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Sergio Endrigo a dieci anni dalla morte:un cantante-poeta dimenticato.

Scritto da Mimmo Mastrangelo il 1 maggio 2015
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Intervista con la figlia Claudia che sta lavorando ad una biografia sul padre.

ROMA –  Cantautore  ispirato e di profonda delicatezza,  Sergio Endrigo (Pola 1933 – Roma 2005) lo consideravano per questo un poeta. Tra i tantissimi testi che scrisse (e cantò), diversi sono quelli che possono entrare nell’Olimpo della canzone italiana del novecento: da Io che amo solo te a  Lontano dagli occhi, da Adesso sì a Canzone per te con cui  vinse il Sanremo del 1968 in coppia con Roberto Carlos, da I tuoi vent’anni all’emozionante 1947 che ha profondissimi e disarmanti versi (…Come vorrei essere un albero/ che sa dove nasce e dove morirà…). Endrigo fu talmente avvinto dalle sirene del verbo poetico  che  volle mettere in musica anche i versi di  Dickinson, Fort, Ungaretti, Pasolini, Vinicius De Moraes, ma della sua discografia non si  possono certo  dimenticare i brani per bambini  pure molto amati dagli adulti come  Ci vuole un fiore, L’arca, Il pappagallo. Riservato e schivo, ad un certo punto della sua vita  venne scaricato dalle case discografiche e di questo ne soffrì molto, ma le sue meravigliose canzoni di impegno civile e  sull’amore  continuano ad essere cantate, basta vedere il successo che sta avendo (anche tra i giovanissimi)  la recente versione di Lontano dagli occhi di Gianna Nannini. Il prossimo settembre ricorrono del cantautore i dieci anni dalla morte,  le istituzioni (e pure la stampa) del Paese  l’hanno  dimenticato, nessuno ha pensato di dedicargli una strada o far nascere un contenitore che portasse il suo nome. Solo gli artisti e il pubblico hanno continuato a volergli bene, come ammette di seguito la figlia Claudia che sta lavorando ad una biografia sul padre  che, pensiamo, dovrebbe essere più ricca di contenuti rispetto alle due precedenti  monografie curate da Vincenzo Mollica e Doriano Fasoli.       

Signora Endrigo per i dieci anni dalla morte di suo padre sono stati programmati già degli eventi ?

Al momento non è prevista nessuna iniziativa e francamente di questo mi dispiace un po’.

Nella scuola del cantautorato di casa nostra, qual’è stata secondo lei la diversità di Sergio Endrigo?

Credo che una risposta a questa domanda, più che io, la debbono dare  i critici e gli esperti.

Suo padre negli ultimi anni di vita si sentiva un po’ messo da parte dal  mondo canoro …

Purtroppo sì, ma  anche dopo la sua scomparsa è stato un po’ accantonato, il nostro è un Paese strano e ha una memoria curiosa,  da noi alcuni artisti vengono osannati altri no. Mio padre ha partecipato a nove Festival di Sanremo, ma mi sembra che non  lo ricordi quasi nessuno. Dicendo questo, naturalmente, faccio riferimento ad una certa distrazione ed indifferenza degli addetti ai lavori. Invece la gente, il pubblico le canzoni di Sergio Endrigo le ricorda e riconosce anche quanto lui ha dato alla canzone italiana.

Sergio Endrigo  ebbe un successo internazionale e non solo in Italia, fuori  dai confini nazionali a quale  Paese si sentiva più legato?

Sicuramente al Brasile, sia per la sua amicizia con Vinicius de Moraes, sia perché arrivava lì e si sentiva come se stesse a casa. Però ci tengo a sottolineare che anche in altre Nazioni era stimatissimo,  una volta al Teatro Nazionale dell’Avana il pubblico si alzò in piedi per rendere omaggio all’artista che aveva cantato i versi della Rosa bianca del poeta rivoluzionario José Martì.

In Italia, da Vanoni a Paoli, da Mannoia a Baglioni, da Capossela a Nannini a Cristicchi, in tanti hanno cantato suoi brani, per lei chi ha dato la miglior interpretazione?

Non trovo giusto dare un giudizio, ringrazio chiunque canti papà , vuol dire ha lasciato davvero tanto alla musica italiana e in molti lo hanno capito. Poi ognuno è libero di interpretare i suoi pezzi alla propria maniera e secondo le  proprie caratteristiche artistiche.

Amava gli chansonniers d’Oltralpe, ma  a quali nomi si sentiva più vicino?

Indubbiamente a  Brassens e a Brel. A quest’ultimo, che aveva origini belga, confessò che se non avesse ascoltato e amato le sue canzoni non avrebbe potuto scrivere il testo di Viva Maddalena

 Sergio Endrigo è stato anche un grande interprete di musica per l’infanzia, Gianni Rodari (con cui lavorò ) stravedeva per lui? 

Rodari non stravedeva per mio padre,  c’era solo molta stima reciproca. Ma vorrei  una volta per tutte che si chiarisse una questione: Sergio Endrigo  non ha scritto un solo verso per i bambini. Ha avuto, piuttosto, la fortuna di poter musicare le magnifiche parole di Rodari e di Vinicius de Moraes nell’album L’arca

Collaborò con Ungaretti, Vinicius de Moraes e pure con Pasolini, come conobbe il poeta e regista friulano?

Pasolini lo incontrò una volta solamente nella sua vita, stava partendo per l’Africa per andare a girare un film, gli  consegnò La meglio gioventù  con il consenso di prendere ciò che voleva da quel testo. E mio padre avuta questa licenza decise di musicare Il soldato di Napoleone.

In seguito agli eventi del secondo dopoguerra dovette lasciare la sua città natale per sempre. A Pola rimase legato?

Ci tengo a precisare, mio padre, come altri trecentocinquantamila italiani, fu costretto ad abbandonare la sua terra per colpa della dittatura di Tito. All’epoca aveva solo quattordici anni e non aveva compreso appieno il dramma della sua famiglia e dei suoi corregionali istriani. Lo capì più avanti tant’é che scrisse in memoria la struggente 1947 . Negli anni tornò a Pola solo poche volte

Delle canzoni che ha scritto e cantato quale ama di più lei?

Le amo tutte, ma da quando non c’è più propendo un pò per altre emozioni.

E nel privato com’era Endrigo,  in famiglia come viveva il successo?

Gli artisti nel privato sono come tutte le altre persone. Sergio Endrigo   è stato un padre molto presente ed affettuoso. Il successo non l’ha mai condizionato più di tanto.

Se fosse in vita oggi cosa  penserebbe  della canzone italiana?

Il mondo della canzone italiana è uguale a quello di tanti anni fa, penso, però, che avrebbe riconosciuto che  attualmente sono in troppi a voler intraprendere la strada di un lavoro in cui si premia quasi sempre la mediocrità.