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Uno spettro si aggira per l’Europa…

Scritto da Antonio Masullo il 1 dicembre 2014
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Proprio in questi ultimi  giorni di novembre la Commissione Europea ha concesso  tre mesi di tempo a Francia, Italia e Belgio per mettere i propri bilanci pubblici in linea con le regole del Patto di Stabilità e Crescita. Le decisioni finali, relative ad eventuali ulteriori misure di politica fiscale richieste a questi paesi, verranno prese ad inizio marzo 2015.

Un’interpretazione  malevola per quest’atteggiamento morbido, non in linea con la rigidità dei falchi del rigore di bilancio che abbondano nell’attuale commissione, si basa sulle recenti indiscrezioni giornalistiche che hanno riguardato Jean Claude Juncker, il neo presidente lussemburghese della Commissione, e  il suo passato di ministro delle finanze del Lussemburgo, quando avrebbe favorito operazioni di elusione  fiscale di alcune società multinazionali finalizzate a realizzare ingenti risparmi di imposte a danno di altri partners europei.

Ma il motivo principale dell’atteggiamento attendista della Commissione Europea risiede soprattutto su valutazioni di ordine politico: non danneggiare il nuovo corso di Renzi in Italia
(anche se finora si è trattato più di annunci che di fatti…) e tener conto della delicata situazione francese dove le difficoltà del presidente Hollande coincidono con l’ascesa dei consensi per il Front National di Marine Le Pen, un partito noto per le posizioni antieuropee e soprattutto anti euro.

Intanto l’inflazione europea è ormai vicina allo zero ( ma in alcuni paesi già si può parlare di deflazione…), mentre l’obiettivo della Banca Centrale Europea (BCE), guidata da Mario Draghi, dovrebbe  essere un’inflazione del 2%!!

Il tasso di disoccupazione dell’eurozona è pari all’11,5% ( in Italia è giunto al 13,2% il più elevato  da circa quarant’anni!; in Spagna è al 24%, in Francia al 10,5% e, guarda un po’, in Germania al 4,9%!!!!!)

Ormai siamo alla “giapponesizzazione” dell’Europa, ovvero al mix di bassissima inflazione e stagnazione economica che ha caratterizzato l’economia giapponese nelle ultime due decadi.

A  Washington sembrano molto più preoccupati di noi europei; l’Europa rappresenta un quarto del prodotto lordo mondiale e dallo scoppio della crisi economica internazionale nel 2008 non è stata in grado di supportare, come  gli USA, la crescita economica, anzi….

Le banche centrali di USA e del Giappone hanno inondato le rispettive economie di liquidità ( quantitative easing) ottenendo qualche risultato, mentre in Europa la situazione è bloccata dall’ostruzionismo tedesco che non intende accettare un’ interpretazione più flessibile del mandato della BCE.

Le critiche a Draghi, soprattutto da parte di esponenti del governo tedesco, non sono più indirette e allusive; ormai viene accusato apertamente dai tedeschi per la politica monetaria troppo espansiva, per i tassi di interesse  scesi a livelli minimi e per lo scudo predisposto a difesa dei titoli pubblici dei paesi più indebitati ed esposti alla speculazione finanziaria internazionale ( il famigerato spread fra titoli tedeschi ed italiani è sceso a 135 basis points rispetto ai livelli astronomici del 2011…).

Draghi è ben consapevole che la politica monetaria da sola non può contrastare la deflazione e la stagnazione economica e pertanto sollecita l’intervento dei governi affinché vengano realizzati investimenti  produttivi e nelle infrastrutture per  contrastare la disoccupazione e favorire la ripresa dell’economia.

Questi investimenti potrebbero essere finanziati anche direttamente dall’Europa, mediante una sorta di piano Marshall con l’emissione di prestiti garantiti dalla Comunità europea. Si tratterebbe di prendere atto che la gravità della crisi necessita di nuove politiche e di strumenti eccezionali.

Finalmente la montagna ha partorito il topolino! Juncker  ha proposto un prestito potenziale di 315 miliardi di euro ai vari Stati dell’unione, ma le risorse reali messe  sul piatto ammontano a soli 21 miliardi. Il fondo, per raggiungere l’ammontare definito, dovrebbe ricevere finanziamenti dagli stessi stati e da istituzioni  internazionali e gli investimenti finanziati non sarebbero considerarti ai fini del patto di stabilità. Troppo poco, soprattutto in considerazione  dei potenziali attacchi speculativi sull’euro e sul mercato dei nostri titoli di stato  che potrebbero ripartire da un momento all’altro a seguito di eventi di politica interna europea ( prossime elezioni in Grecia, per esempio) o internazionali.

La storia europea degli ultimi decenni può fornirci qualche utile riferimento per interpretare più correttamente i fatti odierni.

Francois Mitterand, presidente della Repubblica francese dal 1981 al 1985, più volte ministro e  segretario per un lungo periodo del grande partito socialista francese,  uno dei più eminenti uomini politici  francesi del secolo scorso, nutriva un grande timore : la forza economica della  Germania e la sua naturale predisposizione all’egemonia sul continente europeo.

Ciononostante nell’ottobre del 1990 diede il suo accordo alla riunificazione  delle due Germanie, sia  perché aveva a che fare con un gentiluomo di nome Helmut Khol, cancelliere  della Repubblica Federale tedesca dall’82 al 1998, un grande statista europeo che credeva sinceramente nel futuro dell’Europa unita e sovrana e sia perché riuscì ad ottenere un’ importante contropartita : l’accelerazione dell’Unione economica e monetaria europea ( sancita nel 1992 dal  trattato di Maastricht e  nel 1999 con la nascita dell’euro).

Contrariamente  ad  Andreotti che  amava così tanto la Germania da continuare a desiderarne  due, Mitterand, da buon sciovinista francese,  ritenne di poter  gestire la presenza in Europa di un partner così ingombrante semplicemente annullando la sua  moneta : il potente marco.

La storia dell’ultimo ventennio ha dimostrato l’inefficacia di questa strategia. Le differenti condizioni economiche, sociali e  politico- amministrative dei  paesi aderenti all’euro avrebbero dovuto suggerire un’ integrazione molto  graduale e la moneta unica avrebbe dovuto essere lo sbocco finale.

Ormai non è più possibile  tornare indietro; la fine dell’euro comporterebbe  conseguenze inimmaginabili, soprattutto per  noi,  a causa del nostro enorme debito sovrano !

Stiamo vivendo in Europa  una delicata  fase storica a due facce: da una parte ci sono i patti che vanno rispettati, a prescindere dalla situazione contingente,  anche se basati su regole pro-cicliche, che amplificano le difficoltà dell’attuale  ciclo economico  (stagnazione e deflazione)  per le economie con problemi di bilancio pubblico o di debito eccessivo, e dall’altra  resiste , nonostante tutto, il sogno, nato sulle ceneri dell’ultimo conflitto mondiale, di una Europa Unita e sovrana.

..e uno spettro, sempre più imponente, si aggirai per l’Europa: la sfiducia reciproca  fra  i maggiori partners europei; se le ombre e i timori non verranno  fugati al più presto potrebbero prodursi  esiti al momento imprevedibili, ma certamente molto negativi per tutti, anche per quelli che oggi si sentono tranquilli e al sicuro!