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CONTRAPPUNTI – Il peccato non è un arzigogolo -

Scritto da Francesco M.T.Tarantino il 1 luglio 2012
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Nella mia semplicità occupandomi di cose di Dio, e indipendentemente dagli studi di filosofia e di teologia, non avevo mai considerato il peccato “una provocazione teologica”. Forse dovuta alla mia limitatezza di non cattolico ma credente!

Ho provato a chiedere alla mia mamma, cattolica, e mi ha detto che per lei il peccato è “un’offesa a Dio” e ha escluso che sia una provocazione teologica, anche perché non sa cosa significhi teologia, dal momento che si è occupata sempre dei campi dove seminava grano o altro cereale, e patate; in un altro appezzamento, ereditato, un po’ di orto e qualche ulivo, qualche piede di vigna e un po’ di frutta. Inoltre ha dovuto pensare a farmi crescere, e la cosa è stata molto impegnativa; quindi di provocare Dio non ne ha proprio avuto il tempo. Però andava sempre a confessarsi (non ho mai saputo di che cosa!).

Non essendo molto ferrato, lo confesso, ho dovuto ricorrere ai miei dizionari per capire come il peccato può essere una provocazione teologica. Data la mia ignoranza (in questo assomiglio a mia madre), non ho trovato nulla che riconducesse il peccato alla suddetta provocazione, né l’ho capito leggendo l’autorevole scritto di chi presuntuosamente tutto sa e tutto afferma secondo la sua personale convinzione, che però resta soltanto sua! Basterebbe leggere S. Paolo nella Prima Lettera ai Tessalonicesi al cap.5, verso 21; dove scrive:

“ma esaminate ogni cosa e ritenete il bene”.

Intanto vorrei capire perché il credente debba essere identificato necessariamente con il cattolico. Ci sono altre confessioni fatte di credenti che, pur non essendo cattolici, sono credenti a tutti gli effetti;  credenti, tra l’altro, nello stesso Dio. Anche questa automaticità credente uguale cattolico non va!

“Coscienza di appartenere alla chiesa”: quale??? Non mi pare che Gesù abbia mai usato il termine cattolico, né gli apostoli si sono mai sognati di fondare una Chiesa Cattolica. Piuttosto le piccole comunità di credenti sono quelle che hanno dato inizio alla diffusione del messaggio evangelico a prezzo di testimonianze dolorose, fino al martirio, supportati dalla solidarietà dei fratelli, dai segni miracolosi che accompagnavano la loro testimonianza e dall’aiuto dello Spirito Santo.

Il Cattolicesimo è venuto molto, molto dopo, travisando la genuinità delle esperienze di tanti cristiani credenti nel Figlio di Dio, Gesù Cristo.

Per quanto riguarda poi “quella certa qual cultura di fede, quella certa qual sensibilità morale derivante appunto dalla fede… quella certa qual intelligenza e coscienza di ciò che il peccato è e di quel che significa”, non mi sembra che sia solo dei cattolici, credo appartenga a ogni credente.

Ad ogni modo ritornando al peccato, non avendo capito, al di là delle polemiche e delle pseudo speculazioni, che cosa sia, cercherò di raccapezzarmi, con l’aiuto dei vari dizionari, e tentare di definirlo, al fine di averne coscienza e possibilmente di evitarlo.

Già i Dizionari della Lingua Italiana (tutti), lo definiscono: “Trasgressione volontaria di una legge considerata divina”. Potrebbe bastare questa affermazione per chiudere il discorso e avere un’immagine chiara di cos’è il peccato: una trasgressione.

Continuiamo con i Dizionari Filosofici che alla voce peccato, (in latino, in francese, in tedesco), scrivono: “Trasgressione intenzionale di un comando divino”; vi risparmio il seguito e le citazioni di S. Agostino e S. Tommaso, magari le riprenderemo con i Dizionari Teologici. Anche qui, come possiamo vedere il termine trasgressione è inequivocabile.

Va comunque sottolineato che il peccato non è tanto un reato per aver violato una legge giuridica o morale, ma è proprio la trasgressione di una legge divina riconosciuta come tale e la conseguente intenzione di violarla.

Anche Kant definisce il peccato: “trasgressione della legge morale in quanto comando divino”.

Più sottile Kierkegaard che afferma: “il peccato è davanti a Dio e consiste “nel voler disperatamente essere se stesso o nel non voler essere se stesso” ossia nella disperazione di non aver fede! Kierkegaard sottolinea anche l’eccezionalità del peccato in quanto non è di ogni momento, nonostante sia difficile averne la coscienza conducendo una vita immersa nella trivialità e nello scimmiottamento degli altri.

Passiamo ora ai Dizionari Teologici i quali definiscono il peccato: “violazione della legge divina”.

Anche qui viene sottolineato il carattere religioso del peccato in quanto esso è rivolto contro Dio, nella misura in cui si manifesta nella violazione/trasgressione delle leggi di Dio stesso.

Una lettura non recente di Agostino di Ippona metteva in evidenza come l’unico male dell’universo è dovuto alla malvagità umana che si esprime mediante il peccato, e consiste in un allontanamento volontario dell’uomo dalla Legge divina.

Sant’ Agostino definisce il peccato: “Cosa fatta, detta o desiderata contro la legge eterna” nonché “Allontanamento da Dio e orientamento verso le creature”. La legge eterna per Agostino non è altro che la volontà divina protesa a mantenere l’ordine dell’universo dove l’uomo tende più verso il bene maggiore anziché verso il bene minore. L’allontanamento da quest’ordine divino produce il peccato ossia la violazione del disegno stesso e quindi la trasgressione della legge di Dio. Va da sé che l’allontanamento da Dio induce verso l’umano e la peculiarità del peccato è che esso rimane un atto umano che va a mettere disordine nel piano inerente la volontà divina.

Anche San Tommaso accettava questa definizione agostiniana della legge eterna sottolineandone la duplicità, ossia: “L’una è vicina ed omogenea, cioè la stessa ragione umana, l’altra è la regola prima, cioè la legge eterna che è quasi la ragione di Dio”. In altre parole Tommaso sottolinea la volontarietà/intenzionalità del peccato che pur non prescindendo da atti esterni, di cui bisogna tener conto per la definizione del peccato stesso, resta comunque un atto rivolto contro Dio.

Da qui deriva una serie di categorie di peccati che vedremo più avanti.

Se nella filosofia greca classica non manca l’idea della trasgressione, non compare in essa il concetto di peccato, che invece è presente in quasi tutte le concezioni religiose.

L’ebraismo e il cristianesimo sono quelle la cui riflessione teologica ha puntato sul concetto di trasgressione come atto peccaminoso perché va contro la Legge che è volontà di Dio. Quindi il tra(sgre)dire equivale al tradire. Tradire l’alleanza che Dio ha stipulato con gli uomini.

Tutta la riflessione teologica, fino ad oggi, ha messo in evidenza il carattere religioso del peccato come essenza sua propria che appartiene anche alla dimensione antropologica dell’uomo, pertanto la riflessione si è concentrata sulla natura del peccato come rapporto esistente tra la persona e il peccato nelle sue varie manifestazioni all’interno della storia dell’umanità.

Ed eccoci alle differenti categorie di peccati: peccati materiali e formali; peccati veniali e mortali, nonché peccati a morte; peccati individuali e sociali; peccati spirituali e carnali; peccati di commissioni e omissioni. Tutti contro Dio, contro se stessi e contro il prossimo in pensieri, parole e opere. Tutto ciò per focalizzare gli elementi significanti del peccato per arrivare alla sua esatta e reale definizione. Altro che provocazione!

L’ultimo passo da fare, per una maggiore comprensione del peccato, è quello di ricorrere ai Dizionari Biblici nonché alle Sacre Scritture quali fonti ispirate da Dio.

Finora abbiamo visto che il concetto di peccato riguarda l’ambito religioso dal momento che la trasgressione è rivolta appunto contro la Legge divina. Infatti in tali dizionari la definizione del peccato è: “la violazione della legge”, supportato dalla Prima Lettera di Giovanni cap.3, verso 4:

“Chiunque commette il peccato trasgredisce la legge: il peccato è la violazione della legge”.

Come possiamo vedere la sottolineatura della trasgressione/violazione della legge divina è sempre più acclarata, tant’è che addirittura possiamo leggere nella Lettera ai Romani, Paolo che scrive:

“Dove non c’è legge, non c’è neppure trasgressione” (cfr. Cap.4, verso 15). e più avanti scrive: “Il peccato non è imputato quando non c’è legge”. (cfr. Cap.5, verso 13).

Insomma il peccato è un atto di ribellione, quasi una dichiarazione di guerra contro Dio! Non a caso Davide nel Salmo 51, verso 4; esclama:

Ho peccato contro te, contro te solo, ho fatto ciò ch’è male agli occhi tuoi”.

Nella Bibbia, a proposito del peccato troviamo la parola ebraica het’ il cui significato è rivolta, trasgressione che indica un volontario atto di sfida contro Dio.

Nel Libro della Genesi, cap.3, verso 3; è espresso un comando di Dio:

ma del frutto dell’albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: ‹‹Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete››.”

Al verso 6, già assistiamo alla prima trasgressione, da parte dell’uomo e della donna, all’esplicito comando del Signore:

“La donna osservò che l’albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l’albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò”.

A partire da questa prima trasgressione in tutto lo svolgimento della narrazione biblica ci imbatteremo nel peccato o nei peccati di cui abbiamo detto pocanzi, con l’aggiunta di un peccato imperdonabile: quello contro lo Spirito Santo. Leggi il Vangelo di Matteo al cap.12, verso 32:

“A chiunque parli contro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato; ma a chiunque parli contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato né in questo mondo né in quello futuro”.

Questo peccato altro non è che l’atteggiamento mentale di rifiuto del perdono del peccato offerto da Dio mediante il suo figlio Gesù Cristo. Di questo peccato ne parlano anche il Vangelo di Marco, cap.3, verso 29; e il Vangelo di Luca, cap.12, verso 10.

Diversi profeti hanno individuato la fonte del peccato nel cuore dell’uomo che è anche sede della volontà e dell’agire. Il profeta Geremia, cap.17, verso 9; dice:

“Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno; chi potrà riconoscerlo?”

In un passo del profeta Isaia possiamo leggere (cap.29, verso 13):

Il Signore ha detto: ‹‹Poiché questo popolo si avvicina a me con la bocca e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e il timore che ha di me non è altro che un comandamento imparato dagli uomini››”.

A dimostrazione che Dio vuole la conversione del nostro cuore, proprio per non trasgredire la sua volontà. Infatti il profeta Ezechiele nel suo libro al cap.36, verso 26; scrive:

“Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne”.

Questo per dire che Dio stesso ci soccorre nei nostri sforzi contro il peccato, perché è indubitabile, come dice S. Paolo, che siamo sotto il dominio del peccato:

“Perché abbiamo già dimostrato che tutti, Giudei e Greci, sono sottoposti al peccato”. (Cfr. Romani cap.3 verso 9).

Lo possiamo leggere anche nella Prima Lettera di Giovanni al cap.1, versi 8-10:

“Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi Se confessiamo i nostri  peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi”.

Interessante è notare il peccato nella sua duplice valenza, come omissione (non fare quel che la Legge ordina) e come azione (fare un atto proibito dalla Legge); infatti Giacomo nella sua Lettera›› al cap.4, verso 17; ci scrive:

“Chiunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato”.

Peccare è ogni disobbedienza alla volontà di Dio, e il comandamento divino più importante è l’amore verso Dio e verso l’altro. Lo possiamo ascoltare da Gesù:

“Uno degli scribi che li aveva uditi discutere, visto che gli aveva risposto bene, si avvicinò e gli domandò: ‹‹Qual è il più importante di tutti i comandamenti?›› Gesù rispose: ‹‹Il primo è: “Ascolta, Israele: il Signore, nostro Dio, è l’unico Signore: Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la mente tua e con tutta la forza tua”. Il secondo è questo: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è nessun altro comandamento maggiore di questi››”.  (Cfr. il Vangelo di Marco, Cap.12, versetti 28-31).

E ci spiega l’apostolo Paolo, nella sua già citata Lettera ai Romani, che l’amore è l’adempimento della Legge, della Legge in tutti i suoi comandamenti. Leggiamolo nel cap. 13, versi 8-10:

Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la Legge. Infatti il ‹‹non commettere adulterio››, ‹‹non uccidere››, ‹‹non rubare››, ‹‹non concupire›› e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: ‹‹Ama il tuo prossimo come te stesso››. L’amore non fa nessun male al prossimo: l’amore quindi è l’adempimento della Legge”.

Si evince che colui che non ama commette il più grande peccato; ne deriva che il peccato consiste nel sostituire la propria volontà alla volontà di Dio: mettere se stessi al posto di Dio.

Ecco, questo è il peccato senza fronzoli e, mi si permetta, senza “teologia” perché “il peccato NON è quel che è la teologia del credente”. Non ha caso la mia Mamma non sa cos’è teologia ma sa cos’è il peccato. Infatti quando le ho chiesto: “Mamma, ma tu possiedi una certa qual cultura di fede e una certa qual sensibilità morale derivante appunto dalla fede, e, riguardo al peccato, una certa qual intelligenza e coscienza di quel che esso è e di quel che significa”? Credetemi, forse si sarà sentita sfottuta, ma la sua risposta quasi sfiorava il peccato: ve la risparmio!

Non contento ho chiesto alle mie vicine, comare Elvira e Rosina, entrambe più che ottantenni, entrambe sanno cos’è il peccato: “un’offesa a Dio e un far male agli altri quando si critica, si giudica, quando si invidia, e quando non si fa loro del bene se lo si può fare; ma la peggiore cosa è l’odio”. Ma, ahimè! anche loro, non solo non sanno cos’è la teologia, né hanno “quelle certe qual(i) cose” ma ritengono comunque di poterne fare a meno perché nulla aggiungono alla loro fede e coscienza. Credo sia una risposta eclatante che riassuma quel che ho fin qui scritto e che la dice lunga sugli arzigogoli, perché è la risposta di chi la fede Non la tiene a margine… Non la gestisce a mezzadria… Non le concede solo ospitalità ornativa… Non la ritiene un capo di vestiario da parata o da costume del tempo… (sic!).

Mi dispiace per chi pensa che “…il cattolicesimo, come ‹‹teoria›› del peccato e della salvezza, può costituire per l’uomo la verità che più di ogni altra interpreta la reale situazione umana ‹‹come fatto e come aspirazione, come domanda e come risposta››. (Mi sia permesso un altro Sic!).

Di grazia: può una “teoria” salvare dal peccato o dal male in generale? Bontà di chi lo afferma!

Non mi sorprende che Cristo, “quella sua esteriorità l’abbia voluta e trasferita anche nel dopo lui, cioè nella Chiesa, a modo di continuazione misterica”. Ma s’impone una domanda: Chiesa di credenti o per forza Chiesa cattolica? La risposta deve essere perentoria: la chiesa è Chiesa soltanto come comunità di credenti ed è santificata soltanto dal glorioso nome di Gesù Cristo. Altro che Santi e Madonne, Papi e Cardinali, Vescovi e Preti.  Non c’è arzigogolo che tenga!

Finiscono qui i miei contrappunti a chi fa l’equazione credente=cattolico, a chi pensa che il cattolico sia un ideale di credente e di persona, salvo poi a dire che la tipologia è equivoca come la persona. Gli auguro comunque che la problematica concreta della esperienza del peccato non (gli) producano stanchezza, impazienza e irritazione.

Un ultimo contrappunto riguarda lo scrivere su Faronotizie: uno scritto su Faronotizie NON deve obbedire a nessuna regola, pertanto in future occasioni non ricorra alle necessità delle scorciatoie perché Faronotizie mai imporrà brevità o altre regole, in quanto mai, a mio avviso,  si sognerebbe di limitare il godimento di un così alto pensiero teologico-scientifico-filosofico-morale-politico-psico-socio-pedagogico nonché “tuttologico”, ai suoi lettori.

In attesa di nuove perle resto compunto a meditare su eventuali altre provocazioni teologiche.

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