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L’alchermes

Scritto da Piero Valdiserra il 1 gennaio 2013
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Senza scomodare Proust, certamente ognuno di voi avrà i suoi profumi d’antan, ma anche i suoi colori e i suoi sapori, che si ricollegano a periodi antichi e quasi dimenticati del suo gusto personale. Su di noi una reazione del genere viene innescata dal solo sentire la parola “alchermes” (può scriversi anche “alkermes”, con la “k”, ma preferiamo la prima versione, più domestica): e ci tornano alla mente i dolci delle nonne e delle zie, quelli che riempivano allegramente le stanze con le loro fragranze caserecce, dai quali spesso occhieggiava l’inequivocabile linea rossa della bagna di alchermes…

Bene, non ci crederete ma l’alchermes può considerarsi un vero e proprio prodotto tipico italiano, più precisamente fiorentino. Nel capoluogo toscano l’alchermes arrivò dalla Spagna, con una ricetta di origine probabilmente araba: si narra che questo liquore, considerato una specialità medicinale, fosse già prodotto come elisir di lunga vita dalle suore fiorentine dell’Ordine di Santa Maria dei Servi, fondato nel 1233. Agli inizi del Cinquecento si hanno notizie della sua preparazione anche da parte dei frati di Santa Maria Novella e dei Certosini. Quando Caterina de’ Medici, figlia di Lorenzo, sposò nel 1533 Enrico II di Orléans, re di Francia, fece conoscere Oltralpe, oltre a vari cibi e dolci, anche l’alchermes, che divenne noto appunto come “liquore dei Medici”. La sua ricetta venne poi trascritta due secoli dopo da fra’ Cosimo Bucelli, direttore dell’Officina di Santa Maria Novella, mentre nel 1859 venne redatto il più antico prezzario di questo liquore a noi rimasto.

Parlare di alchermes vuol dire innanzitutto partire dal suo nome curioso. Alchermes deriva dai termini arabi al qirmiz, che letteralmente significano…”il verme”. Niente paura: il verme in questione è la cocciniglia, il cui corpo essiccato e ridotto in polvere fornisce una sostanza rossa fortemente colorante, che da sempre viene impiegata nella preparazione del liquore. Oltre alla cocciniglia in polvere, gli altri ingredienti sono l’alcool, lo zucchero, l’acqua di rose, la scorza d’arancia, la vaniglia e varie spezie: cannella, coriandolo, macis, chiodi di garofano, fiori di anice, cardamomo.

Il metodo di preparazione è ancora quello artigianale, secondo la ricetta codificata dalla tradizione. Le spezie sono messe a macerare in alcool per ottenere la cosiddetta “tintura”, a cui verranno aggiunti l’acqua distillata di rose, la scorza (o i fiori) d’arancia, lo zucchero e il composto colorante ottenuto con la cocciniglia. Il tutto viene mescolato e messo ad affinare in botti di rovere per circa sei mesi. Seguono quindi la filtrazione e l’imbottigliamento, che precedono immediatamente la messa in commercio.

Il processo produttivo viene effettuato con strumenti e attrezzature in acciaio inox, ad esclusione naturalmente delle botti di maturazione da 300 – 700 litri che sono fabbricate in legno di rovere.

Nella sua versione più tipica, l’alchermes viene ancora prodotto nell’Officina Erboristica di Santa Maria Novella a Firenze. Non si conoscono altre produzioni originali, salvo le preparazioni casalinghe secondo le ricette presenti nei vari repertori di cucina tradizionale. Le produzioni industriali esistenti, che pure non mancano, danno soluzioni idroalcoliche aromatizzate, che però non vengono colorate con la polvere di cocciniglia.

Le vendite sono per lo più dirette, e solo per una piccola parte passano attraverso grossisti, per la distribuzione al di fuori della provincia di Firenze o nel circuito della ristorazione locale. C’è comunque da aggiungere che, almeno a livello promozionale, il prodotto partecipa ancora a molti eventi enogastronomici che annualmente vengono organizzati sia in Toscana sia nel resto d’Italia.

Secondo le consuetudini classiche, l’alchermes ha un impiego importante in gastronomia e in pasticceria, come elisir colorante e aromatizzante. Si usa ad esempio nella preparazione della mortadella di Prato e serve per insaporire le pesche di Prato, la zuppa inglese e il rotolo ripieno al cioccolato. Oggi comunque l’alchermes è caduto largamente in disuso anche nella preparazione dei dolci, perché considerato da molti troppo sciropposo e soprattutto troppo colorato. Non c’è che da attendere che la ruota delle mode gastronomiche si rimetta in movimento, coltivando nel frattempo la memoria confortante delle torte e dei dessert di una volta.