armentano ha conquistato il Comune di Mormanno.

Licenzia cosi un’amministrazione di centro-destra guidata  da Gianluca Grisolia che cinque anni fa si era imposta facendo leva sulla debolezza degli avversari e creando un vero e proprio caso in un paese tradizionalmente di sinistra.

Assai emozionato, il neo-sindaco ha espresso tutta la sua soddisfazione per il risultato conseguito e ha ringraziato i cittadini per la fiducia che gli hanno accordato.

La folla dei sostenitori e simpatizzanti  ha quindi lasciato la sede elettorale formando un lungo corteo di auto che a clacson spiegati ha raggiunto  piazza Umberto, dove per la pioggia sferzante i festeggiamenti  non sono però potuti proseguire. 

E ora la parola ai numeri: 

LISTA

VOTI

%

n. 1 Uniti verso il futuro

1.258

52,37

n. 2 L’alternativa del buon governo

1.144

47,63

Totale voti validi

2.402

100

Schede BIANCHE

28

1,11

Schede NULLE

82

3,26

Totale votanti

2.512

 

Voti di preferenza ottenuti dai singoli candidati

LISTA N. 1

N.

CANDIDATO

PREFERENZE

1

VINCENZO BARLETTA

125

2

NICOLA ALBERTI

83

3

RAFFAELE APOLLARO

61

4

LUIGI BLOISE

82

5

CARMINE BLOTTA

98

6

GIUSEPPE D’ALESSANDRO

80

7

ROCCO DE LUCA

65

8

AMALIA FORTUNATO

105

9

LUIGI GALIZIA

42

10

ANGELA MARADEI

49

11

GIANLUCA MARSIGLIA

73

12

ANTONIO PERRONE

28

13

DOMENICO PERRONE

35

14

NICOLA ROTONDARO

94

15

GIUSEPPE SOLA

58

16

GERARDO ZACCARIA

98

 

TOTALE

1.176

LISTA N. 2

N.

CANDIDATO

PREFERENZE

1

LUIGI AIELLO

167

2

FRANCESCO ARMENTANO

43

3

GIUSEPPE ARMENTANO

68

4

ROBERTO BLOTTA

48

5

LUANA CANTISANI

91

6

LUIGI COSENZA

43

7

GENNARO DE FRANCO

16

8

ANTONIO DE GIROLAMO

44

9

ANTONELLA FORTE

95

10

ANTONIO PAOLINO

28

11

FRANCO PAPA

29

12

MARIO PAPA

24

13

ANTONIO PERRONE

42

14

ROSSELLA ROTONDARO

50

15

ROMANO RUSSO

30

16

GIUSEPPE SOLA

66

 

TOTALE

844

I componenti del nuovo Consiglio Comunale

CONSIGLIERE

Lista abbinata

1

VINCENZO BARLETTA

n.  1

2

NICOLA ALBERTI

n.  1

3

RAFFAELE APOLLARO

n.  1

4

LUIGI BLOISE

n.  1

5

CARMINE BLOTTA

n.  1

6

GIUSEPPE D’ALESSANDRO

n.  1

7

ROCCO DE LUCA

n.  1

8

AMALIA FORTUNATO

n.  1

9

GIANLUCA MARSIGLIA

n.  1

10

NICOLA ROTONDARO

n.  1

11

GERARDO ZACCARIA

n.  1

12

GIANLUCA GRISOLIA

n.  2

13

LUIGI AIELLO

n.  2

14

LUANA CANTIANI

n.  2

15

GIUSEPPE ARMENTANO

n.  2

16

ANTONELLA FORTE

n.  2

Alla nuova amministrazione di Mormanno, che nella sua compagine annovera inaspettatamente una sola donna, alla minoranza e al  Sindaco Guglielmo Armentano la redazione di FARONOTIZIE.it augura  buon lavoro.

HABEMUS SINDACUM...!!

di Francesco Aronne

Il dado, già tratto, ritorna nel suo bussolotto. Il sipario è calato sulle elezioni amministrative con l’atteso, ed oramai noto, verdetto scaturito dalla avvincente lotta svoltasi nell’arena: Mormanno ha cambiato pagina e con la pagina il sindaco. La disputa si è conclusa con la vittoria della lista n° 1 che ha dato l’assalto al palazzo. Il tenace arroccamento in difesa delle posizioni accerchiate dalle preponderanti forze avversarie si è concluso solo con la resa nell’urna del sindaco uscente. Auguri al vincitore, onore al vinto.

Dopo le immancabili tensioni, fibrillazioni e timori tipiche di ogni campagna elettorale gli animi esacerbati lentamente tornano alle ordinarie occupazioni.

Qualche considerazione, come sempre del tutto personale, per i nostri lettori lontani vogliamo comunque farla, prescinderemo da ogni collegamento con quanto e accaduto contestualmente nella nazione. Lasciamo ad altri le valutazioni di carattere politico più generale.

La campagna elettorale è stata caratterizzata da alcuni aspetti pubblici ed altri del tutto sotterranei.

Prima di tutto abbiamo assistito ad indecorose passerelle di politici professionisti e di alto profilo portati da entrambi gli schieramenti che hanno dato ampio saggio di quale sia il miserando stato dell’arte di questi figuri, ai giorni nostri… Da chi ha preso Mormanno per Morano a chi ha dato ardita prova di arguta capacità visiva leggendo (male) la lapide di Donadio… Abbiamo appreso che ci è toccato il privilegio di avere l’unico candidato a sindaco del PDM in Calabria (il partito del presidente Loiero, che però, e per fortuna, ci ha omaggiato della sua assenza). C’è chi, senza alcun pudore e vergogna per lo stato in cui versa la nostra regione e per la carica istituzionale occupata, ha fatto la lezione su come si scippa il voto al cittadino, su come la casta dei politici di professione vada tutelata ed altre corbellerie di simile portata…  Fortemente stimolata l’aspirazione alla mutazione della collocazione geografica del nostro periferico contado. A sentire parlare questi autorevoli oratori e chiudendo gli occhi si poteva benissimo pensare di essere in qualche campagna elettorale di anni fa, che ne so, magari una a caso, quella del 1956…

Di comizio in comizio si è giunti all’ultima sera, la decisiva. Dopo i comizi di riscaldamento e la pausa predigestiva, abbiamo assistito a due linee di condotta: hanno esordito gli assedianti, i cui toni aspri e minacciosi erano udibili da Laino Castello…si sa il popolo vuole il sangue ed il copione è stato rispettato. D’altro parere l’assediato che ha addotto le sue argomentazioni con toni decisi ma a volume più urbano (deludendo probabilmente i suoi stessi sostenitori, che né più, né meno degli antagonisti avrebbero preferito anche loro il sangue a fiotti).

Nota stonata, alla fine del comizio degli assedianti l’abbandono, in corteo, della piazza. Civiltà vuole che l’avversario (in un pubblico duello da cui dovrà scaturire il futuro sindaco del borgo) venga comunque rispettato, e che le argomentazioni addotte siano comunque oggetto di attenzione, se non altro per efficacia e qualità di critica. Ciò anche per lezione di civismo ad un nugolo di giovani beoti messi a trastullarsi tra fischi e lazzi che se interrogati sul perché fischiassero quello che in quel momento era il primo cittadino, avrebbero di certo risposto che non sapevano che ora era.

Guardando frettolosamente i risultati appare al primo colpo d’occhio evidente che, paradossalmente, una guerra fratricida all’ultimo voto è avvenuta all’ombra del vessillo arcobalenaceo della pace.

Per il meccanismo elettorale che la preferenza ha comunque dato il voto alla lista, le maggiori energie profuse dai candidati assedianti, spinti anche dalla necessità di dare consistenza nella coalizione alla forza politica di appartenenza, hanno sortito il miglior risultato finale. 1.167 preferenze espresse dagli assedianti, 884 dagli assediati e di contro 82 voti di lista dai primi, 260 dai secondi. Pur facendo le opportune considerazioni, in buona sostanza appare evidente che la lista vincitrice guadagna rispetto al 2002 appena 19 voti. La lista soccombente perde rispetto allo stessa competizione ben 240 voti. Ultimo dato da valorizzare è che rispetto al 2002 ben 203 elettori hanno disertato i seggi. Non abbiamo, né la capacità, né il tempo, né interesse a fare le analisi dei flussi. Affidiamo questo arduo compito, con forti dubbi sulla bontà dei metodi applicati, ai ragionieri elettorali, a quanti hanno fatto gli improbabili elenchi dei propri elettori, a quanti di una parte e dell’altra, si illudono che tutte le coscienze possano essere controllate e manipolate. La campagna elettorale è finita, in molti (e come sempre anche tanti tra quanti hanno votato all’altra sponda) aspettano la festa che comincerà a spegnere i riflettori sull’atteso e già trascorso evento. Auspichiamo tutti che almeno una piccola parte di quanto detto e sentito acquisti concretezza. In fondo non credo che nessuno possa, con coscienza, non desiderare il bene di Mormanno… A chi sarà al timone, e a chi anche senza governo sarà comunque sulla nave, riproponiamo gli auguri e ricordiamo che gran parte del futuro del nostro pio borgo è riposto nel loro operato. Auguri Mormanno!

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RINGRAZIAMENTO

E’ doveroso un ringraziamento a quanti in questa campagna elettorale hanno letto il precedente francobollo, a quanti hanno così scoperto che c’è (da oltre un anno) www.faronotizie.it, a quanti ne hanno colto i contenuti manifestandomi tangibilmente il loro apprezzamento, ma anche a tutti i detrattori che comunque nel dileggio ne hanno ampliata l’eco e aumentato di fatto  la diffusione.

Un ringraziamento particolare va ai candidati che dal palco mi hanno dedicato consigli e suggerimenti forse ingenuamente immaginandomi candidato nella lista avversaria. A chi pensa che invece che scrivere su internet è meglio parlare da un palco, ricordo che internet è un palco ben più grande di quello in piazza. Quanto scritto resta, le parole a volte non vanno al di là dello spostamento di qualche molecola d’aria.  Invito costoro a scrivere cosicché potremo tutti leggere e meditare su quel che hanno da dire. Non sarà così necessario aspettare 5 anni per avere la prossima opinione. A chi desideroso di sviluppare occupazione suggerisco, di fare qualche cooperativa di bagnini per la erigenda piscina dell’ospedale. Ci sia data la soddisfazione di vedere qualche politico godere delle agevolazioni di legge che pur ci sono, ed intraprendere qualche iniziativa che dia a lui meritati profitti ed al borgo qualche posto di lavoro finalmente privato.

Al tribuno  solitario e triste migrato dal suo mondo e naufragato su un palco di estranei, probabilmente irritato da deprecabili ma comprensibili epiteti di suoi ex compagni d’arme, che ha visto più mani al posto di due mani dico che è solo un problema d’oculistica che da valente professionista qual è dovrebbe saper bene come correggere; se si vede solo due piedi al posto di quattro dico che è solo un problema d’oculistica che da valente professionista qual è dovrebbe saper bene come correggere; se un vicesindaco ci mette più di quattro anni e mezzo per vedere quello che accade al comune è solo un problema d’oculistica che da valente professionista qual è avrebbe dovuto saper bene ed a tempo debito, come lestamente ed efficacemente correggere.

Inevitabile la constatazione del fascino del ritorno alla casa del padre: c’è chi è partito da piccolo socialista per diventare (a suo modo) grande e nefasto ideologo e chi ebbro e sazio di tale ideologia vuole percorrerne il decadente cammino a ritroso.

Ogni travaglio intellettuale merita rispetto ma nessuna indulgenza per le offese gratuite e fuori ogni luogo. E’ ora chiaro chi sono quelli che dalla sera di lunedì 28 maggio, sono a forte rischio depressione. Ne hanno valide ragioni. Invitiamo chi ha visto in anticipo quanto sarebbe accaduto, avendoli accettati tra le proprie braccia, a prendersene misericordiosa cura.

A chi mi ha chiesto perché ancora il francobollo ho risposto che il  ritorno è stato stimolato dalla constatazione della nuova efficiente emissione filatelica per la posta prioritaria: francobollo autoadesivo che NON SI LECCA PIU’! Sono convinto che le libera manifestazione delle opinioni sia un diritto di tutti, che la libertà di stampa è una conquista pagata caro prezzo. Mi verrebbe da dire “più il dito indica la luna più gli sciocchi guardano il dito” ma è stato già detto….

IL TORMENTONE  TFR

di Nicola Perrelli

E’ ormai noto a tutti  che la previdenza obbligatoria, leggi INPS, batte cassa. Alla base del crescente deficit:  la spropositata spesa pensionistica e l’aumento della vita media della popolazione.  Per la prevedibile erosione  delle future prestazioni, come contromisura si è pensato bene  di affiancare alla previdenza pubblica anche forme obbligatorie di previdenza privata, da alimentare con le quote del TFR. Pertanto dal 1° gennaio al 30 giugno 2007 oltre 11 milioni di lavoratori del settore privato dovranno decidere a chi affidare la propria liquidazione maturanda.  

In attesa del 30 giugno, quando si dovrà decidere che fare del proprio TFR maturando, è arrivata in questi giorni l’informativa sulla forma complementare che scatterà in caso di silenzio-assenso.

L’informativa , che tutte le aziende hanno dovuto inviare  ai dipendenti che alla data del 31 maggio non hanno ancora manifestato la propria volontà riguardo alla destinazione del TFR, consiste in una comunicazione dettagliata su quello che accadrà il 30 giugno. Data entro la quale i lavoratori dipendenti devono decidere se far confluire o meno il TFR  maturando alla previdenza complementare. Le informazioni contenute nell’informativa  fanno chiarezza su una serie di questioni. Innanzitutto indicano quale contratto collettivo viene applicato nell’azienda, poi precisano sé è operativo un fondo di categoria, indicandone il nome, nel qual  confluiranno le quote di liquidazione maturande di tutti coloro che sceglieranno l’opzione del silenzio-assenso al 30 giugno.

Tenuto conto che molte  categorie di lavoratori non hanno un fondo dedicato, perché ancora non ha ottenuto l’autorizzazione o addirittura non è stato costituito, nell’informativa  il datore di lavoro è tenuto ad indicare la presenza di un eventuale accordo collettivo tra azienda e sindacato che preveda la destinazione del TFR ad un altro fondo complementare.  In mancanza dell’accordo il TFR sarà versato nel FondInps, il fondo di previdenza complementare gestito dall’Inps. In questo caso il lavoratore ha la facoltà, trascorso un anno dall’adesione al FondInps, di poter disporre il trasferimento ad un’altra forma complementare. Con una sola eccezione: il trasferimento può essere disposto prima della decorrenza dell’anno  se nel frattempo è stato costituito o autorizzato un fondo di categoria.

Oltre al meccanismo del silenzio-assenso, il lavoratore può scegliere di comunicare direttamente al datore di lavoro  dove intende destinare le quote maturande del TFR. Ha in questo caso due possibilità.  La prima è quella di indicare la forma previdenziale integrativa alla quale vuole aderire. Dovrà quindi scegliere tra i fondi negoziali , quelli che nascono per accordo tra le rappresentanze di lavoratori e le aziende e che ricevono anche un contributo da parte del datore di lavoro, e i fondi aperti, quelli  istituiti dalle Banche e dalle Assicurazioni,   che non essendo rivolti a una categoria precisa sono appunto aperti a tutti. La seconda possibilità per il dipendente è quella di non aderire alla previdenza complementare e lasciare il proprio TFR presso il datore di lavoro. In questo caso, il TFR  rimane in azienda se questa occupa fino a 50 dipendenti, altrimenti il datore di lavoro dovrà versarlo all’Inps , nell’apposito Fondo per la gestione del TFR dei dipendenti del settore privato.

Il momento di prendere la decisione è arrivato: meglio la vecchia liquidazione o il fondo pensione?  A voi la scelta

Per saperne di più:

-         www.tfr.gov.it

-         www.ilsole24ore.com

-         www.inps.it

UN CUORE AZZURRO SULL'AUTOSTRADA

di Erika Scotti

Uno dei grossi meriti dell'Ecuador e' quello di avere un sistema viario efficientissimo.

Ad ogni minimo accenno di aumento del traffico, ecco che un esercito di persone in divisa si apposta ordinatamente in tutte le zone ''calde'' e, con fare deciso e competente, da ordini a destra e sinistra in modo che il traffico scorra lento ma costante.

Incuranti delle condizioni atmosferiche, prendono il loro mestiere molto sul serio e sanno farsi rispettare, pur mantenendo una gentilezza e una educazione fuori dal comune.

Proprio qualche giorno fa, ho potuto constatare di persona la competenza di questi ''direttori d'orchestra'' in una Quito paralizzata dalla grandine, che di per sé e' un fatto abbastanza raro.

La capitale e' una città in cui il tempo cambia molto velocemente e senza preavviso; e' facile entrare in un centro commerciale a fare la spesa con il sole che spende all'esterno ed uscirne un’ora dopo sotto il diluvio o , come nel mio caso, sotto una pioggia di chicchi ghiacciati grossi come olive.

Ebbene, i vigili erano appostati a ogni incrocio o rotonda e nascosti da scure mantelle impermeabili, ma pur sempre perfettamente a loro agio, sono riusciti, senza grossi problemi, a contenere la situazione.

Purtroppo, però , non si può parlare con lo stesso entusiasmo della condizione stradale. Soprattutto in questa zona le distanze tra città di una certa importanza sonno abbastanza rilevanti, sull'ordine di 100-150 km; chiunque abbia bisogno di una buona clinica o di un buon supermercato deve, quindi, mettersi in macchina per almeno una buona oretta. Ecco perchè c'e' tanto bisogno di strade ampie e sicure. Invece, la più grande autostrada del Paese, la Panamericana, che attraversa tutto l'Ecuador da nord a sud, e' intervallata da tratti a una sola corsia, e da altri in cui si dovrebbe guidare a zig zag per cercare di evitare le buche che si formano nell'asfalto.

Non nego che in certe zone i lavori di ampliamento siano in corso, ma da cinque mesi a questa parte non ho visto progressi degni di nota.

Non parliamo poi del fatto che manca un qualsiasi tipo di divisione tra le corsie. Questa, insieme alla velocità, sono tra le maggiori cause di incendi stradali mortali.

A questo proposito, visto l'altissimo numero di vittime della strada, circa un anno fa il Ministero dei Trasporti ha iniziato una campagna di sensibilizzazione davvero inusuale.

In tutti i luoghi di incidenti mortali, viene dipinto sull'asfalto un grande cuore azzurro per ogni persona che ha perso la vita in quel preciso punto.

Quindi, se state andando, per esempio, da Latachunga a Quito , specialmente in prossimità delle curve più ripide e pericolose, può capitarvi di notare da lontano una o più macchie azzurre che catturano la vostra attenzione e, avvicinandovi, vedrete che sono cuori. No, non sono cuori accompagnati da frasi romantiche che , come da noi, festeggiano un matrimonio, ma sono il triste ricordo di qualcuno la cui esistenza e' stata bruscamente interrotta proprio li .

Questa innovativa idea ha davvero dato i suoi frutti, perchè nel corso dell'ultimo anno le vittime della strada sono calate di un buon trenta per cento.

Il tutto e', comunque, completato con cartelli in cui si raccomanda il controllo della  velocità, o in cui si ricorda l'altissimo numero di bambini, quali innocenti vittime dell'incoscienza di certi automobilisti.

Forse anche in Italia dovremmo prendere esempio e cercare di colpire la coscienza della gente più che il loro portafoglio...

BELLO COME ...

Raffaele Miraglia

Prendemmo l’autobus in una piazza di Singapore che assomigliava alle piazze di periferia delle nostre grandi città.

Prendemmo posto al centro dei sedili posti sul fondo.

Era sera.

Alla frontiera con la Malesia ci fecero scendere e facemmo un breve tratto a piedi con zaini in spalla e passaporti in mano.

Il poliziotto malese fece alcune storie sulle sciabole daiakke che avevamo acquistato in Borneo, ma poi ci fece passare.

Ci addormentammo.

Mancavano cinque minuti a mezzanotte quando alcuni passeggeri ci svegliarono.

Noi eravamo arrivati.

L’autobus era fermo ad un incrocio. Sulla sinistra un distributore di benzina, davanti a noi il paese.

Non c’era nessuno per strada.

Pochi secondi dopo si materializzò un ragazzo. Ci chiese se andavamo a Tioman. Ci disse che lui poteva venderci i biglietti per la barca. Si offrì di accompagnarci a un albergo e caricò su di sé lo zaino di una delle mie due compagne di viaggio.

Il primo albergo ero pieno e così tornammo indietro verso un altro, che il ragazzo definì “Chinese, but good.”

In effetti l’albergo era pulito, essenziale nell’arredamento, e aveva zanzariere alle finestre e un ventilatore sul soffitto sopra i letti.

Le mie due compagne di viaggio presero possesso della loro stanza e lasciarono a me il compito di concludere l’eventuale acquisto dei biglietti per la barca e di salutare, ringraziare e, magari, omaggiare il nostro accompagnatore.

Scesi.

I cinesi gestivano anche un bar-ristorante che stava sotto l’albergo e all’angolo fra due strade.

Il bar-ristorante non aveva pareti esterne, se per pareti non si intendono la colonna d’angolo e un’altra colonna su lato più lungo.

Nonostante questo era pieno di fumo e vapore.

Il bancone era piccolo, non più di due metri, e dove finiva, iniziava la cucina. Tre pentoloni di acqua e brodo producevano una quantità incredibile di vapore. Accanto c’era la postazione con gli wok per le fritture.

Dietro il bancone c’era l’anziano cinese che ci aveva fatto vedere le camere.

I dieci tavolini era quasi deserti.

Due anziani cinesi in silenzio stavano mangiando dei tagliolini in brodo.

Due malesi discutevano fra loro e sul tavolo c’era una bottiglia di whisky e l’immancabile cestello pieno di cubetti di ghiaccio.

Il ragazzo era seduto ad un tavolo, di spalle a tutto questo.

Mi sedetti davanti a lui.

Avevo così l’intero locale e i suoi avventori avanti a me.

Io ordinai una birra e lui si fece offrire un the verde.

Il ragazzo aveva un walkman.

Armeggiò sull’aggeggio, staccò gli auricolari dalle sue orecchie e me li porse, chiedendomi “Do you like it?”

Mi infilai gli auricolari e dopo pochi secondi le mie orecchie furono invase dalle note iniziali di Smoke on the water dei Deep Purple.

Sono certo che le mie sopracciglia non rimasero inerti.

Mentre venivo del tutto inaspettatamente gettato in pasto a quelle incredibili, rabbiose, sognanti, ritmatissime note, i miei occhi erano posati su uno degli anziani cinesi.

Reggeva con la sinistra la scodella all’altezza del mento adornato da una rada e lunga barbetta bianca. Con la destra stava portando alla bocca le bacchette con i tagliolini.

I suoi occhi erano quasi chiusi o, più probabilmente, io non li vedevo perché la sua testa era china sulla scodella.

Fu quella notte che compresi esattamente cosa voleva dire Isidore Lucien Ducasse conte di Lautreamont quando scrisse: “Bello come l’incontro fortuito su un tavolo anatomico di una macchina da cucire e di un ombrello.”

TRADIZIONE, INNOVAZIONE, CONTESTAZIONE   

di Sandra Peluso

Imbattersi in un toro di razza brava nelle immediate vicinanze dei negozi sfavillanti di un centro commerciale.

A Campo Pequeno, Lisbona, la probabilità che accada è alta. A meno che non siate animalisti attivisti o semplicemente a sfavore della tourada, spettacolo tradizionale di uomini danzanti e tori sanguinanti, simile alla corrida spagnola e francese.

Le touradas tornano a divertire o impressionare, dopo 6 anni di declino del settore, gli spettatori delle 80 arene fisse sparse per il Portogallo, più le folle che accerchiano i recinti smontabili utilizzati nelle località sprovviste di praças de touros.

A chi dice che siano spettacoli in via d’estinzione,la città di Lisbona ha risposto con una delle sue azioni trasformatrici che stanno rivoluzionando lo spazio urbano. Così rende nuovamente agibile la sua arena storica,un edificio del XIX secolo che durante gli anni di riposo ha visto proliferare nel suo sottosuolo 7000 metri quadri di centro commerciale con tanto di negozi,ristoranti,sale cinematografiche,parcheggio e presto anche giardini con giochi d’acqua. Immancabile,un museo della tauromachia.

Intrattenimento,shopping,cultura e tradizione si fondono nel nuovo spazio multifunzionale che comprende l’arena, essa stessa ripensata  in modo da poter accogliere eventi e spettacoli di ogni genere.

Ma l’evento che continuerà a dividere l’opinione mondiale resterà senza dubbio il tradizionale.

In Portogallo il torero non è una star né un assassino,in quanto il toro è proibito ucciderlo e la figura principale è il cavaliere,che in groppa al suo addestratissimo cavallo ha il compito di infilzare bandarilhas  addosso al toro. Alla fine entrano in scena i forcados, quelli che immobilizzano il toro. E ce ne vogliono almeno sei per acciuffare la bestia stremata e  infastidita dai corpi estranei che le decorano il dorso.

Tutto ciò è considerato ugualmente inammissibile dai difensori dei diritti degli animali,che riconoscono alla tourada essenzialmente lo scopo di divertire qualcuno al costo della sofferenza delle povere bestie. Il toro da un lato, che una volta rientrato nei box pare sia sottoposto a un bagno di sale come trattamento delle ferite in vista di un nuovo spettacolo. Dall’altro il cavallo,che si impegna a lungo negli allenamenti per accogliere le corna smussate del compagno di sventure.

Esistono in Portogallo otto “escolas de toureio” che accolgono in tenera età i figli di quanti vedono nella figura del torero una professione di prestigio e molto ben remunerata. C’è chi a questo punto mette in causa anche i diritti dei bambini, denunciando casi di abbandono precoce della scuola dell’obbligo.

Ma l’azione sensibilizzatrice delle proteste anti-tourada si scontra duramente con tutto ciò che direttamente o indirettamente l’esistenza della tourada apporta al Portogallo, in termini soprattutto economici.

Migliaia di posti di lavoro e milioni di euro girano intorno alle attività svolte dentro e fuori  l’arena,che riguardano anche la creazione della razza e l’esportazione del bestiame. Il toro bravo è infatti una razza che dagli allevamenti portoghesi giunge nelle arene di Spagna e Francia, che sborsano circa 5000 euro per ciascuno dei 400 animali portoghesi comprati ogni anno. Un motivo in più  per chi opta per la preservazione della  razza come argomento a favore della tourada.

Dunque una tradizione forte, che smuove le coscienze,incrementa le finanze, riconverte ambienti e crea nuove modalità di fruizione degli spazi. Forse innovatrice, certamente radicata nell’identità del Paese. Difficile immaginarne la scomparsa.

COSA MANCA A MORMANNO ?

da“Storie e Memorie” di prossima pubblicazione

di Luigi Paternostro

Quando sono a Mormanno e parlo con i compaesani sento  a volte delle lamentele.

Hai visto com’è ridotto il paese? 

Tu che fai tanti giri con telecamere e macchine fotografiche, hai filmato al Faro l’orecchio rotto e il naso spuntato di Silvio Paternostro?

Hai notato che alla Villa è stato fortemente danneggiato il gazebo costato molti milioni?   

Non si sa come resistono ancora alcuni pesci neri che girano come matti nella vasca evitando d’imbattersi in scatole di latta, muschi infoltiti da liquami marcescenti,  foglie, buste di plastica, mozziconi di sigarette, pezzi di pane, carte sminuzzate.  

Per il Corso non si può più camminare: ci sono, in proporzione, più macchine a Mormanno che a Parigi.

Dentro il più delle volte c’è una sola persona con l’autoradio ad alto volume.

Non ti danno un senso d’abbandono tutti i vecchi o le altre persone sedute al pezzo [1]

E la politica? Tutti si sorridono, ma sotto la cenere c’è sempre una fiamma pronta a bruciare.

Ti pare bello che nelle notti estive, si debba sentire un casino [2] infernale di voci, di suoni, di rumori tanto assordanti da far pensare all’anticamera dell’inferno?

E questo e quello, e altro, e altro ancora…

Tu, conclude infine il mio amico F. S. perché non dici queste cose su un giornale invece di scrivere libri che nessuno legge?

Intanto continuo a scrivere perchè ciò mi gratifica. In ogni pagina appare chiaramente il leitmotif che la sostiene: l’ appartenenza al paese che mi ha dato i natali e nel quale ho operato da giovane e con  passione, sentimento mai sopito nonostante l’età, le esperienze di vita, gli stimoli più vari.

I miei scritti su Mormanno sono la sponsorizzazione più sincera e  disinteressata del loco natio.

Che qualcuno li legga o meno, conta poco. Con onestà ed attenzione ho sempre indicato le fonti da cui ho tratto materia  di riflessione [3] , quando la mia memoria non è andata al di là della vita vissuta o del ricordo di tanti amici e conoscenti cui ho accreditato il racconto. 

Questo hobby mi è costato e mi costa anche economicamente.  In nome della nostra antica amicizia ti rispondo, o Caro.

Veniamo alle lamentele. 

A Mormanno c’è tutto! Ci sono tutte le cose che ormai sono patrimonio d’ogni paese d’Italia e di buona parte del mondo ricco e strafottente.

Come sono le città?

A Firenze, ove vivo da più di trent’anni, ogni tanto debbo buttare le scarpe se incappo in un fiore di cane, così sono chiamati  più gentilmente i loro escrementi sparsi in ogni dove, o devo farmi curare le distorsioni che mi procuro camminando su marciapiedi sconnessi [4] .

Anche lì vi sono motorini e macchine che ammorbano l’aria. L’ARPAT indica lo stato d’inquinamento. E qui finisce. Nessuno rispetta le regole.

Le leggi son, ma chi pon mano ad elle?, diceva il Poeta.

Le domeniche ecologiche giovano poco: si respira durante le ore di divieto di transito e si boccheggia appena ricomincia il bailamme. Sono, come si dice in dialetto, ‘nu nguèntu a la cù:gghja, un unguento sull’ernia!

Per il resto c’è tutto quello che si trova a Mormanno.

Invece del pezzo vi sono i gradini delle basiliche o le panchine che diventano anche letto e materasso per molti. 

Vi sono carte per terra, sporcizia mai levata, giardini pieni di cartacce e preservativi, siringhe vicino alle scuole.

I vigili: si fanno vivi solo per multare gli automobilisti.  Incassano una percentuale sicura. Perciò si accaniscono, proprio nel senso letterale del termine.

Ci sono pure brontoloni lamentosi e bofonchianti, ma sono vecchi, sono illusi, vengono da un altro mondo: ricordano, pensate un po’, Giorgio La Pira o Piero Bargellini.

Qualcuno parla ancora del buon governo di Leopoldo!

Qualche giornale pubblica ogni tanto lamentele o denunzia fatti ed episodi incresciosi quali rapine o raggiri agli anziani. Non più di tanto! Poi… tutto resta come prima.

A Mormanno…

Vedo tasche piene di banconote.

Le ragazze che mi sfiorano mi inondano di effluvi indefinibili. I ragazzi di ruttate di mal digeriti alcolici. Tutti tengono la testa piegata sul cellulare sul quale farfugliano roteando gli occhi e agitando le mani come marionette.

Le signore sono  eleganti e dalla ben curata silhouette.

Le macchine nuove e lussuose. Due o tre per famiglia.     

Le botteghe ed i mercati sono sempre affollati.  

La piazza [5] è piena d’ogni ben di Dio.   

I fruttivendoli offrono prodotti freschi, esotici o di fuori stagione.     

Vi sono fiorai, panetterie, pizzerie, qualche pub.  

I negozi espongono prodotti di marca.  

Le vecchie case sono state quasi tutte ristrutturate. Alcune con i fondi di provvidenziali… terremoti.

Il corso principale è stato ripavimentato intorno al centro storico.  

C'è il municipio, la farmacia, due sale cinematografiche dai nomi prestigiosi: Cinestar e Sala S. Giuseppe

C'è l'ufficio del Giudice di pace, il Faro votivo ai caduti calabresi, il Parco delle Rimembranze.   

 C'è la scuola materna comunale, la statale, l'elementare, la media, il liceo scientifico.  

C'è l'ufficio postale, la banca con due sportelli esterni di servizio.   

La chiesa [6] è bella. L’altra parrocchia [7] è fuori paese. Sono state riaperte al culto le cappelle di S. Michele, S. Anna, l'Annunziata e S. Raffaele.

Le processioni sono lunghe. Forse una volta si pregava anche.

I giornali arrivano tutte le mattine. Numerose e varie sono le testate. Non mancano settimanali, quindicinali, mensili, riviste porno e hard, collane Harmony e fumettistica varia. 

C'è il lotto, il superenalotto, il totocalcio, il totogol, il totosei, le videocassette a noleggio, le sale gioco, i negozi di computers e compact-disc, le antenne paraboliche.  

Ci sono i carabinieri, le guardie forestali, la Pro Loco.   

C'è l'ospedale, tre medici di base, un dentista, un oculista, un pediatra, un veterinario. C’è un’agenzia di viaggi. Vi sono sedi di partito e di associazioni.  

Le bacheche politiche sempre piene di avvisi e manoscritti. 

A volte le parole sembrano spade che si affondano nella carne viva.

C'è il consorzio, c'è una compagnia teatrale, un gruppo folk, una TV locale. 

C'è il campo sportivo, anzi due, se si conta quello del Vescovo, e  una squadra di calcio. Ci sono tanti complessi jazz e rock. I parcheggi sono liberi e custoditi. 

Vi sono sei bar, tre fornai in paese, un panificio più grande al Pantano, tre macellerie, due salumifici, una variante, un albergo in fase di

ristrutturazione, uno svincolo autostradale a sette chilometri ed uno a dieci, una zona industriale al Pantano, e, sempre lì, un laghetto-spiaggia con un centro di divertimenti tipo teatro tenda.  

Parrucchieri e parrucchiere frequentano corsi di aggiornamento.

Ci sono due barbitonsori vecchia maniera che usano ancora l’albume di rocca  e affilano il rasoio sulla cote.

Pochi o estinti i calzolai. Stessa fine hanno fatto fabbri, sarti e falegnami.

Secondo la moda corrente sono fioriti tanti agriturismo.

L’Amministrazione che sarà eletta dopo la prossima tornata elettorale, e così l’altra che verrà e l’altra ancora si impegnano a risolvere i problemi sospesi. Il tono di questa campana è sempre lo stesso.

E’ tanto auspicare nell’immediato che:

 - si possa camminare per il corso e fuori paese senza pericolo d’essere arrotati e senza respirare aria inquinata [8] ?  

 - non manchi la corrente elettrica, anche in caso di  un solo tuono?

 - si creino i percorsi per i disabili?

 - i pullman dell’ex Calabro-Lucana, appena arrivano in piazza spengano il motore?    

-  l’acqua del sindaco [9]   sia finalmente potabile?

- i vigili urbani non sostino troppo a lungo ‘mmènzu à chiàzza [10] ma girino ogni tanto per il paese? 

- siano multati i padroni dei cani che abbelliscono di escrementi vie e vaneddri [11] ?

-  le linee elettriche simili a ragnatele e i tubi del metano che tappezzano i muri vengano interrati?
 - lungo la bellissima passeggiata che va dalla Soggetta al bivio di Rotonda  venga costruito qua e là qualche orinatoio per il rispetto di quella terza età che ancora assicura sostentamento a figli e nipoti? O i  nonni devono sostare sulla piazzetta per raggiungere facilmente il sottostante vespasiano e non devono passeggiare come i cardiologi ordinano?

Insomma, Caro mio, a Momanno, tra quello che c’è e quello che tra poco ci sarà, si può dire che non manca proprio niente.  

Eppure manca, come in Italia e nel Mondo, una cosa fondamentale.    

Manca la cultura della democrazia come elevazione morale, come formazione civile, come viva sensibilità,   come superamento delle rivalità, come incoraggiamento, collaborazione, rassegnazione della sconfitta, umanesimo integrale.

Mancano quelle qualità che l’Educazione non è riuscita a recuperare, quelle qualità etiche e di pensiero la cui inesistenza crea gravi crisi di ordine personale, familiare e sociale.

La fanno da padrone gli istinti, gli odi, gli atteggiamenti di rivalsa e d’invidia, gli egoismi.

Utopica è la ventata liberatrice! 

Hai veramente di che lamentarti, Amico mio!

Luigi Paternostro

© maggio 2007

LA GRANDE VETRATA
DELLA CAPPELLA DE ROSSI

di Camillo Tarozzi

I santi Pietro, Paolo,Andrea e Giovanni Evangelista, nel registro superiore, poi Marc  Agricola, Procolo ed Ambrogio in quello inferiore.

L’Annunciazione nelle rosette, s.Giacomo nella rosa in alto

Dedicata a San.Giacomo,  la cappella ebbe alla fine del quattrocento il patronato della famiglia de Rossi, amica e sostenitrice dei Bentivoglio, ed a questi legata anche nelle conseguenze della loro sconfitta. Molti anni più tardi fu prescelta poi da Elisa Bonaparte, sorella di Napoleone maritata a Bologna con Felice Baiocchi, e  rinnovata con modi e sculture neoclassiche, tra le più belle in città, a decorare i sepolcri le lapidi di famiglia addossati ai lati della cappella.

La grande finestra gotica è chiusa da un strepitosa vetrata policroma ed impiombata: essa contiene le otto grandi figure verticali dei santi che stanno in piedi davanti a nicchie e architetture che li coscrivono,  opera di un pittore di elevata capacità tecnica  e primaria intelligenza nella applicazione  delle più recenti conquiste peruginesche, ma anche di un maestro vetraio capace di valorizzare forme arcaiche,  fantasticamente colorate con il genio che conosce la magnificenza della pittura coeva, con un respiro e proporzioni classicheggiati. Smontati  i ponteggi, è stato possibile rivederla nella pienezza della luce e dei colori grazie all’intervento realizzato con il generoso contributo della della Fondazione Carisbo.

Il restauro si è posto l’obiettivo della conservazione di un capolavoro di eccelsa levatura, ma al contempo quello di ricercare i motivi di tecnica esecutiva e che possano condurre ad una più meditata ricerca dell’autografia, per avvicinare  una delle  più affascinanti pitture su vetro bolognese alla scuola  maestro che da lì a poco sarà chiamato a succedere a Mantenga fra i grandi artisti nella Corte dei Gonzaga e dell’Italia settentrionale.

Al di sotto della grande vetrata la pala dell’altare è collocata al centro di una monumentale ancona costruita alla francese da operatori francesi a spese dei Baiocchi,  con un intaglio straordinariamente accurato ed una doratura che vedremmo bene in una chiesa neoclassica.

Assai ben conservata, la pala con la Madonna con Bambino e Santi, datata  1492, è punto di riferimento del disegno e della pittura dei  pannelli della vetrata, è la più bella tavola ancora nella sua sede primitiva fra quelle  della pittura Bentivolesca a Bologna: essa è di Lorenzo Costa, che  in quegli anni era il responsabile dei lavori nella Basilica, come un architetto che indirizza gusti, temi, modi operativi di quasi tutti i decori che vanno ad abbellire l’edificio. Il vero maestro di una  cerimonia artistica che a Bologna non ha pari per dimensione, e che il Vasari stesso  testimonia essere centro propulsore dei più alti concetti pittorici del tempo.

Varrà ricordare l’ammirazione con la quale i grandi artisti del tempo si ritrovano nella città in quegli anni, e non i minori naturalmente: sui gradini della basilica, in Piazza Maggiore, si sono seduti come gli studenti ed i turisti di oggi, gioiosamente confusi con i bolognesi, Leonardo e Michelangelo e Durer in tempi così stretti da rischiare quasi di incontrarsi ad ammirare lo strepitoso capolavoro di Jacopo della Quercia.

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TEMPI DI SCHIUMA

di Marilena Rodica Chiretu

La schiuma del mare,  la schiuma dei tempi,
invade la mia mente, inganna gli sguardi,
ricama in bianco nel buio della notte
il fiore dell’ illusione sulla sponda azzurra,
risuona il  canto della sirena
ritorna Ulisse dai tramontati mari,
abbraccia l’ amore  smarrito all’orizzonte,
una nube  si spegne nel fuoco dell’ aurora,
 gira il disco dorato  della luce,
il mio amore non ha  l’ argento della luna,
nemmeno l’ oro del sole,
è solo una schiuma bianca
rovesciata dalle onde sui lontani lidi,
asciugo con il soffio dell' amore la schiuma
e la trasformo in pietra,
nascondo il dolore nella conchiglia
che rimarrà per sempre
sulla tua spiaggia

Vremuri de spuma

Spuma marii, spuma vremurilor,
imi invadeaza mintea, inseala privirile,
brodeaza in alb in intunericul noptii
floarea iluziei pe tarmul albastru,
rasuna cantul sirenei,
Ulise se intoarce din apusele mari,
imbratiseaza iubirea ratacita la orizont,
un nor  se topeste in focul aurorei,
se roteste discul auriu al luminii,
iubirea mea nu are argintul lunii,
nici aurul soarelui,
e doar o spuma alba
rasturnata de valuri pe indepartate tarmuri,
uscuc cu suflul iubirii mele spuma
si o transform in piatra,
ascund durerea in scoica
ce va ramane pentru totdeauna
pe plaja ta.


SINDONE: IL FASCINO DI UN MISTERO

di Mirella Santamato

Nel ’78  la gente si accalcava in una fila scomposta, quasi come se fosse all’entrata di uno stadio per una partita di calcio ; però, anche allora, a contrasto con questa immagine scomposta, stupiva il silenzio della folla che, delimitata da due fila di transenne in ferro, spintonava per guadagnare un centimetro quadro di spazio, quasi come se si fosse in un film muto.

Questa sospensione rarefatta dei rumori predisponeva l’anima all’attesa di qualche evento fuori dal normale, all’incontro con il trascendente. Ma tutto, o quasi, era lasciato alla libera fantasia dello spettatore.

Quest’anno, invece, l’ostensione della Sindone è stata preparata con estrema cura, creando nel pellegrino un crescendo di immagini sempre più coinvolgenti che lo abituano man mano all’incontro ultimo con la reliquia.

Si parte da un cancello laterale dei giardini del  Palazzo Reale di Torino, dove alcuni volontari si prendono cura delle varie tipologie dei gruppi, sia in base alla lingua parlata che alle varie esigenze fisiche ( es : anziani  e portatori di handicap).

Poi si viene immessi in un lunghissimo camminamento in legno sormontato da una lunga copertura di tela, messa ad impedimento sia del troppo sole che della troppa pioggia.

Lungo questo lungo corridoio, che si snoda per buona parte dei giardini reali, sono appesi dipinti e stampe antiche che ricordano le varie Ostensioni del passato.

Camminando a passo cadenzato, si ha modo di meditare il proprio pellegrinaggio, fino ad arrivare ad una porta laterale del Duomo, dove vi è una sosta obbligata per dare modo ai volontari di distribuire i fedeli in tre gruppi distinti di accesso alla navata principale.

I tre gruppi così formati vengono dirottati su tre piani diversi di transenne, tutte foderate con pesante velluto blu cenere. Questo sistema impedisce i grossi assembramenti e dà modo a tutti di sostare per qualche minuto in raccoglimento, senza essere spintonati dal vicino “che vuole vedere anche lui”.

Ho avuto la fortuna di capitare nel primo gruppo, quello a livello del terreno, che ha una vista del Santo Lenzuolo più da vicino. Dietro di me gli altri due gruppi messi ad anfiteatro a due diversi livelli di altezza.

La teca era illuminata da dietro, in modo da far risaltare il più possibile la fragile impronta dell’Uomo Crocefisso secondo il rito Romano.

L’emozione, questa volta, è stata diversa : forse perché sapevo che cosa mi si sarebbe mostrato davanti agli occhi, o forse perché è giusto che le emozioni siano diverse a seconda dei nostri stati mentali di consapevolezza.

Vent’anni fa ero una ragazzina ingenua e poco esperta di trascendenza. Il mio animo si schiuse alla vista del soprannaturale come un fiore che sboccia, così, senza saperlo.

Ora i miei occhi più consapevoli hanno cercato altri livelli di comunicazione con quell’Uomo martoriato che mi appariva sempre più sofferente e muto, di fronte ad un  mondo così sordo e incapace di capire.

L’unica nota stonata, risuonata all’improvviso nell’alta navata, mi ha bruscamente riportato alla realtà. Si trattava di un breve commento solo in lingua italiana che invitava tutti alla meditazione e alla preghiera. L’ho sentito come una intrusione gratuita nei miei pensieri, e mi ha dato non poco fastidio.

Inoltre mi chiedo del perché abbiano voluto escludere le migliaia di stranieri (che hanno fatto un viaggio anche molto più lungo e sofferto per venire fino a qui) dalla preghiera comune e di come siano suonate stridenti alle loro orecchie quelle sillabe articolate in una lingua sconosciuta !

Non vedo proprio la necessità di interrompere un  silenzio commosso, comune a qualsiasi persona di ogni etnia, razza o religione,  che non ha modo migliore di mettersi in comunicazione diretta con il Divino.

Comunque, una volta usciti di nuovo all’aria aperta, si ha come voglia di una boccata di ossigeno, quasi che le sofferenze viste impresse nel Sudario aleggiassero ancora lì, in qualche modo, e che così disumano dolore fosse ancora palpitante tra le trame della Tela.

Fior di scienziati hanno cercato di rispondere, da alcuni decenni a questa parte, alla domanda principale che ogni fedele si pone di fronte alla Reliquia : è LUI o non è LUI ?

Forse è giusto che a questa domanda non si possa dare una risposta certa.

Infatti  è giusto che i fatti che riguardano la fede abbiano questa prerogativa : devono essere abbastanza evidenti da stimolare la riflessione, la curiosità di esplorare le fonti, la voglia di leggere i testi e il bisogno di accedere a livelli superiori di conoscenza, ma non devono mai diventare così evidenti da giungere alla certezza assoluta, scientifica, altrimenti si perderebbe il valore stesso della fede che ci vuole per  avervi accesso.

RITORNO IN CONGO

di Nicoletta Confalone

Sono appena rientrata da due settimane di ferie in italia. Sulla 4 x 4 dall’aeroporto all’ufficio, lungo le strade polverose di questo angoletto di mondo sconosciuto a tutti ma tormentato per tutti quelli che ci vivono, mi sono guardata silenziosamente intorno. Ho cercato di cogliere le sensazioni che ogni donna, uomo, bambino poteva provare in quell’esatto momento..cosa pensano... quale é la loro storia?  E nel frattempo avevo nella testa la domanda di tutti gli amici e parenti, dei conoscenti e degli sconosciuti... “ma com’é l’africa?”

Ho chiuso un momento gli occhi e quando li ho riaperti ho cercato di osservare quel pezzo di mondo che mi circondava come se avessi avuto con me una telecamera per conservare le immagini e i suoni...e un diario per trasformarle in parole..peccato non abbiamo ancora inventato un marchingegno per registrare anche gli odori...

Ora a casa con il mio laptop, seduta nel soggiorno con il generatore acceso richiudo gli occhi, ripenso alla domanda “ma com’é l’africa?”.. e richiamo quelle immagini, quei suoni e quegli odori che ho registrato...i miei.. quelli di una delle tante afriche..quella che vivo ora ..qui...

Gente a piedi e in bicicletta lungo le strade battute..con vestiti sgargianti

Teste come gentili e robusti vassoi che trasportano tutto il poco posseduto

Pick up stanchi e malridotti stracolmi di umanità colorata, silenziosa e urlante

Camion stanchi e malridotti, che tossendo e sbuffando trasportano su distanze impossibili un campionario di merci improbabili legati con corde di saggina

Magliette sponsorizzate da chiunque

La polvere che mi entra nel naso

La corrente elettrica inaffidabile

Uomini che si pettinano dal basso verso l’alto

Case di fango e tetti di lamiera

Bianchi spesso arroganti, presuntuosi, stanchi e disillusi ma anche ingenui, generosi, pazzi e idealisti

Il vulcano imponente che osserva fumoso la vita ai suoi piedi preparandosi per la prossima inevitabile eruzione

Bambini che giocano allegri con un pallone fatto di sacchetti di plastica neri legati insieme da corde di saggina

Palme eleganti e fiori dai colori e dagli odori intriganti

Silenzio naturale nonostante il traffico senza regole apparenti, in realtà soggetto alle regole africane

La bimba all’orfanotrofio che prende in giro noi bianchi e osserva sorpresa le capre donate all’orfanotrofio

Il makalé (braciere di latta) con la carbonella per cuocere di tutto

Cielo cosi’ pieno di stelle che quando lo osservi ti perdi nella magia

Ingegnose biciclette di legno per trasportare tutto il mondo privato di una persona

Sacchetti di plastica neri leggerissimamente tragici

L’odore di temporali improvvisi, urlanti e arrabbiati

Militari, miliziani e AK47

Paesaggi sorprendenti, immacolati, che nascondono maestosità, bellezza, purezza e terrore

Musica congolese, chitarra, sintetizzatore anni 70 e corpi flessuosi nati per muoversi

Politici ricchi, arroganti e corrotti

Visi e occhi sorridenti nonostante tutto

Bugie e ipocrisia bianche e nere

Manghi maturi che cadono nel nostro giardino di notte

Il rumore del terremoto che arriva

Occhi di donne pieni di paura e rassegnazione

Bla bla bla vuoti e inutili

Gli atterraggi in mezzo ai tetti di lamiera e alle case di fango sotto gli occhi di spettatori affascinati e distanti anni luce da quegli aerei cosi’ vicini alle loro case

Il suono delle risate contagiose e sinceramente liberatorie

Orfani raccolti da suore determinate tra i cadaveri di una delle tanti stragi

Veicoli dell’opulente macchinario delle nazioni unite e caschi blu da ogni angolo di mondo

Verde, tanto verde, dominio di una natura ricca, tormentata, abusata, come le donne

Denti bianchi luminosi, sinceri o crudeli

Violentate e violentatori

L’odore di nyama choma (carne alla brace)

Guanti di plastica stesi ad asciugare in un ospedale

Pelle morbida, liscia, vellutata dal profumo di sabbia

L’ovvia e indiscutibile abilità ...evidente nei gesti di ogni giorno, di trovare sempre un modo per arrivare a domani

Strutture sanitarie senza muri, dominati da un’invadente natura

L’assenza di tutto quello che c’é ma non é accessibile

Le fughe a piedi nel terrore e nella paura e i ritorni in camion carichi di speranze ancora inutili

I clacson di migliaia di moto cinesi

Il fou fou (una polenta di farina di mais)

Tramonti rosa inconfondibilmente affascinanti ma sempre spettacolarmente diversi

Plastica regina del consumismo africano

Una ragazzina ex-soldato, madre senza scelta di un bimbo figlio della violenza, nato senza la speranza di un po’ d’amore, abusata, sfruttata, e strappata dalla famiglia che sogna di trovare un brav’uomo per avere un altro figlio

Fantastiche domande che ti riempiono il cuore... “ma quanti giorni di cammino ci vogliono per arrivare nel tuo villaggio?”

Vestiti di seconda mano a 1 dollaro

Bambini malnutriti cresciuti in mezzo a terre strafertili

Blocchi stradali senza ragione legittima

La volontà e l’impegno collettivo bianco e nero di chi ci crede ancora nonostante tutto

Occhi di uomini che non han mai conosciuto e dato amore e che capiscono bene la violenza

Donne eleganti, femminili, dai movimenti leggeri ma forti

La radio

Spari per tutta la notte, violenze e saccheggi

Bambini di strada con la certezza di un futuro senza speranza

Il pollo con le patate fritte

Pubblicità di compagnie telefoniche e coca cola

Il mercato sporco, allegro, caciarone e puzzolente

I visi gentili dei pochi e fieri vecchi ...dove leggi tutto e capisci...

Riapro gli occhi ...le immagini restano vive...sempre, i suoni fanno da colonna sonora ai miei giorni intensi mai uguali.. gli odori mi appartengono oramai da tanto...

NIENTE DI RIVOLUZIONARIO

di Nicola Perrelli

Come si dice:la lingua batte  dove il dente duole. E dalle nostre parti il dente che duole è quello del mancato sviluppo.  Dei ritornelli: “la Calabria dispone di grosse potenzialità non sfruttate”, “sullo sviluppo o sul mancato sviluppo del Mezzogiorno si gioca il futuro dell'economia italiana”, “il ritardo della Calabria può essere colmato se…”, “ dobbiamo guardare alla Calabria non come una palla al piede, ma…” e via dicendo,  noi  indigeni ne abbiamo… le orecchie piene.

E’ dai  tempi della Cassa per il Mezzogiorno - correva l’anno 1950 - che purtroppo li sentiamo. E  allora, visti  i modestissimi  risultati conseguiti, la domanda sorge spontanea, certamente provocatoria :  non sarebbe stato più facile e opportuno per la nostra classe dirigente ripartire  il mare di soldi destinati alla Calabria  direttamente tra i calabresi?  Di sicuro la ricchezza pro-capite avrebbe raggiunto  livelli molto alti e forse oggi esisterebbe anche il “Principato di Calabria”, non solo quello di Monaco. Ma cosi non è stato. Redditi e consumi dipendono tuttora dalle risorse distribuite dai rubinetti della spesa pubblica e poco da quelle prodotte dall’economia locale. E  siamo sempre tra le aree  più depresse dell’Unione europea. 

Vogliamo quindi ancora vivere di sussidi o è meglio rimboccarsi  le maniche e reagire? Cambiando i presupposti, anche dalla nostre parti, è possibile attivare lo sviluppo. Crescere è nell’ordine delle cose, eccezionale è l’inverso.  Cominciamo con il   chiedere al Governo e  a Bruxelles  non più solo provvidenze e assistenza, che abbiamo visto non assicurano né  sviluppo, né autodeterminazione, semmai sono stati e tuttora sono un cappio al collo, ma di fare  scelte che  sviluppino la nostra autostima. La sola condizione esistenziale che può aiutarci a venire fuori dal sottosviluppo. Che può consentirci  di superare la naturale paura ad intraprendere, a rischiare, ad avere audacia e fiducia nello stesso tempo.  Chiediamo poi alla Regione di spendere meglio le proprie risorse: accorpando i  servizi, snellendo la burocrazia, destinando alla scuola  e all’università le assurde cifre sperperate   per infecondi corsi di  “formazione professionale”, azzerando gli enti e i tanti carrozzoni inutili. Infine cerchiamo di scoprire quali sono le nostre specifiche possibilità  e vocazioni , tanto produttive quanto ambientali, per capire quali

sono le risorse da sfruttare sia in termini economici che di identità. Dobbiamo insomma darci da fare per assecondare un processo di sviluppo autopropulsivo, ovviamente sostenuto dalla mano pubblica ma non da questa governato e diretto.

Ancora  vacue  parole e solo buoni propositi? Non direi, essere ottimisti non vuol dire essere visionari,  si può ancora fare per tentare di crescere. I pochi progressi fatti finora, di quelli che danno valore aggiunto, sono avvenuti soprattutto grazie all’espansione di  iniziative imprenditoriali private. E altre opportunità non mancano. Gli spazi  ci sono: l’enogastronomia è uno di questi. Il Sud in questo campo dispone di potenzialità non sfruttate, questa volta reali, decisamente superiori al Nord.  Il fatto  che lo sviluppo a due velocità  non è solo nel sistema economico, ma evidenzia delle analogie anche con l’enogastronomia non deve rappresentare un  ostacolo, semmai deve essere uno sprone. Anche la Calabria ha i suoi giacimenti, non  di minerali o di pietre  preziose, ma di prodotti agricoli e alimentari, di specialità culinarie senza uguali, di tradizioni popolari uniche. Che combinati con  sole,  mare e spiagge,  monti  e  cultura millenaria sono senza dubbio un grande, incommensurabile patrimonio, che incredibilmente è per lo più  inutilizzato. Molto probabilmente perché noi stessi non lo conosciamo abbastanza. E’ necessario quindi riconsiderare il problema. Non ci sarà Giunta regionale o programma economico in grado di garantire uno sviluppo organico  se prima non valorizzeremo i nostri  “giacimenti” attraverso il lavoro dei singoli e delle imprese.

I pomodori di Belmonte, le cipolle di Tropea, la sardella di Crucoli, i peperoncini di Diamante, i bocconotti e i salumi di Mormanno, i cedri di Santa Maria, i caciocavalli della Sila, la nduja di Catanzaro, i vini di Cirò e via di questo passo, non sono solo l’espressione della cultura di un popolo ma rappresentano soprattutto quanto questi sa fare di buono. E nell’era della sazietà, nella quale  il rapporto con il cibo e con tutto quanto  gravita intorno ad esso  è ormai divenuto  un fatto sociale onnicomprensivo, una cartina di tornasole per richiamare  interessi economici e turistici verso il territorio, perché non tentare di fare della Calabria il mercato delle meraviglie?

Gli ingredienti di base ci sono tutti. Nella nostra regione sono innumerevoli i prodotti che per la genuinità delle materie prime e per la lavorazione ancora svolta a mano o perlomeno fatta seguendo i ritmi di una volta, hanno grande appael su consumatori e turisti, sempre più buongustai. E siccome i buongustai, ormai numerosissimi, sono  in genere disposti  a fare centinaia di chilometri  pur di provare quella tal specialità là dove si produce, dobbiamo fare di tutto per stabilire con loro un dialogo e ottenerne un adeguato ritorno economico. Ma il gusto, la salubrità, la forza delle tradizioni non bastano.

Ci vuole    un’adeguata comunicazione.  Nella società moderna la comunicazione è una componente  centrale del processo di valorizzazione dei prodotti e di un territorio. E’ lo strumento principe di alimentazione della crescita. I prodotti, un territorio esistono sul mercato solo quando sono autenticati  da prolungate  campagne pubblicitarie.  Ma le campagne costano e le nostre imprese-tipo non sono in grado di farsene carico.

Chiediamo allora alle istituzioni politiche, che già usano egregiamente la pubblicità e la  loro capacità persuasiva per fini elettorali, di cambiare rotta e di finalizzare tali mezzi e attitudini per il bene comune. Si adoperino quindi per promuovere   il consumo dei nostri prodotti e per diffondere la conoscenza nel mondo della nostra regione, evitando però i costosi  e improduttivi uffici di rappresentanza. Solo cosi  potremo conquistare nel tempo la visibilità che ci spetta sul mercato e fare passare il messaggio  che da noi  alla produzione di massa di derrate alimentari contrapponiamo l’arte dell’artigiano agro-alimentare.

Come andrà a finire? Credo bene, se penso che  un paese come Gragnano è famoso a livello mondiale per la produzione di pasta. Un business in cui ci credono tutti, dalla Provincia di Napoli che ha stanziato, anzi investito, circa un milione di euro per la realizzazione di un Museo, agli otto pastifici del posto che d’intesa con le istituzioni pubbliche hanno costituito il “Consorzio Gragnano Città della Pasta” per  promuovere il made in Italy e  far crescere un tessuto di manager e operatori capaci di far sviluppare le imprese e l’occupazione. E tralascio il fatto che a Mormanno, tipico paesino calabrese, un pastificio ha chiuso e  di  Consorzio c’è solo quello di bonifica, purtroppo. 

A quanto pare il processo di crescita socio-economico getta le fondamenta nelle piccole cose e da queste ha inizio. Dunque, niente di rivoluzionario, eppure!!!

PARIGI, 9 MAGGIO 1950 - BRUXELLES, 9 MAGGIO 2007

di  Stefania Bressan

BRUXELLES: Oggi Bruxelles si è svegliata a festa. L'aria che si respira per le strade del quartiere europeo - il cuore diplomatico della città -, è quella tipica delle grandi occasioni. Le bandiere blu a stelle gialle, simbolo indelebile di un'Europa unita, garriscono al vento e si confondono con l'azzurro del cielo appena rischiarato, dopo giornate di pioggia e nebbia densa.

In questa zona della città, tipicamente caotica e frenetica nei giorni lavorativi, la gente passeggia rilassata e festosa. È il “popolo delle Istituzioni”, decine di migliaia di funzionari, segretari, rappresentanti di gruppi politici parlamentari, che si ritrovano lungo Rue de la Loi, la Via della Legge, a sventolare bandierine che riproducono immagini di 57 anni di storia passata.

In tanti, ma purtroppo ancora pochi, capiamo l'importanza di questo giorno e di questo anniversario. Una data, quella di poco più di 50 anni fa, che ha profondamente segnato il corso del nostro destino come cittadini europei.

Era il 9 maggio del 1950 quando, al volgere del secondo conflitto bellico, Robert Schuman, allora ministro francese degli Affari esteri, rilasciava presso l'Hotel de Ville di Parigi una dichiarazione destinata a sconvolgere la normale prassi della diplomazia occidentale. Dopo aver ottenuto, con sublime arte diplomatica, sia l’appoggio del proprio governo che il consenso del Cancelliere della Germania federale Konrad Adenauer, comunicava all'opinione pubblica la costituzione di un’autorità sovranazionale indipendente, che avrebbe controllato la produzione di acciaio e carbone dei due paesi.

Quelle che per anni erano state il simbolo della guerra - le materie prime che avevano alimentato gli eserciti durante anni di strenua lotta -, si convertivano quindi in strumenti di riconciliazione e di pace.

Nasceva così, quasi in sordina, quella che ora è nota come Unione Europea, ma che è passata sotto diverse denominazioni e diverse forme.

Un’Unione che è cresciuta nel tempo, con lentezza ma costanza, passando da 6 stati membri fino a riunificare, con gli ultimi allargamenti, una parte del continente profondamente dilaniato dalle follie della guerra fredda, ponendo così fine alla divisione che dal 1945 separa il mondo libero dal mondo comunista.

L’Unione Europea ha dovuto affrontare innumerevoli sfide lungo il suo cammino, soffocare paure e sbaragliare minacce, che ne minavano la stabilità e la legalità.

Ma è ancora qui, forte e imperante, e mi basta fare un giro su me stessa al centro di Rond Point Schuman per vedermi circondata da maestosi edifici di acciaio e vetro - che costituiscono il motore propulsore della diplomazia europea -, per capire che l'Europa Unita non è solo una chimera.

Nel 1849 Victor Hugo scriveva: "Giorno verrà in cui (…) voi tutte, nazioni del continente, senza perdere le vostre qualità peculiari e la vostra gloriosa individualità, vi fonderete strettamente in una unità superiore e costituirete la fraternità europea (…) Giorno verrà in cui non ci saranno altri campi di battaglia all'infuori dei mercati aperti al commercio e degli spiriti aperti alle idee. Giorno verrà in cui i proiettili e le bombe saranno sostituiti dai voti (…)".

A poco più di un secolo di distanza, quello che agli occhi dei contemporanei dello scrittore francese appariva come un vagheggiamento, se non addirittura un'utopia, stava di fatto diventando realtà. Due guerre mondiali, gli anni bui del nazismo e del comunismo, rivalità e tensioni sulla scena internazionale, avevano messo il vecchio continente in ginocchio e reso vana ogni speranza di poter costituire quelli che lui amava definire gli Stati Uniti d'Europa.

È stato grazie alla determinazione di statisti impavidi e coscienziosi come Konrad Adenauer, Wiston Churchill, Alcide de Gasperi e Robert Schuman, che si è potuto stemperare gli odi e gli antagonismi nazionali per convertirli in una pace duratura.

Questi uomini hanno saputo guidare i popoli d’Europa verso una nuova era, costellata da interessi e valori comuni, e governata non più dalle bombe, ma dai trattati, che avrebbero garantito il rispetto della legge e l’uguaglianza tra i popoli tutti.

COMUNISTA

di Francesco M. T. Tarantino *

                                     

Avessi visto ne saresti impallidito

Il tuo rosso glorioso ormai è rosa

E qualcuno lo vede più scolorito…

Del grande partito non resta cosa

Né idee né sogni e né rivoluzione

Solo paura di andar controcorrente

Non resta più neanche l’emozione

Di pensarla in un modo differente

Non è il tempo del vento che fischia

E non infuria il freddo della bufera

Si sono buttati tutti nella mischia

E nessuno sogna più la primavera

In questi tempi senza scarpe rotte

Non sai dove e non bisogna andare

C’è il pericolo di prendere le botte

Meglio starsene a casa ad aspettare

Che qualcuno ti prenda per mano

E ti conduca nel teatro dei burattini

Ad interpretare il ruolo di cortigiano

Confuso con le serve dei valvassini

Che tempi quando ancora si credeva

In un possibile futuro di uguaglianza

Era il tempo che la speranza rinasceva

Per un mondo nuovo senza ignoranza

Hai vissuto la vita con questi ideali

Insegnando ai figli a chiudere il pugno

Lottando contro privilegi medievali

Ponendo la legge sotto il loro grugno

Sono cambiate le cose in vent’anni

Sei andato via in un esilio permanente

Forse deluso col tuo carico d’affanni

Ma con lucentezza e onestà di mente

CON I BAMBINI BIELORUSSI IN ITALIA

di Elena Bebeshina

Continuando il tema, di cui ho scritto nel mio articolo precedente, vorrei raccontare della mia prima esperienza come l’interprete in Italia.

Ho fatto  l’interprete per un gruppo di bambini bielorussi che veniva in Italia per ragioni sanitarie nel 2005.

Il nostro gruppo era formato da 20 bambini e 3 adulti accompagnatori. Siamo stati invitati in un paesino vicino a Padova, dove il comitato locale della fondazione “Aiutiamoli a vivere” ha comperato una grande casa per avere la possibilità di accogliere i bimbi dalla Bielorussia e Ukraina. Durante primavera, estate e parte d’autunno, quel comitato accoglieva 5-6 gruppi di bambini con gli accompagnatori.

Secondo le regole del comitato, tutto il gruppo stava insieme in quella casa con i volontari italiani, che a turno aiutavano ad organizzare la vita quotidiana del gruppo durante il suo soggiorno in Italia.

Ma dovrei raccontare tutto in ordine...

Prima di tutto, devo confidare che quello e’ stato mio primo viaggio all’estero, molto desiderato e molto aspettato.

Per andare in Italia come l’interprete avevo fatto volontariato nella rappresentanza della fondazione “Aiutiamoli a vivere” a Minsk per un anno e mezzo, durante il tempo che riuscivo a ritagliarmi tra gli studi all’Università e il lavoro a scuola.

Avevo iniziato a studiare l’italiano da un po’ più di un anno e mezzo prima del viaggio in Italia e solo all’Università, come la seconda (dopo l’inglese) lingua straniera.

Certo, portavo il vocabolario sempre  con me, perché senza la dovuta esperienza e pratica linguistica, ancora non avevo la necessaria dimestichezza di linguaggio.

Potete immaginare la mia ansia!  

Il nostro gruppo, con cui stavo per andare in Italia, si componeva di bambini di 9-11 anni, tutti i pazienti del centro infantile di oncologia e ematologia della Bielorussia.

Tutti avevano avuto un tumore di tipo differente, erano stati operati e avevano subìto la chemioterapia.

Al momento del viaggio, ogni bambino era in fase di remissione, ma alcune bambine ancora non avevano abbastanza capelli.

Il gruppo veniva accompagnato dalla psicologa di quel centro, che conosceva tutti i bimbi e li aveva aiutati a sopravvivere. Avevamo anche il dottore rianimatore con noi.

Ho fatto conoscenza con la psicologa e il dottore solo in aeroporto prima di partire, ma sono stata veramente fortunatissima con i miei collaboratori, si sono rivelati bravissimi professionisti e ottime persone.

La prima fortissima impressione l’ho avuta guardando  le Alpi, che ho visto sotto le ali del nostro aereo.

Non avevo mai visto le montagne prima!

Erano così immense e bellissime!

Le cime innevate, splendendo al sole, sembravano che fossero quasi accanto all’aereo.

Non mi sono trattenuta dal fare foto alle Alpi.

Proprio in quel momento ho capito che stavo andando in un posto assolutamente diverso dal mio Paese, dove tutto sarebbe stato nuovo e interessante, e dove mi avrebbero aspettato tantissime piccole sorprese e scoperte.

Già sapevo  che avrei voluto  tanto bene a quel Paese, per sempre!

(prima parte, continua nel prossimo numero)

LA “MODA” DELLA PRESA

di Raffaella Santulli

Quelle del banco di Napoli non fanno pegno...ma quelle collegate ad un preciso costume che si muovono entro un  percorso regolato dalle vicende connesse alla diffusione del tabacco, sì.

Eccome!

La scatolina creata per contenere tabacco, finemente trinciato, da portare alle narici e fiutare che consente lo svolgimento di questo rituale- oggi decaduto- nel Settecento assume aspetti adatti al rango sociale del proprietario, al sesso e persino alla professione, all'ideologia, agli stati d'animo.

Un vero gentiluomo ed una dama della più alta aristocrazia, si preoccupano di possedere un gran numero degli indispensabili contenitori perché è segno di raffinata eleganza- oltre che naturalmente di ricchezza e gusto- esibirne uno diverso in ogni circostanza.

Sono adattate all'abito ed anche ai sentimenti. Diffondono messaggi, da quelli politici a quelli d'amore, celebrano eventi e personaggi caricando le piccole pareti di raffigurazioni studiate allo scopo.

Hanno dimensioni limitate affinché possano facilmente accomodarsi nel palmo di una mano; si estraggono dalla tasca e dalla borsetta, si offrono con gesto invitante al vicino, si ostentano se sono preziose come gioielli, si mostrano con discrezione quando sono decorate con scenette erotiche.

Gloria, onori, virtù, eventi, ma anche capricci e galanterie più o meno licenziose, per una sorta di suggestione collettiva a cui nessuno sfugge, finiscono per essere esaltati o segretamente comunicati proprio dalle tabacchiere.

WEB & RISCHI

di Nicola Perrelli

Ormai è una certezza: le frodi on line sono in continuo aumento. Ad affermarlo è il risultato di un rapporto preparato da una società specializzata per conto di un pool di banche ed istituzioni finanziarie, i soggetti  più esposti, per ovvi motivi, a tale tipo di truffa. Ma sono anche quelli che riescono meglio a difendersi grazie a sofisticati  e costosi sistemi di difesa . E il privato cittadino?  Ha poche  ma importanti chance: mantenere sempre una buona dose di prudenza, una sana diffidenza e aggiornarsi di continuo sulle “novità” del settore. 

Le forme al momento più diffuse e conosciute di frode sono: il phishing, il pharming e il trojan horse. Il primo è di fatto un vero e proprio furto di identità e deriva dal termine inglese fishing (pescare, in questo caso dati). Attraverso l’invio di e-mail, ma anche contatti telefonici, contenenti falsi messaggi confidenziali vengono richieste all’utente, ignaro dell’inganno, informazioni riservate riguardo a dati personali, come il numero della carta di credito, quello del c/c, i codici di accesso ai conti on line,ecc.. Il secondo, il pharming, sempre con l’inganno, ma questa volta meglio dissimulato, carpisce la buona fede dell’utente presentando una pagina web identica a quella ufficiale di siti di banche, assicurazioni,poste,ecc. In questo modo l’utente è convinto di trovarsi , ad esempio, nel sito della propria home banking  e di compiere le normali operazioni sul proprio c/corrente on line. A questo punto, una volta digitati - id e password - il gioco è fatto.

Tramite un trojan horse, il terzo sistema di inganno, che consiste in un programma che permette l’accesso ad un altro utente, diventa possibile utilizzare i dati a scopi fraudolenti.

Ma non finisce qui. Le occasioni per cadere nella “rete” delle truffe sono davvero molte. A volte navigando in un sito basta cliccare su un banner  con un logo che attrae, uno sfondo che piace e all’insaputa si scarica un programma, chiamato dialer, che crea automaticamente una connessione verso  numeri telefonici  che costano un occhio della testa. Come quelli che cominciano con il prefisso: 144, 163, 164, 166, 899 e di recente il 709. Peggio ancora se crea una connessione con prefissi satellitari e internazionali, in questo caso si può arrivare a pagare 3 euro per ogni minuto di navigazione, quindi 180 € all’ora!!  

La situazione è insomma da allarme rosso. I c/c svuotati, le carte di credito clonate, i codici segreti violati  e le bollette telefoniche a 4 e 5 cifre, restano all’ordine del giorno, nonostante l’impegno della Polizia Postale e delle Comunicazioni e le continue esortazioni ad una maggiore attenzione da parte delle banche e istituiti finanziari.

La minaccia dei criminali informatici si è ormai capito non si combatte con leggi e disposizioni, sono necessari invece formazione e esperienza. Troppo spesso infatti le truffe vengono messe a segno per i programmi non sempre affidabili, troppo vulnerabili , ma anche e soprattutto  per l’impreparazione e la scarsa attenzione dell’utente. E’ bene allora , almeno per  ciò che ha a che fare con i servizi finanziari che sono  in definitiva quelli più colpiti e che per i danni che comportano sono anche quelli che  fanno più “male”, tenere a mente una serie di indicazioni per proteggersi da questo tipo di fregature che il web  può regalare.

Bisogna intanto tenere presente che nel settore dei servizi finanziari identità e soldi sono “virtuali”. Ci si autentica, come si dice nel gergo, con la propria password e si prelevano e spendono i soldi digitando i propri codici di sicurezza. Non c’è più insomma chi falsificando firme o forzando la cassaforte si appropria della nostra identità o dei nostri soldi, oggi si ci rubano molto probabilmente è per colpa nostra.

Password e codici vanno quindi custoditi con la massima attenzione. Il modo migliore e più sicuro per non perderli è quello di memorizzarli. Ma se proprio non ci si riesce, perché sono tanti, è  del tutto sconsigliato trascriverli su blocchi notes, fogli e agende che stanno vicino al Pc e digitarli davanti ad altre persone. Mentre è buona regola  quella di cambiarli di frequente e di disabilitare nei siti web il completamente automatico.

 Analogo discorso per le Carte di credito, sempre più diffuse e utilizzate. Per mantenere un buon livello di sicurezza è opportuno non affidare la carta ad altri, non fornire il Pin e non perderla di vista al  momento dei pagamenti. E’ preferibile inoltre avere carte le cui  società emittenti offrono l’utile servizio di alert, ossia l’avviso in tempo reale  di avvenuta transazione. In questo modo si può intervenire immediatamente in caso di operazioni sospette. Fermo restando che è indispensabile controllare l’estratto conto periodico per contestare ,entro 60 giorni, eventuali spese mai effettuate.

Per gli acquisti su internet , prima di utilizzare la carta di credito  è necessario verificare l’identità e la credibilità del sito. Come è opportuno appurare  che il sito dove si intende fare acquisti utilizzi protocolli di sicurezza che permettano di identificare l’utente.

L’icona di un lucchetto, che compare durante la transazione, attesta che in quel momento la connessione è sicura. Affinché  la transazione vada a buon fine serve solo il numero della carta di credito, l’eventuale codice posto sul retro e la relativa scadenza e nessun altro dato troppo personale.

Il livello di consapevolezza  degli utenti connessi alla rete è quindi al momento l’unico vero strumento di difesa contro il dilagare delle attività delinquenziali su internet. Solo conoscendo il problema ci si può difendere. Del resto,  prevenire è meglio che curare.

PALCOSCENICO DELLA NATURA

di Alessia Della Casa

Il mondo. Ecco il palcoscenico più grande e meraviglioso!

Infiniti i suoi spettacoli e il sipario non si chiude mai. Non divide le storie e non separa il pubblico dagli artisti.

Per questo articolo non potevo stare a scrivere chiusa tra quattro mura davanti a uno schermo. Dovevo essere qui, con carta e penna alla “vecchia maniera”, dove voglio portare chiunque legga queste parole, oltre uno sfondo piatto e bianco, oltre il segno nero delle lettere, che ha già tracciato sentieri e percorsi.

Mi trovo in un bosco vastissimo, al limite di un lago, attraversato da una miriade di sentieri e viottoli. Profumato da fitti abeti, dal tronco lungo e dritto. Formato da colline dolci di terra e sabbia, che va scoprendosi verso il limitare dell’acqua, dove lascia intendere una piccola spiaggia tutt’intorno. Poco più in là un canneto, coppie di anatre e cigni smuovono l’acqua pressoché stagnante.

Nel verde.

Dove ogni direzione sostiene la libertà di un sentiero.

Dove ogni rumore attutito rilascia lo spazio di un pensiero.

Dove ogni animale è libero di trovare la sua pacifica naturalezza

Disincastrato da ogni rigida routine.

La Lettonia offre in questo senso una vastissima superficie naturale, un paesaggio ancora risparmiato al passo irruente dell’uomo d’oggi, che vede in ogni spazio verde un nido perfetto per la sua industria. Questo paese mantiene tutt’ora il 44% della sua superficie a foresta (percentuale notevole rispetto a un 10% di Danimarca e Cina, e ad un 8% della Gran Bretagna) e ospita in essa specie rare e protette di piante e animali.

Il destino vuole che la macchina fotografica che porto con me abbia la batteria scarica.

Mi inoltro così in questo parco immenso respirando la purezza dell’atmosfera, senza intoppi tecnologici ad incatenare le sensazioni, senza possibilità né bisogno di portare con me un luogo che può essere solo dov’è!

È una domenica soleggiata di primavera, e la gente esce dai vestiti stretti del centrocittà, per vestirsi di verde, per girare nelle ampie gonne dei rami e godere di tutta la luce che ripaga dal lungo grigiore d’inverno. È una danza di colori e odori intensi, che incanta grandi e piccoli e invoglia a trovare nuove idee: chi pesca, chi riposa, chi va in bicicletta o coi rollerblade, chi prende il sole disteso nelle radure e chi fa pic-nic all’ombra delle fronde.

Si vede negli occhi ancora la luce della vita rurale, il cercar e trovar pace nella tranquillità semplice di un bosco.

Nell’ammirare i cigni alla riva del lago.

Nel sedersi ad ascoltare il canto degli uccelli.

Nell’annusare l’odore forte dei pini.

Tutto questo basta a riempire un giorno di festa, senza nessuna ulteriore pretesa, assaporando la freschezza dei colori a seguito di una totale assenza, respirando l’aria aperta ora più tiepida e mite.

Si sente che la Natura basta nel suo ruolo, senza supporre altri interessi o guadagni, se non la Salutare bellezza e la Genuina libertà.

Ogni cosa in questo posto rispecchia la naturalezza del popolo, dall’alimentazione allo stile di vita. Certo agli occhi europei questa gente sembra essere molto arretrata e per certi aspetti quasi non ancora civilizzata, ma è bene pensare sempre a cosa ci insegnano le diversità, forse non solo a giudicarci migliori, bensì a ritrovare aspetti che abbiamo perso, a rivalutare le ricchezze che abbiamo sminuito.

Vale la pena dunque ricordare sempre il nostro ruolo da artisti, da protagonisti sul palcoscenico del mondo per poter gustare l’emozione di un successo, per poter condurre una storia che si basa su di noi, che senza di noi non avrebbe senso e che, soprattutto, senza palcoscenico non avrebbe luci ad illuminarla.

IL RITORNO DEL LATTE DI CAPRA E DEI PRODOTTI CASEARI CAPRINI SULLE TAVOLE DEGLI ITALIANI

di Paola Saraceno

“Aspettative di sviluppo economico del comparto caprino in Italia: rilancio della produzione primaria e apertura al mercato dei prodotti salutistici innovativi” questo il titolo dell’incontro organizzato da Amalattea nell’ambito della Fiera Tutto Food di Milano, il 6 maggio scorso.

Un’iniziativa dedicata all’allevamento della capra ed alla trasformazione del suo prezioso latte per promuoverne il consumo sull’intero territorio nazionale.

Moderato dal giornalista Rai Sandro Vannucci, già conduttore di Linea Verde, l’interessante convegno tenuto da autorevoli relatori ha affrontato i temi dell’innovazione nella produzione agro-zootecnica caprina, degli aspetti nutrizionali e organolettici del latte di capra e dei suoi derivati (yogurt, budini, gelati, formaggi), della commercializzazione di queste produzioni di origine zootecnica sempre più apprezzate dai consumatori italiani.

Ad apertura lavori, due dati significativi snocciolati da Camillo Gardini presidente di CDO agroalimentare. L’agroalimentare italiano contribuisce al 15% del Pil nazionale, ma poggia solamente per il 2,5% - 3% sull’agricoltura e sugli allevamenti del Bel Paese. Dura l’analisi delle cause. Secondo Gardini l’ assopimento imprenditoriale degli agricoltori del Bel Paese ed uno scarso orientamento all’innovazione di prodotto ed alla vendita.

Alla presenza di tanti allevatori e distributori di agrozootecnia made in Italy, il prof. Giovanni Caldarone, presidente dell’Associazione Italiana Dietetica e Nutrizione clinica del Lazio, ha posto l’accento sulle indicazioni nutrizionali e dietetiche del latte di capra.

Per la particolare composizione qualitativa della sua frazione proteica è spesso preferibile a quello di vacca nell’alimentazione di bambini ed adulti affetti da intolleranze alle proteine del latte vaccino. E’ più digeribile grazie alla ridotta dimensione dei globuli di grasso. Presenta anche un’alta percentuale dell’amminoacido taurina che svolge un’azione positiva durante l’accrescimento e lo sviluppo. “Sfatiamo un mito – ha detto il prof. Caldarone – il consumatore non sceglie un prodotto sulla base dei parametri nutrizionali, ma in base al gustosità, alla sicurezza, alla provenienza certificata della materia prima. Le produzioni caprine italiane sono, prima di tutto, buone e sane.

Maurizio Sperati, presidente del Gruppo Amalattea,  azienda che in Italia tira la volata al latte di capra ed alle produzioni da esso derivate, ha centrato l’intervento sulle problematiche della commercializzazione dei prodotti caprini. << Il nanismo dimensionale degli allevamenti – ha detto – determina altissimi costi di approvvigionamento della materia prima nelle fasi di selezione delle imprese fornitrici, della definizione dei contratti di acquisto, di raccolta del latte, di controlli igienico-sanitari e organolettici sul latte crudo in ingresso negli stabilimenti di trasformazione”. Altri elementi critici – secondo Sperati - sono la stagionalità delle produzioni dovute in prevalenza alle sincronizzazioni dei parti delle capre e la necessità di continui investimenti sul versante della promozione del comparto lattiero-caseario caprino d’ eccellenza per incrementarne il consumo domestico ed il consumo attraverso il canale ho.re.ca.

Ad Edoardo Rapelli, giornalista Mediaset e conduttore da nove anni della trasmissione televisiva Mela Verde, è stato assegnato l’intervento finale del forum di approfondimento.  Il giornalista impegnato nella battaglia contro la globalizzazione del gusto e la massificazione dei comportamenti dei consumatori, ha speso belle parole per il rilancio di realtà agricole poco conosciute che conservano sapori, aromi, tradizioni uniche e preziose. Tra queste i tanti allevamenti di capra presenti in Sardegna, che alleva ben 1/3 dell’intera popolazione caprina italiana, ma anche nel Lazio, in Basilicata ed in molte aree appenniniche e alpine.

Una nuova stagione, dunque, per l’allevamento della capra nel nostro Paese, considerata per troppo tempo zootecnia negletta e marginale. Di grande attualità la preannunciata fondazione di un polo caprino italiano fatto di allevatori, imprese di trasformazione e istituzioni.

L’auspicio è che sia sempre più frequente banchettare, così come hanno fatto gli ospiti di Amalattea, con prodotti a base di latte di capra dal gusto inconfondibile.

A TUTTOFOOD 20mila visitatori professionali qualificati.

20% provenienti dall’estero

Sono stati oltre 20 mila, di cui il 20% esteri, i visitatori della prima edizione di TUTTOFOOD, la mostra professionale dell’alimentare di Fiera Milano, che ha chiuso i battenti l’8 maggio al quartiere espositivo di Rho con ampia soddisfazione delle aziende presenti.

I 1.200 espositori sono così stati premiati da un afflusso di pubblico significativo non solo in termini quantitativi ma soprattutto in termini qualitativi.

Il carattere di mostra strettamente b2b di TUTTOFOOD ha infatti consentito agli espositori di concentrasi sui contatti di business, ottenendo il massimo risultato dalla manifestazione.

 “Abbiamo cercato di caratterizzare e distinguere TUTTOFOOD - aggiunge Ernesto Calaprice, amministratore delegato di Sifa, la società del gruppo Fiera Milano che organizza la mostra - con tre elementi: qualità del visitatore, innovazione e soprattutto internazionalità. Un’internazionalità testimoniata dal grande numero di buyers esteri, che si sono aggiunti a quelli nazionali, che hanno visitato la mostra, in rappresentanza di catene della grande distribuzione e ristorazione.  la valorizzazione di questa mostra è fondamentale per il successo dell’Expo del 2015 che proprio come tema ha scelto l’alimentazione del mondo”.

I quattro giorni di manifestazione sono stati arricchiti da importanti momenti informativi e di aggiornamento professionale, che hanno fatto di TUTTOFOOD non solo un importante evento commerciale ma anche un forum aperto all’approfondimento di tematiche di attualità nel settore. Tra questi momenti figurano il convegno sulla valorizzazione in chiave salutistica dei prodotti derivati dal latte i capra, l’ottavo congresso di Scienza e tecnologia degli alimenti. Contemporaneo a TUTTOFOOD l’evento “Il mondo in un piatto”, diretto alla valorizzazione della grande cucina italiana nel mondo attraverso un contest in cui si sono misurati cinque nostri acclamati chef che lavorano fuori Italia.

E infine il Cheese Award, il premio per i migliori formaggi in mostra, nato per valorizzare l’offerta casearia e rafforzarne la presenza sui mercati internazionali.

Ci si prepara così all’Expo del 2015 che proprio come tema ha scelto l’alimentazione del mondo”.

I VECCHI DEL CINEMA

di  Carla Rinaldi

Da un mese circa è deceduto Luigi Comencini, il regista che come Truffaut, amava i bambini.

Indimenticabili  “Pinocchio”, “Marcellino pane e vino”, le sue storie ordinarie e  malinconiche come “tutti a casa”, “a cavallo della tigre”, “La ragazza di Bube”, “Incompreso”, e le sue incursioni nella commedia “”mio Dio come sono caduto in basso”, “Quelle strane occasioni”. Ne ha girati tanti di film Comencini, apparteneva a quel certo cinema d’artigianato che non si fa più, erano gli anni di Risi, di Monicelli, di Scola, di Petri, questi registi si consultavano tra loro, si facevano da parte davanti ai signori sceneggiatori che lavoravano per loro, erano amici dei loro attori, erano maniscalchi semplici di opere estatiche. Con Comencini se ne va un altro pezzetto di storia del cinema, della sua generazione Monicelli è sempre più incazzato e per fortuna è vigile come un ventenne, si dice infatti che sul seti del suo ultimo film “La rosa del deserto”, i “giovani” Placido, Haber, sudassero sette camicie per stargli dietro; resta Scola che continua a fare bei film e continua a lanciare l’allarme sulla mancanza di veri e bravi scrittori del cinema, lancia saette contro il cinema manierista e colpisce chi dice di saper fare tutto da solo; resta Risi, il grande scrutatore dei cambiamenti di costume nazionali, forse il più bravo a racontare il boom degli anni ’60 attraverso storie apparentemente inconciliabili, un regista che potrebbe dire ad alta voce che molti registi, a partire da Cuccino, della nuova leva, sono suoi epigoni diretti; resta anche Olmi, strano caso di regista completamente a sé, quel tipo di uomo che ti dà davvero l’idea che vive come racconta.

Molti dei loro attori sono scomparsi già da tempo, molti suppongono che senza un nuovo Volontè, senza un Mastroianni, un Manfredi, un Gassman, un Tognazzi, quel cinema non sarebbe stato com’è stato. Ma Tognazzi senza Ferreri sarebbe mai diventato quel maledetto eroe in sordina di casi strani della vita? E Gassman senza Risi o senza Monicelli, avrebbe mai potuto essere riconosciuto come l’incontrastato mattatore? E Mastroianni senza Fellini non poteva rischiare di diventare un vecchio scialbo e belloccio Accorsi?

Questo ci insegna che il cinema oltre ad essere urgenza, è fusione, la vera differenza tra quello di ieri e quello di oggi sono i produttori. Un tempo un Lombardo, un Ponti, un De Laurentis, si ipotecavano le case per finanziare i loro sogni, oggi si comprano le case quando i film nemmeno escono in sala.

Vi ricordate quella legge ministeriale varata pare anch’essa da Andreotti che doveva sovvenzionare il cinema italiano? Giusta e saggia ma come tante cose in Italia sapete com’è stata effettivamente trasformata? In elargizioni da parte di incompetenti al ministero che nemmeno leggono il progetto ma lo approvano solo per conoscenze e parentele. Non ci meravigliamo quindi che la maggiori parte delle pellicole finanziate con mille diciture a favore dell’interesse culturale siano spesso gran cazzate e non incassino neanche l’euro di presenza. Ma se Comencini nascesse oggi, secondo voi riuscirebbe a girare i suoi capolavori? Secondo me no e che cosa avremmo noi cinefili?

Un uomo onesto in più e un gran regista in meno.

CONSIGLI PER UN BUON SOFFRITTO DI BASE

di Antonio Penzo

Il pasto o mangiare che devi preparare, o giovane sposa, deve essere allettante e non greve; quindi attenta ai profumi che il desinare emana.

La cucina che fai deve essere povera, di prodotti che si trovano a basso prezzo o che puoi trovare nell’orto o predisporre tu stessa. Il tuo giovin marito se ne rallegrerà due volte: uno perché sai solleticare pienamente i suoi sensi e uno perché sei attenta allo spendere.

Una delle cose che devi sapere fare è un buon soffritto.

Non ci vuole molto, neanche una mezzoretta.

Partiamo dallo strumento di cottura: una bella padella larga e poco profonda, senza coperchio.

Poi carota, sedano e cipolla, che lavi bene ed asciughi e vanno tritati finemente con il coltello sul tagliere di legno, nell’ordine e poi messi nel tegame con un po’ d’olio ad imbiondire, con uno spicchio di aglio, fino a che la cipolla non rosoli, rigirando velocemente con un cucchiaio di legno.

Il taglio della cipolla ti avrà fatto lacrimare, ma i tuoi occhi saranno ancora più belli all’occhio del tuo sposo.

A questo punto, togli dal fuoco ed elimina il liquido di cottura e lo spicchio d’aglio: devi sapere che l’aglio se cuoce troppo diventa amaro.

Hai così preparato la base dei tuoi piatti.

Ora puoi procedere aggiungendo: del peperoncino, o del pomodoro, o della carne per ottenere il ragout.

Puoi utilizzare la padella per fare saltare la pietanza con il soffritto, in modo da amalgamarsi bene, o aggiungere la pasta scolata e rimescolare affinché tutta sia avvolta nel soffritto.

Con la carne macinata, stai attenta, prima agisci a fuoco alto, poi abbassalo, così da non fare uscire i sughi e così non induriscono.

Il formaggio, grattugiato di fresco, mettilo all’ultimo momento, prima di scolare nel piatto la pasta ed accompagnalo con la formaggiera piena a sazietà dei commensali.

Non usare mai frullini o robot, ma le tue mani con coltelli, mezzelune e tagliere di legno, stando attenta a non tagliarti le dita.


PENSIERI SCIOLTI

di Paola Cerana

"Ciò che è ritenuto reale produce conseguenze reali"... più o meno così scriveva Florian Znaniecki, sociologo della conoscenza polacco, partendo da un'analisi della triste realtà del suo popolo e del suo tempo. Eppure questo concetto resta vivo e attuale, lo si può constatare nelle più diverse situazioni quotidiane, a pensarci bene , anche le più banali.

Chissà quanto avrebbe avuto da raccontare Znaniecki se, per esempio, avesse conosciuto il mondo della comunicazione virtuale di oggi, questa magia sospesa tra monitor e etere... questa tensione tra tecnologia ed emozione, inimmaginabile fino a qualche anno fa. La dimostrazione di come un pensiero, un'idea gettata così per caso in rete possa far nascere imprevedibili e affascinanti relazioni, aprire porte a progetti inattesi, modificare addirittura la considerazione di sè, mobilitando un fermento cerebrale ed emotivo, motore a sua volta di  stimoli e crescita personale.

Senza dimenticare tutti i rischi che tale mescolamento di dimensioni può comportare, sì perchè non è semplice mantenersi in equilibrio tra la realtà tangibile a cui si è abituati, che ci conforta ma che spesso  ci sta anche un po' stretta, e le potenzialità apparentemente infinite che la realtà virtuale ci offre, lasciandoci immaginare di poter diventare di "più"... più belli, più ricchi, più capaci, più affascinanti, senza limiti, basta crederci! 

Insomma, virtualità e realtà finiscono con l'intrecciarsi beatamente, sfumano l'una nell'altra, fanno quasi a gara per ottenere più spazio, più verità, più diritto! .....

Il rischio di ubriacarsi è alto ma se si è in grado di godere della piacevole ebbrezza della virtualità, sfruttandola e non subendola, ecco che questo mix può risultare straordinariamente gratificante. Occorre saper interpretare i segni e selezionare gli stimoli!   

Ecco, forse questa è la strada dei sogni, chissà... basta crederci, appunto e diventano realtà!

LA PARTENZA

di Luigina Giovannini


Ogni volta che arriva l'estate ricordo quando, col naso all'insù e lo sguardo incollato al calendario appeso in cucina, andavo in cerca di quel segno a penna che mio padre tracciava per indicare il giorno della partenza per le vacanze estive. I mesi meno interessanti erano trascorsi, la scuola era finita e, di lì a poco, luglio avrebbe fatto il suo ingresso. Era il tempo in cui le ferie erano lunghe e le estati calde e rassicuranti. I preparativi, a casa mia, iniziavano sempre con molto anticipo. Mia madre organizzava tutto nei minimi dettagli, preparava con cura gli abiti per il viaggio, metteva in disparte quelli che sarebbero andati nelle valige e passava in rassegna ogni cosa infinite volte, in modo quasi maniacale, per il timore di dimenticare qualcosa di importante.

Questa fase durava due o tre giorni. A me pareva un'eternità: quello che per i miei genitori era un viaggio lungo e faticoso, per me, invece, aveva il sapore del mare e del sole. Immaginavo la sabbia bianca e fine di Marina di Campo, il profumo intenso che usciva dalla panetteria di Osvaldo e quella pizza con i capperi che mi piaceva tanto. La sensazione di impazienza per quel viaggio tanto atteso, non si placava in nessun modo e, la sera prima della partenza non riuscivo ad addormentarmi. Il viaggio cominciava al mattino presto. Un taxi ci portava alla stazione dei treni e, in mezzo alla confusione generale, raggiungevamo la banchina, dove una folla enorme con bagagli al seguito, aspettava impaziente. C'era qualcosa di diverso negli occhi di quei viaggiatori, qualcosa che potevi leggere solo in quel periodo dell'anno, quando tutti lasciavano la città, per raggiungere i luoghi in cui avrebbero dimenticato, almeno per un po, le fatiche di un anno. Le voci erano allegre e c'era ovunque una trepidazione palpabile e contagiosa. I facchini arrancavano trascinando enormi pile di valige e i venditori ambulanti, urlando, proponevano ai passeggeri: bi bite, panini e l'immancabile caffè Borghetti. La prima parte del viaggio si concludeva a Campiglia Marittima, lì il treno si fermava, molti passeggeri scendevano e aspettavano la littorina per raggiungere il porto di Piombino. Appena raggiunta la banchina, il treno spalancava le porte e finalmente avevamo di fronte il mare. Quella, pensavo, era casa mia, quello l'elemento che al di sopra di ogni cosa governava la mia vita di bambina.

Un richiamo irresistibile che ancora oggi mi cattura. Ricordo il "Calimero" un piccolo traghetto bianco e nero. Pareva proprio un guscio d'uovo, come quello sulla testa del pulcino di "Carosello". Appena giunti a bordo, mio padre sistemava i bagagli e poi ci raggiungeva nel salone della nave ma, io e mio fratello, avevamo altro da fare. Andavamo a poppa e osservavamo i mozzi intenti ad eseguire le operazione che precedevano l'avvio dei motori.

Le vibrazioni erano così forti che potevamo sentirle sotto i piedi. Nello stesso momento le eliche facevano ribollire l'acqua con una forza impetuosa. Lentamente la nave si allontanava dal porto, fino a quando diventava un punto minuscolo dietro di noi prima di entrare in mare aperto. Le panchine del ponte superiore erano sempre piene di viaggiatori, già in cerca di sole, spalmati di crema abbronzante. Si sentiva nell'aria un profumo di olio di cocco misto a salsedine e, in sordina, la musica di qualche radiolina. Molti stranieri, comitive di ragazzi con in spalla zaino e sacco a pelo e la mitica "vespa" ancorata nella stiva della nave, famiglie con bambini e molti isolani che lasciavano "il continente", per tornare sull'isola natia. Questi, anno dopo anno, erano i visitatori occasionali dell'Isola d'Elba, meta ambita dove trascorrere le vacanze. Un punto verde nel blu di un mare che in quegli anni era davvero splendido da ammirare. Erano gli anni settanta, avevo sette anni ma l'immagine di quei momenti è rimasta nella mia memoria e, con essa, anche l'atmosfera che accompagnò quel giorno per me così speciale


I SERVIZI PUBBLICI LOCALI
TRA “CONCORRENZA” E “IMPRENDITORIALITÀ”
(seconda parte)

di Nedo Biancani

Le  forme di gestione dei servizi pubblici locali sono differenziate a seconda che si tratti di servizi sociali, per i quali è prevista la forma dell'istituzione, oppure di servizi di interesse economico, per cui invece è prevista la forma della gestione in economia (laddove il servizio abbia modesta rilevanza economica), la concessione, l'azienda speciale e la società mista a prevalente capitale pubblico.

Nel corso degli anni questi schemi hanno subito una qualche modifica, in primo luogo a causa del recesso del modello dell'azienda speciale di cui viene prefigurata, ad opera della legge Bassanini bis, la trasformazione in società di capitale, che non deve avere più soltanto la forma di società per azioni ma può anche assumere quella della società a responsabilità limitata. Per altro verso, il modello della società mista viene ulteriormente articolato, nel senso che si prevede anche la possibilità di avere società a prevalente partecipazione privata.

Il D.Lgs. n. 267/00 (Testo Unico delle norme sull'amministrazione locale) riproduce agli art.112 e segg. le norme originali della L. n. 142/90 integrate con le modifiche apportate nel corso del decennio, ma l'attuale assetto normativo si pone in radicale contrasto con la normativa europea. A riprova di ciò sta anche il fatto che nel corso della passata legislatura si è faticosamente discusso ed elaborato un disegno di legge volto alla modifica degli Art. 22 e segg. della Legge 142/90, sopratutto al fine di adeguare le forme di organizzazione dei servizi pubblici locali ai principi europei.

Il citato disegno di legge prevedeva, innanzitutto, il ricorso generalizzato alla gara per l'affidamento del servizio, ricorso che finora era stato escluso in tutti quei casi in cui il servizio veniva affidato direttamente a una società mista di cui fosse socio l'Ente locale. In tal caso, secondo giurisprudenza costante della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, si deve procedere all'affidamento diretto in base alla considerazione che sarebbe antieconomico che un Comune costituisca una società per azioni con capitale proprio per la gestione di un certo servizio e che poi esista la possibilità che detto servizio, essendo affidato mediante gara, sia gestito da un soggetto diverso dalla società mista comunale. Tuttavia, quando quest'ultima è oggetto di affidamento diretto, la fattispecie si pone in contrasto con il diritto europeo, che esige in linea generale per tutti i sevizi (e quindi anche di interesse economico generale) l'utilizzo del principio concorsuale.

Si pone, inoltre, una peculiarità in relazione alla figura della società a partecipazione pubblica minoritaria. È complesso, infatti, trovare una giustificazione all'affidamento diretto ad una società a partecipazione pubblica minoritaria che, pur essendo razionale con riguardo all'apporto di capitali e di competenze che i gestori privati possono apportare nella gestione del servizio, non lo è in considerazione del privilegio accordato agli imprenditori confluiti nella società mista rispetto a quelli che devono necessariamente sottostare al principio concorsuale. Non è, quindi, un caso che nel disegno di legge n.4014 si prevedeva la soppressione delle società miste con partecipazione minoritaria dell'Ente locale.

Gli economisti hanno spesso sollevato il cosiddetto problema del "nanismo" delle imprese di erogazione dei servizi. In Italia, infatti, i servizi pubblici locali sono inefficienti proprio perché localizzati in ambito comunale e perché gestiti da imprese, siano esse concessionarie o società miste, che operano solo ed unicamente in quell'ambito territoriale. È per questa ragione che si è cercato di valorizzare la partecipazione alle gare anche di soggetti collocati territorialmente al di fuori del territorio comunale.

Le considerazioni svolte finora trovano, però, un limite insormontabile nel fatto che il disegno di legge di cui si discute è naufragato con la passata legislatura, nell'ambito della quale era stato osteggiato, tra l'altro, dalle stesse aziende di erogazione dei servizi che hanno mostrato non poche reticenze all'introduzione di un sistema concorrenziale.

* * *

Allo stato attuale pressoché tutti i grandi servizi pubblici nazionali sono stati privatizzati, mentre i servizi pubblici locali rimangano ancora "chiusi nei loro recinti". Questa deroga al diritto comune ed al diritto europeo ha trovato giustificazione nelle finalità sociali e di sviluppo locale che si vogliono sottendere a detti servizi.

Ma non si può comunque prescindere dal fatto che il diritto europeo poggia in modo inequivocabile e generalizzato sui principi di concorrenza e di mercato, dal che deriva che i pubblici poteri possono gestire privatamente i servizi pubblici pur non prescindendo dalle finalità insite negli stessi servizi.

Pertanto, non sembra più corretto parlare di pubblici servizi, ma è invece opportuno porre l'attenzione sull'esistenza di un mercato regolato avente ad oggetto servizi universali non necessariamente erogabili da pubblici poteri.

* * *

Nello specifico comparto dell’energia, l’approccio valido è quello delle multiutilities, ossia di soggetti in grado di generare un’offerta di più servizi, di cui il caso ASM Brescia costituisce forse uno dei più rappresentativi esempi di eccellenza: nata nel 1908 da una delibera del Comune di Brescia, con l’affidamento della gestione del servizio tranviario e della fabbrica del ghiaccio, nell'ultimo decennio del secolo ASM coglie come una interessante opportunità la forte spinta al processo di liberalizzazione del mercato energetico e si trasforma, nel 1998, da azienda municipalizzata a società per azioni, con un capitale sociale rappresentato da 1.306.536 azioni detenute per il 99,49% dal Comune di Brescia. È tra le prime ex municipalizzate ad entrare nel mercato dell'approvvigionamento di energia elettrica di importazione e a conseguire, prima e unica ex municipalizzata italiana, la qualifica di "responsabile di equilibrio" in Francia, potendo in tal modo agire come acquirente e venditore all'ingrosso di energia elettrica direttamente in Francia.

Nel campo ambientale, settore in cui opera la struttura dello Studio Omega, in particolare quello della raccolta dei rifiuti solidi, le più frequenti ipotesi di privatizzazione si riscontrano all'estero.

La nostra esperienza nella riprogettazione dei servizi di raccolta dei rifiuti solidi urbani a livello di territorio comunale evidenzia come le esperienze estere possono essere replicate anche in Italia, con uguali e soddisfacenti risultati.

Ciò è però possibile soltanto se la parte pubblica migliora di molto le sue capacità di controllo e selezione degli affidatari.

“NOSTALGHIA” DI ANDREI TARCKOVSKY.

Analisi dell’opera

di  Ali Baidoun

Ovvio che “Nostalghia” non può essere considerato come un film narrativo, neanche un film concettuale.

In questo film, Tarckovsky è riuscito ad utilizzare i suoi elementi cinematografici in un modo estetico che serve a elaborare il suo concetto, ma d’altra parte, il suo concetto non era l’unico nel fascino del suo film, c’era la storia soggettiva del suo punto di vista dell’Italia, che era abbastanza unica e affascinante.È per questo, penso, che questo film può essere considerato come un film concettuale e narrativo nello stesso tempo.

Così, il suo montaggio è molto particolare, poiché ha dei caratteri narrativi, ritmici e sopratutto estetici.

Già del titolo di questo capolavoro di Tarckovsky, viene il senso di tempo, tempo passato in una terra di bellezza storica.

Fare un montaggio di un tema così spirituale, è proprio di una intelligenza artistica.

Tarckovsky ci ha dato attraverso i suoi piani lenti, il vero sentimento del passaggio del tempo.

Far sentire il tempo con questi movimenti della cinepresa, già è un rischio per il successo del film, perché è noto che il montaggio classico è quello che ti fa vedere gli eventi cinematografici in un breve tempo con dei piani corti e veloci.

In Tarckovsky, invece, il tempo stesso è un evento cinematografico, così ha costruito il ritmo del film, un ritmo sensibile che dipende da tutti gli altri elementi, dato che non era classico nella sua scelta dell’equilibrio del tempo.

Concettualmente, con i suoi lenti “Travellings” è riuscito a farci toccare il posto dove si girava la scena, anche a farci sentire la sua nostalgia diretta e la sua nostalgia filosofica nello stesso tempo.

Sopratutto come usava i suoni dei rumori degli oggetti, o magari il suono degli alberi, o il rumore della pioggia sul ferro: sono tutti degli elementi che ci aiutavano ad arrivare alla tema della nostalgia.

Usava dei suoni sia brutti sia belli, ma l’ideale per lui era usarli veri, per darci il senso onesto sul livello sonoro, perchè gli interessava presentare la vera memoria del posto e dell’evento cinematografico.

Il rumore della pioggia, l’abbaiare del cane, il suono dell’aria tra le foglie degli alberi, una bottiglia che cade..., sono tutti dei suoni usati, piccoli dettagli, però sono gli elementi più importanti in un tema come quella di “Nostalghia”.

A parte tutti gli altri elementi cinematografici che usava, il suo montaggio era un nuovo passo nella storia del cinema che ci ha fatto sentire il tempo in questa maniera minimalista.

Esteticamente, in questi movimenti, l’inquadratura era sempre perfetta, dall’inizio del “travelling” fino allo stop della cinepresa, dove Tarckovsky terminava sempre con una immagine che sembrava un dipinto con oggetti primitivi, che secondo lui erano gli elementi sensuali della nostalgia del protagonista.

L’’intelligenza di Tarckovsky è il suo successo nel trovare l’equilibrio tra queste diverse vie nel cinema, l’equilibrio tra il montaggio parallelo alla sua idea che costruisce il suo concetto voluto, e tra il ritmo che ha trovato nei suoi piani salvando sempre la narrazione e l’estetica del film.



[1] Sedile in pietra posto lungo la parete nord-ovest della cattedrale, salotto all’aperto, ritrovo, riposo, in definitiva specchio della cittadina

[2]   Confusione, baraonda, bailamme

[3] I miei libri sono ricchissimi di note che invito a considerare attentamente

[4] Leggo da Q2mila, periodico bimestrale del Quartiere 2, zona ove abito, anno 2 numero 5, dicembre 2001, pagina 7: “Abito in via Leonardo da Vinci e il problema mio e di tutti coloro che vanno a piedi è dovuto alla maleducazione dei proprietari di cani che lasciano che i loro animali facciano i bisogni sul marciapiedi. Tutte le mattine devo lavare davanti alla mia abitazione. Non ne posso più! Alessandra Paglicci Brozzi”. Più avanti, stessa pagina, Marcello Trentanove “… bisognerebbe perseguire chi fa depositare i bisogni dei propri cani sul marciapiedi o sulle piste ciclabili senza ripulirle…”

[5] Il mercato ortofrutticolo

[6]   Santa Maria del Colle, la chiesa per antonomasia

[7]   Santa Maria Goretti

[8] Quando queste cose sono notate da un giornalista come Paolo Rumiz, si grida all’untore!

[9] Quella dell’acquedotto

[10] Nel bel mezzo della piazza principale del paese

[11]   Vicoli e violetti, dal normanno venelle

 

FARONOTIZIE.IT  - Anno II - n° 15,  Giugno 2007

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