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Educazione e non educazione secondo Salvatores

Scritto da Carlo Di Stanislao il 1 marzo 2013
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Tratto dall’omonimo romanzo semi-autobiografico di Nicolai Lilin, “Educazione siberiana” vede di nuovo in azione Gabriele Salvatores a tre anni dal non troppo fortunato “Happy Family”, ispirato allo spettacolo teatrale di Alessandro Genovesi, a sua volta influenzato dal dramma pirandelliano “Sei personaggi in cerca d’autore”.

E qui Salvatores torna ad essere grande, e con il contributo (eccelso) di due esperti come Rulli e Petraglia,  guarda dritto a modelli che ambiscono, legittimamente, alla formazione di un cinema di genere che abbia un respiro sovranazionale, dai Romanzi criminali a quelli di una strage: e in quella confezione – depurata il più possibile da ogni elemento disturbante, come lo stile degli sceneggiatori richiede – inserisce una storia d’amicizia maschile travagliata e minata dalla perturbanza femminile che ricorda smaccatamente quella di “Turnè”,  ma anche dettagli e sfumature di tantissimo altro suo cinema, soprattutto quello delle difficili maturazioni di “Io non ho paura” e “Come Dio comanda”.

Nel deserto di regole  si muovono i giovani protagonisti, cresciuti in un ghetto criminale del sud della Russia e ora in bilico tra due percorsi, devianza e giustizia, voglia di avere tutto e capacità di mettere in pratica l’insegnamento del vecchio guru Kuzja.

La vita separerà i due amici,  Kolima ( Arnas Fedaravicius) e Gagarin (Vilius Tumalavicius), mentre Xenja (Eleanor Tomlinson), ragazza autistica legata ai giorni dell’amicizia felice, subirà l’orrore dello stupro.

Realizzato tra le campagne desolate della Lituania, nei dintorni di Vinlius, dove le vestigia dell’ex-Unione Sovietica stanno lì a ricordare un’epopea di violenza, un passaggio doloroso tra totalitarismo cieco e libertà auto-distruttiva, prodotto da Cattleya, costato 9 milioni di euro, distribuito da 01, “Educazione siberiana” (in 350 sale dal 28) è stato molto venduto al Mercato della Berlinale, anche se non era fra i film in gara.

I due giovani protagonisti sono due non attori, mentre nel ruolo nel nonno Kujia, alias l’ultimo dei Mohicani, Salvatores ha scelto un sempre incredibile John Malkovich, per dimostrare che, in fondo, è meglio avere cattivi maestri che non averne affatto o essere il frutto di una cattiva educazione che di non averne ricevuta nessuna, perché, secondo Salvatores, l’unica educazione possibile al giorno d’oggi è quella al dolore, alla solitudine, che ci porta a compiere passi incerti e solitari,  verso un domani che non vediamo e non possiamo prevedere. Con “La miglior offerta”, il miglior film italiano di questo inizio di anno.