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Bye Bye Babylon: un innovativo esempio di graphic journalism

Scritto da Giusy Regina il 18 gennaio 2013
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 Bye Bye Babylon non è solo un romanzo, non è solo una cronaca, non solo un fumetto. Non è solo un racconto autobiografico ma tutto questo insieme, che a quanto pare si riassume nell’espressione graphic journalism.

L’autrice Lamia Ziadé (Beirut, 1968) si è trasferita a Parigi all’età di 19 anni per studiare arte grafica. Fino ad allora ha vissuto a Beirut, nel Libano massacrato dalla guerra per ben quindici anni. Nel libro rivive i ricordi della sua vita da bambina e adolescente e li fonde al contesto tragico in cui avvengono.

La prima cosa che mi ha colpito iniziando a leggere questo innovativo romanzo disegnato è stata l’assenza dei numeri delle pagine. Disorientante prima, entusiasmante poi. Sembra che non debba avere una fine. Pagine scritte si alternano a disegni esplicativi e rappresentativi che mostrano, come in un reportage un po’ caotico, la forma e i colori delle cose e delle persone descritte.

E proprio i disegni sembrano essere i grandi protagonisti nel libro. I colori prevalenti sono il nero e il grigio scuro e, trattandosi delle vicende di una guerra, è facile immaginarne il perché. Spesso poi questi disegni sono come immersi nel fumo, il fumo dei palazzi e delle case che bruciano, il fumo delle sigarette e delle parole, il fumo di un paese in fiamme che inesorabilmente muore.

All’inizio traspare il Libano moderno, i cui supermercati “traboccano degli stessi prodotti da sogno di quelli di New York e Londra”, un Libano che si considera la Parigi, la Las Vegas e la Monaco del Medio Oriente. Ma “poi, d’un tratto, Babilonia è scomparsa”.

È il 13 aprile 1975 quando scocca la scintilla e si entra nell’euforia della guerra. E la prima cosa a svanire è proprio quello stile di vita occidentale di cui i libanesi andavano così fieri.

L’autrice descrive puntualmente non solo le fasi del conflitto ma anche la percezione che i libanesi avevano, le paura e le teorie. E lo stare uniti in una situazione in cui tutti sembrano essere contro tutti: “è una guerra disinvolta. Da noi l’importante è lo stile”. Ma la guerra porta via tutto, l’anima stessa di un paese che cade a pezzi.

Dopo aver finito il libro, mi sono messa a riflettere, a riflettere sul libro stesso e sul genere che rappresenta. Ho iniziato così ad immaginarlo proprio con i disegni che l’autrice aveva fatto e mi sono chiesta: e se il graphic journalism ci rubasse l’immaginazione? Quello squisito insieme di volti e luoghi sfumati che prende forma nella nostra testa leggendo?

Non è proprio questo forse che rende lo stesso libro unico per ogni lettore? Forse si, forse no. Forse dipende dall’argomento e trattandosi di giornalismo si possono considerare le immagini come foto allegate.

Bye Bye Babylon resta comunque una testimonianza importante che narra attraverso la memoria la storia infinita di un popolo ancora in lotta per la libertà e la democrazia, emblema di molti, troppi, paesi arabi di oggi.

 

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