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Il pazzo Poz che manca tanto

Scritto da Angelo Marino il 1 ottobre 2011
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Il 15 maggio 2008, a tre minuti e 46 secondi dalla conclusione, la gara di play-off tra Avellino e Capo d’Orlando si fermava per qualche minuto perché, tra gli applausi di tutto il palazzetto, usciva dal campo per l’ultima volta, con le lacrime agli occhi, un grandissimo Campione.
La carriera da giocatore di basket di  Gianmarco Pozzecco finiva lì.
Con una maglia bianca con su scritto ”grazie per avermi sopportato in tutti questi anni” e sulla spalla il ricordo di Chicco Ravaglia (“E’ l’unica cosa che cambierei. L’unico episodio triste della mia vita. Rinuncerei a tutto quello che ho avuto, ed è stato tanto, per riabbracciare Chicco. Viveva e giocava come me, d’istinto, sulle emozioni, con fare goliardico. Affrontando le sfide della vita”), suo grande amico e grande talento del basket che se né andato a soli 23 anni la maledetta notte del 23 dicembre 1999, il Poz, dopo 30 anni passati sui campi da basket, ha dato il suo addio al basket giocato.

“Ho smesso di fare quello che ho amato fare fin da quando ero bimbo. Chiudo alla grande, non numericamente, non dal punto di vista del palmares ma perché il mio cuore è pieno di soddisfazione, pieno di orgoglio per quello che la gente mi ha regalato. Mi porto dentro dei bellissimi ricordi”.

Di Gianmarco giocatore si sa tutto: un playmaker dotato di temperamento e velocità, famoso per i suoi passaggi geniali e le sue giocate fantasiose ma anche per la sua scarsa propensione difensiva; 180 cm di talento puro, sfacciato e genuino con un carattere estroverso ed eccentrico che lo hanno fatto diventare uno dei giocatori italiani più amati di sempre. Ed è proprio quest’aspetto che colpisce maggiormente quanto si parla di lui.

Il Poz si è fatto amare da tutti gli sportivi italiani come pochi altri, anche da tutti i tifosi avversari che l’hanno fischiato per anni. A Cantù, è stato salutato e celebrato come “miglior peggior nemico”; in Italia, è roba veramente rara.

La Mosca Atomica, come viene soprannominato, è stato un giocatore unico capace di vincere lo scudetto della stella con Varese e poi, la sera stessa, farsi ritirare la patente  della macchina per guida in stato d’ebbrezza. Un atleta capace di abbandonare la nazionale dopo la rottura col CT Boscia Tanjevic, per poi vederla dal divano di casa vincere l’Europeo di basket del 1999.

Un giocatore che prima degli europei del 2003, durante il ritiro di Bormio, riesce a farsi cacciare perché di notte, stufo della severità del ritiro, prende senza permesso il pulmino della squadra alla ricerca di svago. O ancora nell’aprile del 2005, quando ai tempi della Fortitudo Bologna, infastidito dalla panchina, durante una partita, strappa dalle mani dell’allenatore Repesa la lavagna degli schemi, per poi pagare la bravata con la risoluzione del contratto.

Il Poz è sempre stato così, prendere o lasciare. Un matto dai capelli colorati che suscitava simpatia a tutti, tranne che ai puristi del basket, primi fra tutti gli allenatori.

“Se mi facevi stari in panchina 2 minuti e mi facevi giocare gli altri 38 minuti per me erano 2 minuti persi di godimento. È come se mentre tu hai un rapporto sessuale con una donna, per 5 minuti se la fa un altro.”

Il Poz che si sposa con la bella pallavolista Cacciatori ma poi all’ultimo, quasi sull’altare, non si sposa più. Il Poz che va a giocare in Russia e si riempie le tasche di soldi.

In un periodo come questo, in cui la nazionale Italiana di basket esce malissimo dagli Europei, è troppo semplice rimpiangere un campione come Pozzecco, capace invece di guidare la nostra nazionale alla medaglia d’argento alle Olimpiadi di Atene del 2004 con una delle più belle partite della storia dell’Italbasket, la semifinale vinta 100 – 91 contro la Lituania, ma purtroppo è quello che succede. Il pazzo Poz manca ai tifosi ma anche a tutto il basket italiano.

E manca a tutto tondo, sul campo e fuori. Mancano le sue marachelle, le sue gag esilaranti e anche i suoi errori. Ma lui è sempre stato cosciente anche di quelli: ”Non ho chiuso occhio perché ho ripensato al titolo che non ho vinto con la Fortitudo quando Repesa mi cacciò, agli Europei mancati nel 1999 perché Tanjevic non mi vedeva. Alla Nba che ho solo sfiorato. Queste rinunce hanno fatto di me una persona migliore. E uno sportivo ancora più amato. Piccolo fisicamente, un po’ sfigato. La gente mi ha amato per questo oltre che per la mia onestà».

Infatti se dovesse dare un consiglio a un giovane giocatore di basket direbbe: “Fai tutto quello che non ho fatto io e vedrai che andrà tutto bene”.

Se solo fosse possibile rivederlo sui parquet del nostro campionato, con la sua faccia e suoi modi da eterno ragazzino.

Dopo i proclami di un possibile ritorno, dopo i titoloni dei giornali e le parole del giemme di Montegranaro, ecco arrivare anche le parole del diretto interessato, Gianmarco Pozzecco:

«Ho dato, ricevuto e vissuto tutto quello che un ragazzo sogna di poter dare, ricevere e vivere giocando a basket. Non ho davvero più nulla da chiedere né da dimostrare. Non ho mai giocato solo per me stesso ma ho sempre fatto tutto per e con la gente che come me ha amato e ama questo sport. Tifosi, semplici appassionati, compagni, avversari, arbitri, amici. L’idea di poter condividere con voi una volta di più le sensazioni che abbiamo provato ogni qualvolta mi sono trovato a scendere in campo, non mi ha mai abbandonato e mai mi abbandonerà. Se dovessi riuscire a vivere e a farvi rivivere quelle emozioni, anche solo per pochi minuti, vorrà dire che avremo realizzato l’ennesimo sogno. Non ho ancora preso decisioni definitive, ci sto pensando e lo sto facendo con grande serenità. L’amore per questo sport va oltre ai ragionamenti, ai timori e alle paure, ma essendo molto orgoglioso sappiate che se mai dovessi riallacciarmi le scarpe anche soltanto per una partita sarà solo se riuscirò a farvi rivedere il solito pazzo Poz».