www.faronotizie.it - Anno XIX - n. 217 - Maggio

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Pubblichiamo uno stralcio dell’articolo, a firma di Franco Maurella, apparso su “il Quotidiano della Calabria”:

“Si è svolta presso la sala convegni del “Miramare” in Roseto Capo Spulico, la cerimonia di premiazione della XI Edizione del Premio internazionale di poesia “Roberto Farina“, promosso ed organizzato dall’omonima Fondazione onlus. …omissis… la giuria del Premio “Roberto Farina” presieduta dal poeta, saggista e scrittore Dante Maffia… omissis… si è riunita il 15 di maggio per scegliere il vincitore della XI edizione del Premio. …omissis… Dalla votazione conclusiva dei giurati è risultata vincitrice Biancamaria Frabotta, autrice del volume “Da mani mortali”, edito da Mondadori. …omissis… Tornando alle decisioni della giuria, il Premio intitolato ad Angelo Lippo è stato assegnato a Francesco Tarantino da Mormanno (CS) per il volume “Memorie di alberi recisi” pubblicato da Edilet. Tarantino è noto per il progetto realizzato di installare nel cimitero di Mormanno una mostra permanente di poesie sulla memoria. …omossis…

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Del Premio pubblichiamo inoltre la motivazione della Giuria e alcune considerazioni:

Motivazioni della Giuria per l’assegnazione del premio
di Dante Maffia

La sezione del Premio intitolata ad Angelo Lippo va a Francesco Tarantino per Memorie di alberi recisi, una raccolta monotematica di sonetti scritti fuori dai canoni, con invenzioni ritmiche inedite. Nonostante la perizia di Tarantino, l’argomento è tale che la sostanza supera la forma e si fa lezione di etica, richiesta di libertà.

Sappiamo tutti quanto sia difficile realizzare la poesia così detta civile perché quasi sempre si presta alla retorica e fa scadere il tema in accenti privi di forza estetica, eppure Tarantino supera gli ostacoli e, come scrive Francesco Aronne nel bellissimo saggio introduttivo, riesce a farci percepire il senso profondo di una ferita che non è personale, ma universale, tanto che “Privata delle metafore, spogliata delle parole e delle immagini che la raccontavano e la rappresentavano, cercando quantomeno di sfiorarne l’essenza, la morte, nel nostro mondo e nel nostro tempo che corre veloce è sempre più marginalizzata e banalizzata”.

I versi di Francesco Tarantino grondano di indignazione, e non si fermano a raccontare una vicenda, la arricchiscono di particolari  che si potrebbero definire allucinanti tanto è lo scempio che hanno prodotto.

La cecità, come altrimenti chiamarla, di un sindaco crea una situazione aberrante. Gli alberi del cimitero di Mormanno vengono tagliati e così il cimitero diventa un luogo  disabitato, una specie di plaga neutra in cui le tombe sembrano orfane, prive di quel respiro necessario a cui fa riferimento Ugo Foscolo.

Il libro di Tarantino grida amore, apre uno squarcio nella realtà di ogni giorno e invita a ragionare sui gesti e sulle azioni. Soprattutto invita ad avere rispetto del culto dei morti che sono il nostro passato e sono la linfa del nostro futuro.

Non c’è niente di più barbaro che creare in un cimitero il senso della morte nella sua pesantezza di azzeramento. La morte è l’atto supremo della vita e va rispettato. Quella terra è “bella e santa” e cantarla in versi musicali e densi di umanità significa ridare senso al divenire eterno.

Alcune considerazioni su “Memorie di alberi recisi”
di Giorgio Linguaglossa

Nel libro di Francesco Tarantino Memorie di alberi recisi va da sé che la poiesis dei nostri tempi non può non tentare di ripercorrere tra le innumerevoli «vie indirette» quelle appunto che la riconducono ad un rapporto stabile e duraturo con la contemporaneità vista come sommatoria di istanti, istantaneità, attraverso l’Er-fahrung, l’esperienza vitale, dove niente viene veramente saputo che non sia in essa. Ecco la ragione per cui qui non si ha alcun «viaggio» nel vuoto della post-storia, della post-utopia, del privato o del politico; non ci si toglie da una immediatezza per essere deiettati in un’altra immediatezza; non si ha auto-costruzione dell’io.  Posto che non si dà auto costruzione dell’io che non sia in rapporto con il «reale» degli alberi recisi di un campo santo per ordine di uno Scià dei nostri giorni democratici. Il gesto di protesta di Francesco Tarantino è produzione estetica di un atto politico, è la precondizione per una esistenza autentica. Come nel gioco delle scatole cinesi: una scatola dentro l’altra: l’autentico si dà soltanto all’interno dell’inautentico; la «vita» nuova all’interno della vita vecchia vuole qualcosa che non può in alcun modo raggiungere; né il «viaggio» né alcun altro «atto» può riprodurre in alcun modo la pienezza di un io in perenne auto-produzione e de-costruzione. La scrittura del poeta calabrese costruisce il proprio stile proprio come da un cementificio esce il mattone del sonetto perfettamente liscio e glabro. Gli alberi recisi da un atto amministrativo sono merce che il politico decide di amministrare: tutto rientra nell’Amministrazione totale: il feticismo della merce si riflette nel feticismo dello stile come due gemelli siamesi, inestricabilmente condannati ad un medesimo destino di decadimento di isotopi. In ogni piega della forma, in ogni suo minimo recesso, lo stile demotico reca il carnet della Amministrazione totale.

Ma, c’è sempre un «ma» da cui guardarsi, un’eccezione, come da un terrorista, c’è sempre un preambolo o una precondizione da porre, surrogato di un conglomerato avariato e non più disponibile. E così il gesto poetico di Francesco Tarantino assume lo stile «alto demotico» antropico dell’intellettuale occidentale che avverte da vicino non la «banalità del male» ma quella dell’Amministrazione politica della Polis.

Francesco Tarantino proviene dalla fine del Novecento, dall’esaurimento del post-sperimentalismo per giungere, adesso, in tempi di recessione stilistica e spirituale, ad un singolare stile chiuso in forma di sonetto, uno stile «alto demotico» forse non più idoneo alle odierne società democratiche, che assomma leggerezza e pensiero, classicità e nuovo come si conviene ad una scrittura che ha nel politico il proprio baricentro espressivo.

 

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