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Il cristianesimo: religione…che è fede…

Scritto da Don Giuseppe Oliva il 6 gennaio 2012
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Tutti ammettono che la verità di una cosa ci possa essere comunicata dagli altri, anzi si dà per scontato che la convivenza e la stessa sopravvivenza personale e collettiva sono legate al necessario rapporto interpersonale: è una evidenza sociologica e logica, perchè dentro questa interdipendenza o cooperazione sono possibili tutti gli effetti e le leggi che regolano la nostra vita. Il mio televisore, senza il concorso di molte menti e di molte mani, non ci sarebbe…

Ora….
Alla domanda se, sul senso della vita sia lecito ricevere, da altri, indicazioni, spiegazioni, risoluzioni, la risposta è un chiaro SI, e ne è prova la incessante attività filosofica e scientifica dell’uomo pensante e operante. Su questo…senso della vita il filosofo Platone (427-347 a.c.) scrisse: “(su questo problema) non c’è che una cosa sola da fare di queste tre: o apprendere da altri come stanno le cose, o scoprirlo da sé, o, se ciò è impossibile, accogliere la migliore e la meno contestabile delle idee umane, e su questa, lasciarsi trasportare come su una zattera, arrischiando così la traversata della vita, salvo che uno non possa fare il tragitto, con maggior sicurezza e con minor pericolo, su più solida barca, cioè con qualche divina rivelazione” (Fedone, c. 35). Il valore di questa ultima ipotesi, cioè quella di una divina rivelazione, se può essere legato al prestigio del grande filosofo greco, non è affatto organico al suo sistema, ma alla…logica razionale: difatti è la stessa umana ragione che non può escludere la realtà superiore detta trascendente e soprannaturale, se alla ragione si concede di descrivere la totalità dell’essere umano. Questo tratto del Fedone mi è tornato in mente (avendo riportato già altre volte) poco tempo fa, quando, interessandomi, in modo sommario, al filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976), ho letto della sua intervista rilasciata nel 1966 a un importante settimanale, a condizione però che venisse pubblicata solo dopo la sua morte, intitolata Ormai solo un dio può salvarci: un dio, anche se con lettera minuscola, coerentemente al pensiero di quel filosofo, è abbastanza indicativo….di un qulcosa che infinitamente ci supera.

Nella rivelazione
So che ogni religione si basa su una rivelazione, cioè su una comunicazione che ci sorprende come non nostra, tanto essa ci trascende, e che talvolta può essere percepita come una illuminazione  o una folgorazione concettuale o mistica. Nel caso della rivelazione cristiana c’è una caratteristica unica, non riscontrabile in altre rivelazioni: non solo c’è una rivelazione, ma, nella sua fase culminante e definitiva, c’è anche un Rivelatore , il quale si autodefinisce Uomo-Dio ed è storicamente ben collocato e non è privo di un’adeguata credibilità: si chiama Gesù di Nazareth. Egli si pone accanto a tutti i fondatori di religione e a tutti i pensatori, e non si sottrae al confronto, però con una pregiudiziale: quella di dichiararsi accettabile solo all’interno di una forza superiore soprannaturale, detta azione dello Spirito, una forza, cioè, che investe la nostra intelligenza e la nostra volontà rendendole capaci, cioè abilitandole a un libero SI di accettazione cioè a credere in lui e a lui. Siamo a quel che si dice atto di fede. A questo atto di fede si arriva per molte vie, ma tutte hanno in sé, per così dire, una segnaletica indicante, come condizione d’ingresso, tre verità: 1°) l’uomo è creatura di Dio, 2°) c’è il male e il peccato, 3°) c’è bisogno di salvezza. Senza queste verità, in contemporanea alla accettazione di Cristo o precedentemente, Cristo risulterebbe incomprensibile. In questa antropologia  soprannaturale anche la semplice ragione naturale può trovare riscontri e aspirazioni…e  constatare che l’ipotesi della fede è ragionevolmente pensabile e…accettabile…

All’interno della fede
Che per accettare Cristo sia necessaria  la fede, cioè quel di più che potenzia ed eleva la intelligenza e la volontà, non ci vuole tanto per convincersene: se lui è l’Uomo-Dio che si comunica all’uomo e alla storia per essere accettato come il Rivelatore e come il Redentore, non può affidare alla variabilità e alla insufficienza della ragione umana il compito di garantire la certezza del suo essere e della sua missione e la sicurezza della sua dottrina. La divinità che egli porta in sé deve essere garantita dalla stessa divinità, che si chiama azione dello Spirito, donde promana la fede. La quale viene avvertita e vissuta come un sentire diversamente la propria vita, come una novità sulla quale l’accettazione del Mistero non è affatto impossibile, e in compagnia del quale non si sta male, anzi…; si vive, insomma, una esperienza e una attività di pensiero tali che non ci si sente affatto superuomini, esseri trasfigurati o forniti di un sapere umano superiore. Si resta nel più realistico e ordinario spazio esistenziale ma con un di più umano verso se stessi e con una sensibile capacità di apertura a Dio. Sui grandi e drammatici interrogativi restano le non risposte della ragione, ma nel contempo ci si sta dentro senza pretese e senza disperazione, dal momento che lo stesso Uomo-Dio, Cristo, questi interrogativi non li ha mai trattati come materia tematica  o problematica alla maniera degli studiosi e degli artisti, ma li ha assunti nel suo sistema di vita e di esemplarità e in quel progetto di redenzione che si rifiuta ad ogni pretesa di verifica sperimentale, mentre si apre ad ogni attenzione che sia modulata dal rispetto della sua parola.
Nella fede e con la fede in lui il tempo e la realtà restano quel che sono, ma si prestano a una lettura in chiave di trascendenza e assumono un valore che va oltre quel che appare. E qui aggiungo che queste mie affermazioni sono ovvie per il credente consapevole; sono, invece, gratuite per il non credente che non è disponibile a mettersi in discussione; sono legittime ipotesi almeno culturali, per chi è in ascolto e in ricerca su Dio; sono suggestive provocazioni per chi concorda che la dimensione religiosa della nostra natura  è una componente da non disprezzare, anzi da prendere tematicamente sul serio.

Infantilismo?
In un settore della cultura e in altri settori più o meno ideologizzati, non è raro sentirsi dire che ormai la religione, quindi anche il cristianesimo, è una espressione del pensiero infantile dell’uomo. Il mio commento in materia è che…nulla di nuovo sotto il sole: tesi vecchia, variamente elaborata e proposta e che oggi viene ripetuta in un modo più spregiudicato  e…populistico. Perciò non mi ha molto sorpreso il prof. Piergiorgio Odifreddi, brillante intelligenza dell’antiteismo e dell’anticristianesimo, o meglio, anticattolicesimo, quando ho letto il suo rilievo sul filosofo Bertrand Russel (1872-1970), che verso i quindici anni abbandona la fede. Scrive: “E’ interessante notare che i grandi pensatori hanno crisi mistiche da bambini, quasi che la religione fosse un po’ la malattia infantile della filosofia”; e poi… sullo scienziato-filosofo Albert Einstain (1877-1955) scrive: “si interessò di religione ovviamente ponendosi le domande che si pongono tutti i bambini: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo…e per un breve periodo della sua vita si diede per l’appunto risposte  di tipo teologico”. Confesso che di fronte a questa disinvoltura filosofica…ha pensato che è proprio vero che anche le migliori intelligenze  qualche volta si dimostrano bambine: quegli interrogativi se li pongono gli adulti mentre i bambini li possono sentire…ma da bambini; l’africano Agostino di Ippona, l’europeo  Tommaso D’Aquino e tanti filosofi contemporanei, per non andare oltre, non risultano…psicologicamente bambini. E poi…nel merito della questione religiosa, di quel tremendum et fascinans che essa porta con sé ed esprime secondo varie modalità…. la sociologia, la storia e la psicologia delle religioni, l’antropologia culturale…dicono più e altro che l’infantilismo culturale. Che il credente, di qualsiasi religione, abbia una intelligenza così condizionata, così pre-logica, così crepuscolare…direi che è troppo, direi che a una più seria analisi del fenomeno si hanno spiegazioni più logiche, più persuasive.

La religione-fede
Dovendo concludere questa specie di scorribanda su terreno molto ampio e accidentato, mi sembra conveniente sintetizzare, per quanto possibile e discutibile, in questi termini:

a) nella fase di confronto con la non credenza o con altre credenze, il cristianesimo(cattolicesimo) si presenta come la religione più complessa che si possa immaginare, perchè è religione dell’Uomo-Dio, con una sua storia di preparazione e con un interrogativo pesante: la sua pretesa di essere la vera e unica religione e di essere in grado di affrontare il divenire senza il pericolo della trasformazione e della estinzione è accettabile? E’ accettabile solo se si accetta  la sua soprannaturalità, cioè la sua origine divina.

b) nella situazione dell’accoglienza, cioè nello stato di fede, di credenza, di consapevole appartenenza a questa religione, va detto subito e chiaramente che tutti i temi e i problemi che esso cristianesimo e la stessa vita di fede pongono, vanno trattati e, su misura risolti, sempre nel riferimento a quel che come vero e come infallibilmente definito è già nella rivelazione e nell’insegnamento ufficiale della Chiesa. E in merito dev’essere chiaro anche il concetto di rivelazione e di infallibilità, perchè spesso si dimentica che per il credente (cattolico) lo spazio dell’opinabile e del dissenso è più ampio di quanto talvolta si ritiene. Quindi non bisogna confondere la fede in sé e i vari livelli culturali e psicologici del credente e dei credenti, del che si occupa egregiamente la teologia pastorale e l’azione  pastorale.

c)  nella vita del credente è necessario distinguere l’opzione di fondo cioè la decisione a improntare  la vita alla fede oggettivamente intesa e l’impegno cioè la fiducia (speranza) ad accogliere la grazia, cioè l’azione dello Spirito, per seguire il bene e uscire dal male, quando di esso si è vittima.  Vanno evitati due estremismi: quello di presumere che, fatta l’opzione, essa sia pregiudizialmente sempre vincente, e quello di ritenere che si può credere solo per quanto si può e si riesce naturalmente.
Chi ha studiato teologia o storia della teologia sa bene che i due atteggiamenti mentali costituiscono due eresie, cioè due interpretazioni sbagliate della fede.

Ma…il discorso qui non finisce per chi culturalmente ha il gusto di saperne di più. Qui finisce…anzi, in certo qual modo risulta già più che sufficiente, per chi, già saldo nella fede, vorrebbe sapere di più su….come vivere questa fede in rapporto a una migliore testimonianza personale, comunitaria, universalmente ecclesiale. Come si vede ce n’è per tutti.