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La nuova cattiveria sul web: insulto ergo navigo

Scritto da Giuseppe Centonze il 1 ottobre 2012
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La nuova cattiveria sul web aleggia a lungo, come un alito pesante, e accompagna un Paese stanco, in piena crisi d’identità, con un presente buio e un futuro nebuloso, denso d’incognite e di perplessità. Nascosti dietro un monitor i “nuovi” maleducati usano la tastiera del PC per scaricare la loro rabbia, le loro frustrazioni, l’odio, il fatto di non saper comunicare diversamente. Il livore personale, politico, religioso, il razzismo e il classismo post-proletario ha preso possesso dei social network. L’ urlo di chi non sa più parlare sta diventando insopportabile. La violenza verbale è inaudita. Sono molti coloro che scappano dal mondo virtuale. Altri pongono essere azioni legali contro gli autori di insulti, diffamazioni, calunnie.

Eric Schmidt, presidente di Google, ha detto durante l’ Aspen Ideas Festival: «Facciamocene una ragione: l’ uno per cento della popolazione è pazzo. Ha vissuto nel seminterrato per anni, e la mamma gli portava ogni giorno da mangiare. Due anni fa la mamma gli ha regalato la connessione a banda larga. Mi chiedo, tuttavia, se sia una consolazione. E se non sia il caso, a questo punto, di parlare con le mamme. Non servirebbe, probabilmente. La follia italiana supera l’ uno per cento, e appare purtroppo lucida”.

Purtroppo c’ è chi non ha capito che Facebook e Twitter – per citare i due social network più popolari – sono mezzi di comunicazione di massa, non balconi per conversazioni private o saloon del vecchio Far West. Fino a pochi anni fa, strumenti tanto potenti erano riservati ai professionisti della comunicazione: coloro che avevano accesso a un giornale, a un microfono, a una telecamera. Oggi chiunque può diffondere un’ opinione. Questo, naturalmente, è bene. La libertà in questione ha però dei limiti: nelle buone maniere, nel buon senso e nel codice penale. E qualcuno non lo capisce.

C’è chi prova a difendersi dicendo: “Ma io non sparo!”. Si,  solo perché non è possibile materialmente sparare su un social network. Quello che dobbiamo chiederci è se insultare gli altri rientri o meno nell’esercizio della democrazia. Il termine democrazia deriva dal greco démo (popolo) e cràtos (potere) ed etimologicamente significa governo del popolo. Democrazia, però, significa anche rispettare e garantire i diritti fondamentali e inviolabili dell’uomo. La riposta, allora, non può essere che negativa. Chi insulta non esprime una semplice opinione, la sua libertà di pensiero, è solamente un maleducato o meglio ineducato, non ha alcun diritto a farlo e viola allo stesso tempo i diritti degli altri che vanno tutelati.

Il Tribunale di Monza, con una sentenza storica del 2 marzo 2010, infatti, ha sancito che: “Va risarcito il danno morale soggettivo e comunque il danno non patrimoniale sofferto in conseguenza della lesione “alla reputazione, all’onore e al decoro” cagionata alla “vittima” mediante l’invio di messaggi per il tramite del social network “Facebook”, il “transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima” dell’atto illecito, vale a dire il complesso delle sofferenze inferte alla danneggiata dall’evento dannoso, indipendentemente dalla sua rilevanza in sede penale, obbliga pertanto al risarcimento del danno in sede civile.

L’educazione è il pane dell’anima (Giuseppe Mazzini).

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