Telecom Italia, Alitalia, Finmeccanica sono 3 campioni dell’economia nostrana agli “onori”, si fa per dire, della cronaca di questi giorni. Tre nodi arrivati al pettine contemporaneamente; vicende quasi analoghe che si trascinano da tempo, crisi sempre più difficili da gestire a causa della perdurante indeterminazione della classe politica, alla scarsa indipendenza della casta manageriale e all’oscuro potere degli alti burocrati; dirigenti, sia pubblici e sia privati, e politici espressione di questo paese, non certo alieni arrivati dallo spazio!! Potremmo poi aggiungere come ciliegina sulla torta l’Ilva con la sua incredibile storia di inquinamento, corruzione ed evasione fiscale e poi continuare ancora, ma fermiamoci qui per restare solo ai casi più eclatanti.
L’acquisizione da parte di gruppi esteri a prezzi di saldo ( solo di alcune società nel caso del gruppo Finmeccanica) dopo una lunga agonia rappresenta il logico ed inevitabile epilogo della crisi finanziaria ed industriale di queste società.
L’elenco delle recenti acquisizioni estere di pezzi importanti e prestigiosi del nostro sistema produttivo ( soprattutto nell’alimentare e nel comparto della moda-lusso) è purtroppo dolorosamente lungo.
Al limite queste acquisizioni dall’estero potrebbero avere ritorni positivi se riuscissimo a salvaguardare i livelli di occupazione, a tutelare il brand italiano, migliorare il nostro know how e, soprattutto, tutelare gli interessi strategici di sicurezza nazionale ( come nel caso della rete telefonica, infrastruttura unica sulla quale passano tutte le comunicazioni). Nel mercato globale anche i nostri imprenditori si sono distinti per alcune operazioni importanti e di successo (vedi Fiat), ma non si può chiudere a prescindere la porta verso gli investimenti esteri; i prezzi da saldo che attualmente presentano alcune nostre importanti realtà produttive sono un altro problema direttamente connesso alla crisi di sistema che stiamo attraversando da diversi anni.
I francesi con il loro sciovinismo e la loro grandeur non avrebbero tollerato affronti analoghi; sono molto legati al loro paese, non solo al comune dove sono nati, sono “terroir” come si dice, cioè legati alla loro terra e orgogliosi dei simboli della nazione (la bandiera, la Marsigliese, ecc). Non è che economicamente al momento se la passino tanto meglio di noi, ma la struttura dello stato è solida, l’efficienza della pubblica amministrazione è fuori discussione e la classe politica, nonostante le divisioni partitiche, riconosce gli interessi strategici nazionali sui quali non si discute.
Sempre a proposito di classe dirigente è il caso di ricordare che agli inzi del terzo millennio due importanti paesi europei, la Gran Bretagna e la Germania, decisero di pianificare il loro futuro ( verbo a noi italici non certo congeniale, siamo più propensi a “campare alla giornata”, carpe diem…); lo fecero in modo diametralmente opposto, ma comunque presero delle importanti decisioni per l’avvenire dei rispettivi paesi.
Gerard Schroder, Cancelliere della Germania e soprattutto statista ( termine scarsamente utilizzabile da noi fatto salvo il Presidente Napolitano) promosse alcune radicali riforme, impopolari e pertanto non favorevoli a lui e al suo partito, del mercato del lavoro, dell welfare e dell’assistenza sanitaria per migliorare la competitività del sistema paese. Queste misure favorirono la ristrutturazione del sistema industriale garantendo il successo del “made in Germany” in tutti i mercati, non solo in Europa, facendo uscire il paese dalla crisi post-unificazione che aveva trasformato la Germania nel malato d’Europa!!
Il Governo britannico nel prendere atto dell’ inarrestabile globalizzazione, decise di non affrontare la sempre più agguerrita concorrenza delle cosi dette” fabbriche del mondo” ( Cina in testa, seguita dale altre economie emergenti..) e preferì percorrere il sentiero delle liberalizzazioni, soprattutto dei mercati del lavoro e finanziario, per dare impulso alla creazione di valore aggiunto nel settore dei servizi. Fu così che Londra in poco tempo consolidò il primato di piazza leader nel mercato finanziario globale. La decisione dell’ingresso della sterlina nell’euro fu rimandata sine die e, anzi, si iniziò a mettere in discussione la stessa partecipazione alla comunità europea.
Il carattere di un paese è la sua storia, come ammoniva Benedetto Croce, non si può prescindere da essa!
Torniamo a noi. Dire che oggi l’Italia è in declino è un eufemismo; ma come può l’economia di un paese politicamente instabile con una classe politica che per un buon terzo si considera innanzitutto dipendente di un leader populista (omettendo altre considerazioni di carattere legale e morale) essere in salute??? Dal 2008 abbiamo perso 10 punti di PIL, la disoccupazione è al 12,5%, massimo storico dal dopoguerra, ed il debito pubblico ha superato il 130% del PIL ( il parametro di Maastricht sarebbe al 60% !!!!).
Ma questo è solo il triste epilogo dei giorni nostri. La storia economica degli ultimi decenni evidenzia che dopo il boom economico degli anni sessanta non è quasi mai esistita una politica industriale degna di questo nome finalizzata a programmare lo sviluppo del nostro sistema economico.
Forse è il caso di ricordare che durante l’ultimo governo Berlusconi il posto di ministro dell’industria è rimasto vacante per molti mesi, salvo nominare un nuovo ministro, durato fortunatamente solo un anno fino all’avvento del governo dei tecnici, distintosi per l’impegno dimostrato nel campo delle frequenze televisive. Quel periodo, però, era anche l’ultima occasione temporale per prendere decisioni strategiche perché la crisi finanziaria globale già mordeva seriamente, ma gli arroganti e gli incompetenti - dipendenti del capo – lanciavano messaggi rassicuranti affermando che i ristoranti e gli aeroporti erano ancora affollati!
Ma nel passato non è che le cose siano andate tanto meglio. Gli interventi straordinari per risollevare le sorti economiche del Mezzogiorno non hanno prodotto gli effetti desiderati nonostante le ingentissime risorse economiche impiegate ( con investimenti di gran lunga inferiori la Germania ha realizzato in 10 anni la sua riunificazione). Il paese formalmente unito ma di fatto diviso del 1861 è tale anche nel terzo millennio, anzi la crisi economica dell’ultimo lustro ha accentuato le divisioni fra le varie zone del paese. In alcune regioni vaste aree non sono sotto il controllo dell’autorità statale ma della mafia e della camorra. Al carente ordine pubblico dobbiamo aggiungere l’inefficienza della giustizia civile ( da primato mondiale) e quindi non possiamo poi stupirci della quasi totale assenza di investimenti diretti da parte di imprenditori stranieri ( quando arrivano lo fanno più comodamente acquisendo quote di partecipazione azionaria, preferendo ,e a ragione, non sporcarsi le mani con le assurde inefficienze del nostro sistema paese).
La decadenza economica italiana è anche figlia dell’elevatissima pressione fiscale causata dall’altrettanto elevata evasione e dall’abnorme spesa pubblica, per finanziare i costi di Sanità, Pubblica Amministrazione e sistema politico-amministrativo.
Evasione fiscale : problema solo di coesione sociale e coscienza civile ( e quindi culturale) o anche conseguenza di messaggi sibillini e assolutori per gli evasori che un leader politico ha utilizzato per meschine finalità elettorali ??
In più abbiamo voluto indossare ( decisione giusta !) la camicia di forza dell’euro, la divisa unica e una banca centrale con un regolamento concepito per una economia europea realmente integrata e in perenne crescita ! Sapevamo che le regole imposte per l’ingresso nell’euro erano “stupide” ( lo dimostra il limite del 3% del deficit sul PIL , perché non 2 o 4 ?), ma le abbiamo accettate (meno male!) pur sapendo di avere un elevatissimo debito pubblico.
Questo debito nel frattempo è purtroppo aumentato ed è diventato di fatto insostenibile perché la mancanza di crescita economica fa crescere in modo quasi automatico i deficit di bilancio e quindi il debito, nonostante l’aumento della pressione fiscale; è il classico caso del cane che morde la propria coda, ma finché non vareremo un patrimoniale ( altro che togliere l’IMU sulla prima casa, anche dei benestanti) e ridiventeremo credibili in Europa ( cioè avremo un governo stabile e serio senza personaggi pittoreschi…) non otterremo mai la flessibilità nella gestione delle finanze pubbliche necessaria per uscire da questo vortice fatto di depressione economica e di debito. Mettiamocelo bene in testa non è colpa della Merkel e della sua austerità se non siamo più credibili !!
Quando il malato d’Europa ( la Germania) si dava da fare per ristrutturarsi e riformare il riformabile ( con un debito pubblico sotto controllo ) noi, da brave cicale, approfittavamo del significativo calo dei tassi dovuto all’euro e quindi dei minori interessi sul debito pubblico, per aumentare la spesa pubblica e allargare l’apparato di una Pubblica Amministrazione che per la sua imponenza ed inefficienza non ha pari al Mondo!
Avevamo compreso già 20 anni fa che il nostro sistema pensionistico non avrebbe retto semplicemente perché la dinamica demografica era mutata in modo significativo; da 3 lavoratori per pensionato siamo arrivati ad un solo che versa i contributi rispetto ad ogni pensionato Abbiamo dovuto attendere la signora Fornero ( che ingiustamente passerà alla storia per la vicenda degli esodati) che non poteva certo risolvere in un colpo solo le criticità della previdenza accumulate in anni di inazione e di interessati silenzi!
Il cahier de doleance è ancora lungo e riguarda anche i sindacati che hanno sistematicamente perseguito politiche di conservazione e di tutela degli iscritti ( cioè dei tutelati) a danno delle nuove generazioni. Ad onor del vero il termine sindacati è un’espressione troppo generica : una cosa sono le organizzazioni confederali dei metalmeccanici e dei settori esposti alla concorrenza dei mercati esteri, ed un’altra cosa sono i sindacati ( compresi gli autonomi), forti soprattutto nella pubblica amministrazione, nelle banche ecc., cioè nei settori domestici, a bassa efficienza.
Anche gli imprenditori e le loro organizzazioni si sono adagiati sui trasferimenti e sulle commesse pubbliche investendo il minimo indispensabile nelle imprese sistematicamente sottocapitalizzate.
Ovviamente, evitando inutili generalizzazioni, i settori orientati all’export e quelli delle eccellenze del made in Italy (alimentare, lusso, alcune industrie meccaniche..) hanno retto da soli per anni l’economia italiana; ma l’eccessiva diffusione della medio-piccola impresa e l’assenza di una reale politica industriale hanno limitato gli investimenti in innovazione e le aggregazioni per raggiungere le masse critiche utili per fronteggiare la concorrenza sui mercati internazionali (come hanno saputo fare i tedeschi).
Riusciamo ancor oggi miracolosamente a conservare la leadership in alcune nicchie di mercato che grazie allo loro visibilità contribuiscono a mantenere il prestigio del “savoir faire” e della cultura italiana nel mondo.
Ritornando agli alieni non ci resta che sperare che esistano davvero, perché osservando le enormità della situazione italiana dalle loro astronavi ci vengano a visitare per darci una bella scossa che ci faccia uscire dalla diabolica spirale nella quale ci siamo immersi, per credere di nuovo in noi stessi e nelle nostre capacità, come nel dopoguerra quando sapemmo riprenderci con dignità dalla catastrofe; con l’occasione potrebbero prelevare ( per finalità di studio ovviamente) qualche bell’esemplare di politico nostrano………….