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Obama torna in testa

Scritto da Carlo Di Stanislao il 17 ottobre 2012
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Obama vince il secondo duello televisivo con Romney, anche se, secondo gli esperti, non recupera tutto lo svantaggio accumulato nel primo faccia a faccia.
Dai primi sondaggi della Cbs, infatti, mentre nel primo incontro era stato mandato ko a causa di un atteggiamento dimesso e rinunciatario, ieri ha vinto ai punti, con il 33% per lui e 30 per l’avversario.

I sondaggisti e gli “statistici” tuttavia, oggi affermano che dovesse restare sui livelli attuali fino alle elezioni,  il Presidente uscente dovrebbe poter  contare su un  vantaggio marginale nella somma dei voti dei grandi elettori, che, nel conteggio degli esperti, è  ancora 237 per lui e 191 per l’avversario.

Per vincere, comunque, ci vogliono 270 voti elettorali e l’attenzione ora passa al terzo dibattito (previsto il 22 ottobre), anche se certamente,  a due settimane dalle elezioni, difficilmente  potrà cambiare radicalmente la situazione, ma, tuttavia,  indirizzare il 3-4% di voti ancora incerti che faranno, pare, la differenza.

Comunque, alla fine di questo secondo dibattito,  che si è tenuto alla Hofstra University a Hempstead, a 50 Km da New York, Obama riprende fiato, anche se non mette alle corde l’avversario,  mostrando alla nazione  di aver recuperato la grinta di un tempo, la capacità di mobilitare la base e la prontezza lucida che lo ha contraddistinto in passato.

Come ha scritto sul Sole 24 Ore Mario Platero, sui temi forti  é stato Romney a commettere il primo errore,  quando si é parlato di energia. Dopo un attacco efficace alle politiche di Obama che toglieva licenze “per proteggere in un caso 24 uccelli migratori” decisioni “che hanno portato il prezzo della benzina da 1,80 a 4 dollari…”; ha permesso al  Presidente una linea di difesa piuttosto efficace, basata sulla negazione di aver tolto licenze se non a coloro che non le usavano.

Romney a quel punto invece di controbattere ha chiesto al presidente:”Ci dica quali sono le misure che lei ha adottato quali sono le licenze le elenchi…”; credendo così di inchiodare il Presidente che invece ha subito risposto in termini generali,  rubandogli il tempo e riprendendo il suo comizio.

Lo stesso è accaduto  su tasse e pensioni e, in chiusura, lo sfidante ha preso l’ennesima sberla su investimenti su fondi cinesi,  argomento che ha consentito ad Obama di dire che lui, il repubblicano amico dei ricchi, ha certamente investimenti molto superiori ai suoi e alla più parte degli americani e non soltanto in Cina.

Si è comportato da navigato comunicatore Obama e, a differenza di quanto accaduto a Denver, anche se non ha stravinto, ha stretto l’avversario in un angolo,  anche sulle critiche della gestione della sua amministrazione dell’attacco degli jihadisti a Bengasi, che ha portato alla morte dell’ambasciatore Usa Chris Stevens insieme con altre tre persone;  con Romney che gli contestava  di non aver immediatamente definito l’attacco un “atto terroristico”  e lui che ha chiesto alla giornalista che moderava di consultare il trascritto del suo intervento al giardino delle Rose il giorno dopo l’assassinio, il 12 settembre, in modo da confermare, cosa che è accaduta, che invece lo aveva fatto.

E’ stato bravo quando ha detto che Romney “ha il solo obiettivo di abbassare le tasse ai ricchi” e bravissimo (anzi sorprendente), quando è entrato sul problema delle armi, affermando che in America “c’è una lunga tradizione di caccia e di protezione, ma dobbiamo assicurarci che le armi non finiscano nelle armi di criminali. Sono a favore di una strategia di ampio respiro” per far si’ che le armi d’assalto, quelle potenti in grado di uccidere molte persone, non finiscano nelle mani sbagliate.

Ieri, insomma, Obama era un fiume in piena,  deciso a non lasciare vie di fuga a Romney e a scagliargli contro tutte le accuse personali che due settimane fa gli aveva risparmiato, temendo di apparire “poco presidenziale” e questo, pare, abbia funzionato, almeno in parte.

Avesse ripetuto la “performance” del primo incontro,  il presidente sarebbe apparso un pugile suonato, alla mercé dell’avversario; ma così non è andata ed anzi, sui temi caldi interni ed esteri, ha dimostrato di non essersi eclissato, ma di essere ancora un leader capace di tenere il centro del palcoscenico.

C’è più di una punta di irritazione nel commento del vecchio John Sununu,  che fu capo di gabinetto nella Casa Bianca di George Bush padre e che ora è uno dei più stretti consiglieri di Mitt Romney, che dice della vittoria di Obama: “veniva dal disastro di Denver: difficile fare peggio, facile assegnargli la vittoria”. Ora è di nuovo Romney che torna a rincorrere e che deve temere.

Ieri sera Obama era in gran forma e lo ha dimostrato con una linea tutta basata su fairplay e sogno americano e con una chiusa che ha fatto breccia nel cuore degli spettatori, quando ha detto: “Tutti gli americani devono poter giocare con le stesse regole” e sottolineato  come il suo obiettivo e’ che “le prossime generazioni abbiano le stesse opportunità che abbiamo avuto noi”.