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Paolo Donati, Verso la felicità volevano tornare

Scritto da Giuliano Berti Arnoaldi Veli il 1 agosto 2012
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L’esordio è quello di una storia del tempo di guerra.
Siamo nel settembre del ’44. Due ragazzi, fratello e sorella, filano in bicicletta sulla strada lughese. Il luogo è dunque la Romagna, che fu teatro appunto, nell’autunno e nell’inverno del ’44, di tragiche battaglie. I due temono di essere rastrellati, e stanno cercando di raggiungere una casa dove nascondersi. Là si devono trovare con la sorella maggiore, che con la sua bicicletta li raggiungerà seguendo un percorso diverso. Loro arrivano a destinazione; la sorella invece viene fermata lungo la strada da un militare tedesco, e portata via.

Al cinefilo che legge vien fatto di pensare alla ambientazione del film La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani, che però si svolge in Toscana, dove gli Alleati arrivarono prima dell’inverno. Qui siamo invece non lontani da Alfonsine, teatro di una vicenda bellica tramandata da varie testimonianze, che l’avvolgono in un’aura quasi favolosa. Perché ad Alfonsine arrivarono e si acquartierarono i tedeschi in ritirata, nel dicembre 1944, e ci rimasero arroccati cinque mesi. Alfonsine è attraversata da Senio, e una parte del paese sta sulla riva destra, e mentre la parte più nuova sta sulla riva sinistra. I tedeschi si erano asserragliati nella parte vecchia, occupando i piani alti, dai quali sparavano verso le postazioni alleate. e avevano tentato di mandare via la popolazione, che tuttavia si era rifiutata di lasciare le case, e aveva continuato a vivere nelle cantine, e ad abitare il paese in guerra, incurante delle minacce e dei rischi; anche quando alle truppe regolari erano succedute le SS, fino a che nell’aprile del 1945 la guerra era finalmente passata via, lasciandosi alle spalle un paese quasi completamente raso al suolo. Fateci caso, quando passate da Alfonsine, che non ci sono case vecchie quasi per niente.

Passata la esperienza della guerra, la generazione che l’aveva attraversata ha sentito subito la necessità e l’urgenza di raccontarla, di darne testimonianza come dello evento fondamentale che le era capitato. Già Calvino ha dato nel 1964 una sintesi dei percorsi e delle motivazioni di questa letteratura, mossa da una “primodiale dialettica di morte e felicità”, dall’ansia di riferire i percorsi, i dibattiti, le ragioni e i sogni dei protagonisti, e che ha raggiunto il suo punto più vero in un romanzo postumo, incompiuto, trovato fra le carte di uno dei più solitari e appartati scrittori della resistenza, Beppe Fenoglio, e che è stato pubblicato postumo con il titolo Una questione privata. Che è un romanzo di guerra, sì, ma anche di follia amorosa, di inseguimenti ed errari che ricordano l’Orlando furioso, “in cui ciò che si insegue, si insegue per inseguire altro, e quest’altro per inseguire altro ancora e non si arriva al vero perché”.

Ma la generazione che ha fatto la guerra è oramai passata. Gli editori di storia, quando cercano di pubbicare storie vere, preferiscono i diari inediti dell’epoca, piuttosto che le memorie tardive dei protagonisti, nelle quali i ricordi si confondono con le cose lette, e le cose avvenute si mescolano indistricabili con quelle solamente pensate, o sperate, o desiderate al punto che paiono successe davvero.

Paolo Donati è nato dopo la guerra; è un baby boomer. Se voleva raccontare l’epoca che ha vissuto, poteva raccontare gli anni del boom economico, l’arrivo della televisione, il lento abbandono delle campagne, e poi l’arrivo prima del frigorifero e poi della TV, e gli anni della contestazione giovanile, la rivoluzione femminista, i cortei in piazza, la fede ingenua nel cambiamento della società e il suo scacco, gli anni delle riforme, il divorzio e la maggiore età a diciotto anni, gli anni bui e violenti che seguirono, e poi gli anni degli yuppies e della Milano da bere. Infatti, le librerie sono piene di libri, generalmente romanzi contemporanei, che parlano di questo.

Invece, ha fatto un passo indietro, come per prendere le distanze dal presente; e ha raccontato una storia che parte dalla sua Romagna del tempo di guerra e procede fino al 1958. Ma non è una storia epica: semplicemente, ha messo al centro del racconto la vita di un piccolo gruppo famigliare. E forse ci ha messo dentro le ansie ed il vissuto della sua e nostra generazione.

L’andamento del racconto è curioso, cinematografico. Sono i protagonisti che parlano in prima persona, a turno, e noi li seguiamo come in un film, passando dall’uno all’altro. Le loro storie, come le loro vite, procedono autonome, pur intrecciandosi continuamente. Lo sfondo è quello dell’Italia nel tempo estremo della guerra, e poi della ricostruzione, dei disordini sociali (bella la giornata in cui una storia d’amore si intreccia alla manifestazione per l’attentato a Togliatti, che a sua volta si acquieta alla notizia della vittoria di Bartali a Tour de France). Ma appunto è solo lo sfondo, perché a Donati preme capire e raccontare non una storia eroica, ma i sentimenti, le incertezze e i dubbi dei tre fratelli.

C’è anzitutto Aurora, la sorella secondogenita, quella che ha portato in salvo il fratellino, e che vive nascosta in casa di un amico di famiglia (Mario), in campagna. E’ fidanzata con un ragazzo che è andato in guerra, al sud, e del quale non si hanno notizie. In campagna conosce Saverio, il figlio del capo della cooperativa facchini, anche lui nascosto. Con lui si abbandona ad un rapporto amoroso immediato, istintivo, senza pensieri di futuro. Ad Aurora manca il rapporto, che capiamo stretto e tormentato da gelosie, con la sorella maggiore che si chiama Speranza. Speranza è stata presa dai tedeschi, ed è destinata ad essere deportata in Germania. Sono arrivate notizie che sarebbe fuggita, durante il trasporto; ma non si fa viva, e la sua sorte è circondata dal mistero.

C’è poi il fratellino Libero, che ha tredici anni, e osserva con occhi curiosi il mondo sul quale si è appena affaciato. E’ lui che ascolta i racconti favolosi e improbabili di un cugino di Mario che ha vissuto in Argentina, e che è nascosto con loro. Attrraverso i racconti di questo “zio d’America” entra nel libro la fascinazione di un destino diverso, la esistenza di altri mondi, la possibilità di una vita imprevista, di incontri con grandi musicisti sognati da sembrare veri, la musica. Attraverso il rapporto con questo strano personaggio che racconta storie incredibili ed è circondato da un’aura di mistero, che sembra sapere della vita quello che le persone normali ignorano, e che tratta il ragazzo da pari a pari, matura in Libero il pensiero inquieto che una vita diversa è possibile. E così negli anni a venire lo vedremo andare a Bologna a studiare, a e suonare in una orchestrina jazz; e più avanti spiccare un salto più grande, sempre seguendo la fascinazione della musica.

C’è poi la sorella primogenita, che è caduta in mano ai tedeschi, ed ha capito che la sua destinazione è un buco nero, e deve cavarsela da sola se vuole salvarsi. Per tutto il libro, la sua è una assenza: si è saputo che è fuggita, con la complicità di un tedesco, ma non si fa viva con la famiglia, non dà notizie. Se è viva, non vuol più tornare. Solo alla fine del libro, apprenderemo che in effetti si è sposata con un tedesco, forse proprio quello che l’aveva aiutata a fuggire, che ha avuto un figlio, e che vive una vita che non era quella che aveva sognato.

Anche Aurora si è sposata con il suo primo fidanzato, che è tornato a guerra finita, è mite e gentile, e avrebbe l’idea di costruire un albergo al mare; ma si rassegna poi ad abbracciare la professione del padre avvocato, che si è ammalato, e insomma ha bisogno di lui. Non è la passione che Aurora ha avuto, e ha ancora, per Saverio, che ha lasciato senza esserne convinta, ma che negli anni a venire ancora rimarrà nella sua vita. D’altra parte, anche il mite avvocato custodisce un suo segreto.

Sono vite normali, quelle dei personaggi che Donati ci racconta. Vite fatte di pochi giorni felici, mentre tutti gli altri fanno volume. Non ci sono eroismi, ci sono semmai disillusioni. E tuttavia, il libro non è affatto triste, perché racconta la ostinazione con la quale ognuno a suo modo continua a inseguire la felicità che ha in qualche momento intravista (e che dà il titolo al libro). Felicità fatta di momenti e di paesaggi. Perché in tutto il racconto è costantemente presente il paesaggio romagnolo, come un fondale tranquillizzante al quale si ritorna, e nel quale forse tutto può succedere ancora. Che sia questo il paesaggio della felicità?