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Gioie e dolori nel fine settimana

Scritto da Carlo Di Stanislao il 1 ottobre 2015
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Gioisce l’Italia sportiva, quella vera che non si dedica solo al calcio e che esulta per la Pennetta e la Vinci che si disputano la finale agli US Open; per il ciclista ventenne Fabio Aru, che, con una tappa epica, si aggiudicata la Vuelta, sesto italiano a  farlo, dopo Angelo Conterno (1956), Felice Gimondi (1968), Giovanni Battaglin (1981), Marco Giovannetti (1990) e Vincenzo Nibali (2010).

E non è finita, dal momento che, arrivando quinto al GP di San Marino, Valentino Rossi, in una età non più da ragazzo, guida la classifica mondiale della moto GP;  gli azzurri del basket battono Israele e superano gli ottavi ai campionati europei;  mentre, ai mondiali di ginnastica ritmica,  le nostre atlete si aggiudicano un oro nella specialità dei 5 nastri ed un argento in quella con 6 clavette e 2 cerchi.

Meno gioia ed anzi vera amarezza in questo fine settimana, per l’Italia del cinema, che si deve accontentare della coppa Volpi (la secondo nella sua carriera) a Valeria Golino e non riceve né Leoni d’Oro né D’Argento, che vanno (come era prevedibile con una giuria guidata dal messicano Cuarón) a due film latino-americani, decisamente discutibili e minori, opere cupe, plumbee, pauperistiche, volutamente sciatte nella rappresentazione quotidiana della violenza.

Il Leone d’oro è andato a “Desde Allà” del regista Lorenzo Vigas e quello d’Argento a Pablo Trapero per “El Clan”, con un verdetto che ha lasciato a dir poco sconcertati e che diventa insopportabile e doloroso se si considera che il terzo premio, quello “speciale”, è stato assegnato al turco “Abluka”: un film che si attorciglia in un caos di punti di vista.

Ma il dolore maggiore di noi italiani e che i quattro film in concorso hanno davvero deluso e dimostrato che nonostante i tanti strombazzamenti d’entusiasmo che ciclicamente tornano, la realtà del  nostro cinema è quasi sempre  lontana dai fermenti che si agitano nel mondo.

Per chiudere, come Adriano De Grandis del Gazzettino, testimonio il dolore del cinefilo, amareggiato da una giuria zeppa di registi che si è permessa di ignorare i migliori: Sokurov, Gitai e Skolimowski e con un direttore, Barbera, alla sua quarta ma certo non ultima esperienza, che ha organizzato un festival senza sussulti, dominato da una stabile mediocrità,  con molti film che potevano davvero essere evitati.