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Da L’Aquila a Washington

Scritto da Emanuela Medoro il 1 gennaio 2016
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Con sentita partecipazione ho letto il libro di Laura Benedetti, Un Paese di Carta, che mi suggerisce note fatte di impressioni e ricordi personali.  Forse incrociai Laura Benedetti, allora studentessa, nei corridoi del Liceo Scientifico nei miei primi, ormai lontani, anni di insegnamento di Lingua Inglese a L’Aquila. Oggi, insegna Letteratura Italiana alla Georgetown University di Washington e per la prima volta si cimenta nella narrativa.

Difficile descrivere un prodotto della creatività, dell’ingegno e dell’arte. Il testo narrativo di Laura Benedetti oscilla fra passato e presente, intreccia ricordi di un passato più o meno lontano nel tempo a fatti presenti, con lo sguardo rivolto al futuro. I personaggi, ispirati da esperienze di vita vissuta, vivono di originale luce propria, con caratteristiche psicologiche, gusti e abitudini singolari che emergono nell’intreccio dei loro rapporti nella famiglia e nella società; insomma l’autrice dà concretezza ai personaggi della sua storia per mezzo di fatti, situazioni e dialoghi piuttosto che di descrizioni. Ne risulta un tessuto narrativo variegato, stimolante, espresso in una lingua scorrevolissima, raffinata, ricca di immagini ed anche di sottile ironia.

La narrazione si svolge attraverso la vita di tre generazioni di donne. La nonna Alice, emigrò negli USA dopo un casuale incontro in età adulta. Era un’insegnante, per lei l’Italia era la lingua: “I congiuntivi erano i pilastri della sua identità”. La figlia Jane, a sua volta madre di tre figli, divorziata, pratica la professione di avvocato negli USA. L ’Italia e la lingua italiana rappresentano il suo legame con la madre. Per la nipote Sara, invece, l’Italia è prima il legame con la nonna, poi un’esperienza di vita profondamente formativa, vissuta a L’Aquila in seguito ad un singolare incarico che le lascia la nonna nel testamento.

L’autrice si sofferma a raccontare le piccole cose del vivere quotidiano nel lento processo di americanizzazione della famiglia. Memorabile la descrizione dello svolgimento delle festa del Ringraziamento, festa nazionale degli americani, in casa di Jane.

Da piccola Jane doveva aver sofferto parecchio nel raccontare alle compagne di scuola che per il giorno di festa aveva mangiato lasagne. Da grande, ormai americana, si dedica alla preparazione del rituale tacchino, “monumentale uccello”, “indigesto gallinaceo”.

Durante la cena in famiglia si svolge, fra l’altro, il breve dialogo che riporto, esempio di evoluzione culturale nel passaggio delle generazioni. Jeff: “…noi americani ringraziamo Dio di averci fatto passare il primo inverno nel nuovo continente, e gli Indiani di averci insegnato ad approfittare dei doni di questa terra…” “Così da permetterci di sterminarli senza eccessivi disagi” concluse Sara. Segue accesa discussione.

Tra i luoghi americani della vicenda emerge nella mia memoria la trafficata pista ciclabile di Bethesda, che scorre fiancheggiata dalla foresta e dal fiume Potomac. Un aspetto del mio personale sogno americano.

E poi L’Aquila. Nella parte finale della storia Sara visita la città nel 2011.

Sara vede case più o meno provvisorie, una brutta periferia, un brutto centro commerciale, un centro storico deserto e abbandonato, transenne, impalcature, polizia, vicoletti bui e impenetrabili.  Sente e partecipa con i suoi mezzi a discussioni di cultura cittadina, Celestino V, da lei definito “the quitter”, la Basilica di Collemaggio, e i Nove Martiri. La loro tragica vicenda raccontata nella omonima piazzetta da un coetaneo di nonna Alice, offre ai lettori un momento della storia cittadina poco noto, nebuloso, direi un tabù, per cui quella storia diventa l’elemento fondamentale della vita di nonna Alice. Da notare che le pagine con la partenza dei Nove Martiri da una piazzetta dell’Aquila e la lettera della nonna che illumina il suo vissuto sono stampate in corsivo.

Sara sente una qualche emozione di notte, alla Fontana delle 99 Cannelle, dove ascolta scorrere l’acqua e là fa volare verso l’infinito le ceneri della nonna, così unendo in un simbolico, ideale contatto il fiume Potomac, dove lei morì, e l’Aterno nelle cui vicinanze le sue ceneri si disperdono verso le stelle.  In sintesi, dall’Aterno al Potomac e ritorno. La visita a L’Aquila diventa dunque per Sara un momento di crescita e maturazione, una specie di personale iniziazione a studi di antropologia culturale, psicologia e letteratura.

Un pensiero particolare rivolgo alla cultura letteraria dell’autrice, cui devo un sorriso durante la lettura. Mi è sorto spontaneo per la citazione di Francis Turner, dall’Antologia di Spoon River di Edgard Lee Masters, memorabile esempio di poesia americana.

Laura Benedetti dimostra un talento poliedrico, ricco di contenuti, di eccellente abilità narrativa.  Mi sento di avvicinare la scrittura di Laura Benedetti, solida e complessa, a quella di un’altra aquilana, Laudomia Bonanni, altrettanto solida e complessa nella costruzione di trame e personaggi. Questo accostamento mi è venuto spontaneo appena ho incominciato a percepire il notevole spessore narrativo del testo, fatti della storia passata e recente raccontati con immaginazione creativa. In questo parallelo tengo doverosamente presenti tutte le differenze dovute al passare degli anni, all’evoluzione dei modi della narrazione in prosa, e le ampie esperienze di vita oggi possibili, inimmaginabili allora.