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L’autogrill

Scritto da Raffaele Miraglia il 1 dicembre 2012
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Il signor Cortazar e la signora Dunlop decisero di farsi un viaggio.
Uno di quei viaggi, che per chi vive a Parigi, è il classico andare a sud per gustarsi le atmosfere mediterranee. Ci si mette in macchina, si prende l’autostrada alla Porte d’Italie e via fino a Marsiglia.

Il signor Cortazar e la signora Dunlop, però, si diedero una regola particolare.
Lungo il tragitto, per spezzare la monotonia dei viaggi autostradali, avrebbero visitato tutte le aeree di sosta e di servizio. Non solo, ne avrebbero visitato (e vissuto) due al giorno.
Partirono alle ore 14,25 di domenica 23 maggio e uscirono dall’autostrada alle ore 10,38 di mercoledì 6 giugno. Il giorno prima dell’arrivo, nell’area di sosta di Senas, la signora Dunlop  esclamò “… quant’è durato poco il viaggio …”  Correva l’anno 1982.

Chi ha già letto i racconti e i romanzi di Cortazar, non si stupirà certamente che gli sia venuto in mente di realizzare un’impresa del genere. Perché di impresa stiamo parlando, non c’è dubbio. Chi non conosce Cortazar, sappia che Neruda scrisse: “Chi non legge Cortazar è spacciato. Non leggerlo è una malattia molto seria e invisibile, che col tempo può avere conseguenza terribili.”  Antonioni lo lesse e da un suo racconto trasse il film capolavoro Blow-up.

Il resoconto di questo viaggio, con inevitabili inserzioni fantastiche, si può leggere nel libro “Gli autonauti della cosmostrada – ovvero un viaggio atemporale Parigi-Marsiglia”, scritto a quattro mani da Julio Cortazar e da Carol Dunlop (e recentemente tradotto e pubblicato da Einaudi, con trent’anni di ritardo).
Questo viaggio è la negazione dell’istituzione autostrada, fondata sul principio della velocità e della concentrazione del guidatore sul nastro d’asfalto. L’istituzione autostrada nasce per consentire di percorrere la distanza che intercorre tra due punti nel più breve tempo possibile e senza distrazioni. Cortazar e Dunlop si appassionano all’unica distrazione benevolmente concessa sol perché necessaria a raggiungere il fine. L’area di sosta o di servizio, dove si fa benzina, si va alla toilette, si beve un caffè o si mangia qualcosa. Quella distrazione, se vissuta intensamente, distrugge l’istituzione autostrada. Pensa per un attimo, se il tuo fine, quando entri al casello, non fosse rappresentato dall’uscita, ma dall’autogrill, dove vuoi recarti per acquistare quei prodotti che solo lì trovi in vendita. In questo caso non stai prendendo l’autostrada, stai andando a fare la spesa. Ed è un evento ( e un viaggio) tutto diverso.
Cortazar e Dunlop si erano veramente fatti un viaggio fuori dagli schemi mentali comuni. E scrivendo il libro,  scrivevano un inno al viaggio nel non luogo (di certo nel 1982 questa espressione non esisteva), che diventa luogo. Un po’ quello che farà, vent’anni dopo e con gran sfoggio di erudizione, Alain de Botton, scrivendo L’arte di viaggiare.
Il non luogo è, ve lo confesso, una delle mie mete preferite.
Quello che più mi entusiasma è l’incrocio, fuori dal centro abitato, dove attendi un bus. Normalmente non hai idea di quanto starai lì ad attendere e, nel frattempo, ti guardi intorno. Il paesaggio non è mai spettacolare e, soprattutto, reca i segni dell’uomo. E’ lì che, quasi sempre, cogli aspetti insospettati di come i campi vengono coltivati, di come le baracche vengono costruite, di come uomini, donne e bambini si muovono. Guardando a terra, poi, proprio vicino ai tuoi piedi o, poco più in là, nel fosso, scopri dai rifiuti la vita quotidiana. Le lattine, le bottiglie di plastica, gli involucri brillanti di cibi da viaggio recano nomi, disegni, sigle e colori che raccontano di un paese quanto potresti imparare leggendo un rapporto Istat. Non manca mai, poi, chi ti distoglie dalla tue osservazioni e tenta una conversazione.

Altro non luogo per eccellenza é la stazione del treno (o il terminal dei bus).
Basta un’occhiata alle biglietterie per capire il paese dove ti trovi. Dove e come sono disposte, l’esistenza o meno di biglietterie per categorie protette o privilegiate, la concorrenza o meno fra i vari venditori di biglietti, la presenza o meno di forze di polizia o dell’esercito sono tutti segnali inequivocabili. Per non parlare dei negozi e dei punti di ristoro: questi sono veri e propri indici del PIL. E, del resto, per capire com’è cambiata l’Italia non basta forse raffrontare la stazione di Roma Termini di oggi con quella di quindici anni fa?
E, certo, anche le aree di sosta e di ristoro lunghe le strade sono non luoghi molto affascinanti per capire un paese. Il nostro, per esempio, in questo caso dimostra di essere in una fase di stallo trentennale. La stazione ferroviaria si rivoluziona, ma il panino Camogli resiste, e con lui la confezione di pasta multicolore e il salame regionale. Per non  parlare dei libri e dei CD, alcuni dei quali sembrano pensati per essere venduti solo lì. Il signor Cortazar e la Signora Dunlop si ritroverebbero come a casa, eppure dal 1982 ne sono passate di macchine e di tir sotto i ponti. Potremmo dire che l’italiano che si muove in auto è rimasto quello di trent’anni fa, mentre quello che viaggia in treno si è evoluto. Oppure potremmo dire che l’autogrill era trent’anni avanti. Chissà?