www.faronotizie.it - Anno XIX - n. 216 - Aprile

SPIGOLATURE

Scritto da Francesco M.T.Tarantino il 1 novembre 2012
facebooktwitterfacebooktwitter

Della prevaricazione

Nell’Antico Testamento il libro dei Giudici narra di un certo Iotam, il figlio più giovane di Gedeone o Ierubbaal, scampato alla carneficina messa in opera da suo fratello Abimelec  il quale:
“…andò alla casa di suo padre, a Ofra, e uccise sopra una stessa pietra i suoi fratelli, settanta uomini, figli di Ierubbaal; ma Iotam, figlio minore di Ierubbaal, scampò perché si era nascosto”  (Giudici cap.9, versetto 5).

Abimelec fece tutto questo per essere proclamato re dai Sichemiti, popolo dove risiedevano i fratelli e il padre di sua madre i quali parlarono alla città di Sichem a favore del loro congiunto perché aveva le loro stesse ossa e la loro stessa carne; e dissero: “È nostro fratello”.
Allora Iotam saputo ciò salì sul monte e a gran voce pronunziò questo discorso:
“Ascoltatemi Sichemiti e vi ascolti Dio! Un giorno, gli alberi si misero in cammino per ungere un re che regnasse su di loro; e dissero all’ulivo: ‹‹Regna tu su di noi››. Ma l’ulivo rispose loro: ‹‹E io dovrei rinunziare al mio olio che Dio e gli uomini onorano in me, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?›› Allora gli alberi dissero al fico: ‹‹Vieni tu a regnare su di noi››. Ma il fico rispose loro: ‹‹E io dovrei rinunziare alla mia dolcezza e al mio frutto squisito, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?›› Poi gli alberi dissero alla vite: ‹‹Vieni tu a regnare su di noi››. Ma la vite rispose loro: ‹‹E io dovrei rinunziare al mio vino che rallegra Dio e gli uomini, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?›› Allora tutti gli alberi dissero al pruno: ‹‹Vieni tu a regnare su di noi››. Il pruno rispose agli alberi: ‹‹Se è proprio in buona fede che volete ungermi re per regnare su di voi, venite a rifugiarvi sotto la mia ombra; se no, esca un fuoco dal pruno, e divori i cedri del Libano!›› (Libro dei Giudici, cap.9, versi 7b-15).

Proviamo a vedere il significato di questo racconto individuando innanzitutto chi sono gli attori: ci sono gli alberi che come abbiamo visto si misero in cammino per ungere un re che regnasse su di loro. Lo chiesero all’ulivo che oppose un netto rifiuto; lo chiesero al fico il quale si rifiutò di essere il loro re; lo dissero alla vite che altrettanto non ne volle sapere. Nelle motivazioni che queste piante addussero a giustificazione del loro rifiuto, oltre al non voler rinunciare alla loro peculiarità e svolgere la funzione per cui erano state create, motivarono, tutte, con la seguente espressione:
E io dovrei andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?

Abbiamo una prima prospettiva: la visione del potere come un qualcosa che inquieta, che disturba, che preoccupa, che agita; e nel caso degli alberi il venire agitati dal vento: infatti basta un filo di vento per agitare le loro foglie! Ebbene gli alberi interpellati preferivano dare i loro frutti e far star bene la gente anziché cedere alle lusinghe del potere che li avrebbe posti al di sopra degli altri ma avrebbero dovuto rinunciare al loro scopo: rallegrare Dio e gli uomini.

Un altro attore che scorgiamo in questa storia è il pruno, un arbusto spinoso con frutti aspri che in locuzione figurativa sta ad indicare un fastidio, una molestia; anche a costui gli alberi chiesero di essere il loro re. A differenza degli altri alberi questo arbusto pieno di spine, un parassita che sfrutta le altre piante per crescere, un pruno senza valore, accetta di essere il re degli alberi invitandoli tutti a rifugiarsi sotto la sua ombra; altrimenti esca un fuoco, dal pruno, e li divori.

Qui sta la chiave del racconto: ci troviamo di fronte alla pianta più insignificante, più brutta, senza valore, fastidiosa persino, che si erge sopra gli altri alberi mostrando tutta l’arroganza di cui era capace minacciando di distruggere col fuoco i suoi sudditi: coloro che l’avevano eletto.

Questa è la prevaricazione del potere: l’usurpazione con la violenza e l’inganno di un bene o di una funzione che spetta legittimamente ad altri; l’appropriazione indebita di un bene comune, l’abuso dello svolgimento di una funzione alla quale si è stati delegati.

La parabola raccontata da Iotam valeva allora, nell’antico Israele, come vale oggi che assistiamo ad episodi simili in cui l’arroganza, la prevaricazione, l’abuso, l’usurpazione, la prepotenza di gente da nulla, che in base a un non-ben-definito mandato, si crede padrona e pensa di poter fare il cazzo che le pare ignorando che ci sono delle regole alle quali anch’essa deve attenersi comunque.

Ritornando al nostro arbusto, accettò la carica di re perché solo così poteva manifestare il suo orgoglio, il suo essere qualcuno, il suo protagonismo, la sua smania di contare e non essere ignorato; ma non basta essere eletto! Se non si è all’altezza di svolgere un compito non bastano le minacce per tenersi il potere; prima o poi il  fuoco minacciato ne incendierà un altro che divorerà i detentori del potere.

Anche se la storia non insegna, tutto questo ce lo ha fatto, e ce lo fa vedere!

E cosa possiamo dire degli alberi? Anche se armati di buone intenzioni, nella ricerca di un loro simile che svolgesse le funzioni da re, furono superficiali, imprudenti, stolti e poco attenti nella scelta ricavandone la distruzione di sé stessi. Quando si vuol delegare a qualcuno la funzione di governo bisogna saper individuare se chi si propone lo fa con spirito di servizio per la collettività o per interessi personali, siano essi economici o semplicemente di prestigio. Quando si elegge una persona non degna, questa può sopravvivere solamente con l’arroganza della prevaricazione.

Oltre agli alberi e al pruno, un altro attore che incontriamo nel racconto di Iotam è il fuoco.

Esca un fuoco dal pruno, e divori i cedri del Libano è la minaccia che il pruno stesso scaglia contro gli alberi che lo hanno appena proclamato re, qualora le loro intenzioni non siano state in buonafede. Quanta malafede in un voto!

Nel linguaggio biblico il fuoco spesso viene associato all’ira di Dio come simbolo di distruzione o, quanto meno di purificazione; lo si può leggere in diversi profeti e nella Prima Lettera di Paolo ai Corinzi, cap.3, versetti 13b-15:
…poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l’opera di ciascuno. Se l’opera che uno ha costruita sul fondamento rimane, egli ne riceverà ricompensa; se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco.”

Altrove troviamo l’espressione “fuoco divorante” o “fuoco consumante” come nella Lettera agli Ebrei, cap.12, verso 29:
“Perché il nostro Dio è anche un fuoco consumante”.

O nel libro del Deuteronomio, cap.4, versetto 24, dove possiamo leggere:
“Poiché il Signore, il tuo Dio, è un fuoco che divora, un Dio geloso”.

Va da sé che il fuoco è sinonimo di distruzione, di purificazione, sotto la cui minaccia soggiace il timore di essere annientati. La minaccia del pruno è la manifestazione dell’arroganza e della prevaricazione di un essere insignificante che mediante il fuoco porta in sé una forza distruttiva capace di distruggere uomini e cose ben più alte di lui. È il potere, bellezza!

Per inciso Eraclito (filosofo del VI secolo a. C.), considerava il fuoco la sostanza di cui è fatto il mondo, e lo considerava dotato d’intelligenza: causa prima del governo dell’universo.

Oltre alle allegorie che abbiamo potuto vedere nel racconto dell’assemblea degli alberi e della loro scelta azzardata di scegliere un pruno anziché un albero più degno, continuiamo la lettura del racconto per cercare di comprendere la metafora a cui fece ricorso Iotam e qual’era l’intento che lui perseguiva. Leggiamo la continuazione del discorso:
“Ora, avete agito con fedeltà e con integrità proclamando re Abimelec? Avete agito bene verso Ierubbaal e la sua casa? Avete ricompensato mio padre di quello che ha fatto per voi? Infatti egli ha combattuto per voi, ha messo a repentaglio la sua vita e vi ha liberati dalle mani di Madian, mentre voi, oggi, siete insorti contro la casa di mio padre, avete ucciso i suoi figli, settanta uomini, sopra una stessa pietra, e avete proclamato re dei Sichemiti Abimelec, figlio della sua serva, perché è vostro fratello. Se oggi avete agito con fedeltà e con integrità verso Ierubbaal e la sua casa, godetevi Abimelec e Abimelec si goda voi! Se no esca da Abimelec un fuoco, che divori i Sichemiti e la casa di Millo; ed esca dai Sichemiti e dalla casa di Millo un fuoco, che divori Abimelec!”
(Llibro dei Giudici cap.9, versetti 16-20).

Risulta ben chiaro, dalla continuazione del discorso, dove Iotam voleva andare a parare: un farabutto, fratello di lui, figlio dello stesso padre non esita ad uccidere tutti i suoi fratelli pur di conquistare il potere ed essere riverito come un re, pur non avendone il diritto; infatti Abimelec era figlio di una serva di suo padre (senza nulla togliere alle serve), e per i tempi di allora non aveva nessun diritto di successione. Ma con l’inganno e la prevaricazione, a prezzo di sangue, conquistò il potere con l’approvazione di una città di stolti che vissero sotto la minaccia di questo neo re indegno di governare. Infatti nei tre anni di regno in cui Abimelec signoreggiò si crearono tali e tante tensioni tra lui e la gente di Sichem che culminarono con una ribellione che portò Abimelec alla morte e a una morte ignobile come era stata la sua vita: cadde schiacciato da una macina gettata da un muro, da una donna. Possiamo leggere come prosegue la storia dell’infame sempre nel cap.9, versi 22-24:
“Abimelec signoreggiò sopra Israele per tre anni. Poi Dio mandò un cattivo spirito tra Abimelec e i Sichemiti; e i Sichemiti non furono più fedeli ad Abimelec, affinché la violenza fatta ai settanta figli di Ierubbaal ricevesse il suo castigo e il loro sangue ricadesse su Abimelec, loro fratello, che li aveva uccisi, e sopra i Sichemiti che lo avevano aiutato a uccidere i suoi fratelli”.

Qui si comincia a intravedere il disegno divino di rendere giustizia al sangue versato dai settanta figli di Gedeone (o Ierubbaal), per mano del loro fratello Abimelec. Infatti dal versetto 50, al versetto 55 (capitolo 9), possiamo leggere l’ingloriosa fine di Abimelec:
“Poi Abimelec andò a Tebes, la cinse d’assedio e se ne impadronì. In mezzo alla città vi era una forte torre, dove si rifugiarono tutti gli abitanti della città, uomini e donne; vi si rinchiusero dentro e salirono sul tetto della torre. Abimelec, giunto alla torre, l’attaccò e si accostò alla porta per appiccarvi il fuoco. Ma una donna gettò giù un pezzo di macina sulla testa di Abimelec e gli spezzò il cranio. Egli chiamò subito il giovane che gli portava le armi, e gli disse: ‹‹Estrai la spada e uccidimi, affinché non si dica: “l’ho ha ammazzato una donna!”›› Il suo servo allora lo trafisse ed egli morì. Quando gli Israeliti videro che Abimelec era morto, se ne andarono, ognuno a casa sua”. 

La profezia di Iotam trova qui pieno adempimento in quanto il fuoco del pruno (Abimelec), uscì e divorò gli alberi (i Sichemiti), e dai Sichemiti (gli alberi), uscì un fuoco che divorò Abimelec (il pruno). Finalmente giustizia venne fatta! Leggiamo la conclusione del cap.9, versi 56-57:
“Così Dio fece ricadere sopra Abimelec il male che egli aveva fatto contro suo padre uccidendo i suoi settanta fratelli.  Dio fece anche ricadere sul capo degli uomini di Sichem tutto il male che avevano fatto; e su di loro si compì la maledizione di Iotam, figlio di Ierubbaal”.

Nessuna parola della maledizione di Iotam andò a vuoto; ci son voluti tre anni ma alla fine l’arroganza di un re indegno, la sua prevaricazione, la sua usurpazione, fu sconfitta e punita, come puniti furono coloro che l’avevano scelto.

Morale di questo racconto è che le responsabilità non sono solo di chi governa ma anche di quelli che stoltamente scelgono un candidato anziché un altro.

I riferimenti locali, extra-locali, nazionali e internazionali, li lascio alla fantasia di chi ce l’ha.