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Un “Barbarossa” bossiano e barboso

Scritto da Carlo Di Stanislao il 1 aprile 2012
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Costato dodici milioni di euro (alcuni dicono in realtà 30), di cui un milione e seicento mila di finanziamento pubblico,  voluto ed anzi preteso da leader della Lega Umberto Bossi, che vi è presente con un  cammeo (vedi: http://www.cineblog.it/post/19085/barbarossa-il-fotogramma-del-cameo-di-bossi) , “Barbarossa”, disertato dal pubblico al cinema e stroncato dalla critica, fa la sua comparsa su Rai 1, diviso in due parti , entrambe in prima serata, la prima parte ieri ed oggi la seconda, non meno noiosa e sgangherata della prima.

Si perché anche sul piccolo schermo il film è inutile e “palloso” ed in più  trasmesso a pochi giorni dalla scadenza del Consiglio d’amministrazione di viale Mazzini, in un periodo a dir poco delicato per la Rai: quello di garanzia, in cui la tv pubblica e Mediaset si giocano la partita degli ascolti piazzando il meglio.

Partita da cui dipendono i futuri investimenti pubblicitari e che, evidentemente, mamma Rai vuole perdere a tutti i costi, passando  questa brutta fiction di regime sospinta anche da Berlusconi,  come ricorda una celebre intercettazione telefonica rammentata oggi su tutti i giornali.

Il film è dedicato alle gesta di Alberto da Giussano (Raz Degan) e dell’Imperatore Federico Hohenstaufen detto “Barbarossa” (Rutger Hauer), che, con l’intento di realizzare il primo impero universale della storia, il 10 marzo 1162,  invade la città di Milano per controllare i comuni ribelli del Nord Italia.

Naturalmente i fatti pubblici si mescolano alle vicende private, con il futuro leader della Lega Lombarda e della Compagnia della Morte, che, sin da giovane, si innamora della “veggente”, Eleonora (Kasia Smuntniak), naturalmente ricambiato.

Oltre che contorta la storia è poco fluida, con battaglie e scontri che risultano insopportabilmente prolungati e utilizzati come riempitivi di un gran contenitore vuoto di idee che, al cinema, ha incassato solo 830.000 euro ed è stato ritirato nel 2009, dopo meno di un anno di circuito.

Condizione frequente per il brianzolo Martinelli, che, negli ultimi 10 anni, con i suoi kolossal dai cast internazionali, ha sempre incassato la metà o meno di quanto speso.

L’idea di fondo, davvero risibile se non fosse pericolosa, è che   la Compagnia della Morte combatté a Legnano contro Federico I Von Hohenstaufen (il nome è ovviamente tedesco e nel film se ne rimarca l’origine), così come oggi il  movimento politico che ne raccoglie l’eredità,  si trova ad affrontare ‘nemici’ che parlano la sua stessa lingua,  anche se non i suoi stessi (innumerevoli) dialetti.

Quindi, incredibile a dirsi, anche se il panorama storico-politico è da considerarsi totalmente non omologabile e se è un peccato che la Compagnia della Morte vestisse di nero, forse perché, all’epoca, il verde era coloro ritenuto troppo femminile, è evidente il rapporto di figliolanza fra gli eroi padani di ieri e di oggi.

Ed hanno ragione i leghisti a fare del mitico eroe che con armatura medievale leva alta verso il cielo la spada,  tenendo lo scudo con il braccio sinistro,  a farne il simbolo di un partito con bandiere che garriscono al vento,  mentre Bossi attinge l’acqua dalla sorgente del Po,  per poi versarla nella laguna veneta quale rito di purificazione. 

Tutti i leghisti lo esibiscono come spillina nell’asola della giacca e  il loro giornale lo reca in prima pagina, sicchè l’eroe di Legnano è divenuto nel tempo una vera e propria ossessione, tanto da giustificarne (loro dicono e sostengono) la celebrazione cinematografica nel momento in cui arresta l’avanzata del “barbaro” Federico,  grazie ad altri “forti” come lui , circa 900,  con il compito di difendere il “Carroccio”, simbolo di forza e religiosità della “Lega Lombarda”.

Autore furbo ed alterno, sempre sostenuto da pubblico denaro, Renzo Martinelli, nato a Cesano Maderno nel 1948, inizia negli anni ’70 come produttore musicale e pubblicitario. Con  Sarahsarà (1994) , esordisce al cinema come regista e, in questa veste, realizza in seguito  ottimi prodotti come Porzus (1997) Vajont – La diga del disonore (2001) e Piazza delle Cinque Lune (2003), ma anche i molto discutibili (per contenuti e stile) Il mercante di pietre (2006) e  Carnera – The Walking Mountain (2008).

Aveva iniziato bene Martinelli, con un coraggio controcorrente sostenuto da innegabili doti tecniche, stemperato, poi, nel più tranquillo ed assolutamente meno creativo alveo del conformismo narrativo.

In questo film, ad esempio, imita (o cerca di imitare), l’epicità colossale di Braveheart.  Ma il film di e con  Gibson viene emulato solo sul piano di una battaglia che si protrae con la sola finalizzazione di mostrare il maggior numero di scorrimenti di sangue possibili e tutto il resto è soffocato nella culla (anche se le potenzialità ci sarebbero state),  da una sceneggiatura nei confronti della quale Elisa di Rivombrosa diventa un classico.

E se e a Federico viene concesso qualche spiraglio di umanità (grazie alla prova di un grande attore) Alberto da Giussano  evolve (o involve?) in un modo che lascia perplessi, a voler usare gentili.

Nell’anno 1176, Federico scese, ancora una volta, con  le sue truppe dalle Alpi,  per dirigersi a Pavia, dove l’attendeva il resto del suo esercito.

Per impedire il congiungimento, l’esercito della Lega, il 29 maggio, portò un attacco alla fanteria nemica, che transitava in quel momento dalle parti di Legnano.

Contrattaccati, tuttavia, dalla cavalleria di Barbarossa e costretti a ripiegare attorno al proprio centro simbolico e strategico, il cosiddetto Carroccio (un carro da guerra ove era disposta una bandiera con lo stemma e, soprattutto, luogo designato al comando), i fanti opposero un’eroica resistenza.

Nella fase successiva della battaglia, già iniziata quasi senza un preciso progetto da ambo le parti e proseguita con sorti alterne, l’esercito tedesco subì un duro colpo con il disarcionamento del loro imperatore ad opera dei cavalieri di Alberto, giunti nel frattempo da Milano, ed infine crollò con una disastrosa sconfitta.

Lo stesso Imperatore fu costretto a fuggire a piedi e a raggiungere con grande pericolo Pavia, firmando l’anno stesso la Pace di Costanza, con la quale riconobbe i Comuni ribelli.

Si è guardato bene, il Martinelli al soldo della Lega, di ricordare che fu Federico a stabilire la pacifica convivenza tra cristiani e musulmani in Gerusalemme,  attraverso un patto diplomatico con il sultano d’Egitto, Al-Kamil.

Si disse, allora, che l’imperatore era troppo compiacente verso gli infedeli e scettico in materia di fede e che fosse il diavolo in terra, nato da un rapporto della madre Costanza con il Maligno.

Nessuno disse che aveva visto giusto immaginando un futuro multirazziale,in cui ciascuno, pacificamente, potesse vivere la propria differenza.

L’enfasi retorica di Martinelli copia e banalizza la retorica carducciana, che nel poemetto  “La battaglia di Legnano, sostiene fortemente l’ideale di un medioevo comunale e combattivo,  che tiene vivo nelle riunioni del popolo (il parlamento) lo spirito dell’antica repubblica romana, senza alcuna fedeltà alla realtà storica e alla consistenza dei diversi personaggi.

 

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